Città abbandonate come riflesso di un mondo interiore

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 Photo by Francesco Ballestrazzi.

 

Incontro con Andrea Chiesi. L'artista ci mostra alcuni dettagli della sua pittura, e dei suoi paesaggi ispirati principalmente ad uno stato interiore.

 

By Camilla Delpero

 

I suoi paesaggi e le sue città “invisibili” sono protagonisti indiscussi delle sue opere. Calvino ha scritto “Le città invisibili”, la città diventa uno stato d'animo, uno specchio dell'io dell'uomo e del suo disagio. Nelle sue opere il paesaggio è un riflesso di un suo processo mentale oppure i luoghi solitari le comunicano un altro tipo di emozione?

Calvino é un autore che amo. Il suo “Festina Lente” (derivato da Augusto e da Aldo Manuzio), “affrettati con lentezza”, é un motto che sento molto vicino. Il paesaggio urbano mi interessa perchè racconta l'uomo senza rappresentarlo direttamente. Nei luoghi che dipingo non ci sono presenze umane, perché essi stessi sono corpi, presenze vive, anche se abbandonati. La mia recente personale a Pechino si intitolava “City of God”, gli ideogrammi cinesi che traducono “città di Dio” sono gli stessi che esprimono il concetto di “città senza uomini”, ed é interessante osservare come un significato si allarga e si modifica in una lingua e cultura diversa. I luoghi che dipingo narrano storie, ma allo stesso tempo se ne allontanano, diventano paesaggi interiori, un altrove che é qui ma allo stesso tempo non più qui.

Come mai ha scelto come colore di tutte le sue opere il blu?

Nei primi dipinti usavo i colori, poi ho scelto di restringere molto la gamma cromatica per non aderire alla rappresentazione della realtà. Parto dalla realtà, ma essa rimane sotto traccia, come un'eco, perché quello che mi interessa é ricostruire mondi mentali. Utilizzo soltanto una serie di grigi e di blu che danno alla pittura un tono più cangiante rispetto al monocromo. Inoltre il blu é il colore che rappresenta il mondo in cui viviamo secondo il Bardo Thodol, il libro della Suprema Liberazione attraverso l'ascolto, meglio conosciuto come Libro dei morti Tibetano.

 

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 Ispirato ad una foto di Roberto Conte

 

Lei nasce come fumettista fino a che la passione per l'arte la porta al premio Cairo nel 2004, quale evoluzione pensa la porterà la sua arte?

Sono autodidatta, ho iniziato come disegnatore per pubblicazioni indipendenti e gruppi musicali della controcultura punk nei primi anni '80, poi mi sono innamorato della pittura e ho iniziato ad esplorare l'olio su lino. Le possibilità di questa tecnica sono infinite, la pittura si evolve con la vita, ne é parte fondante. Non so dove mi porterà, non sono io a decidere come apparirà il dipinto, é lui che si manifesta attraverso le mie mani.

Ci sono diverse collezioni che accompagnano il suo percorso artistico. Come mai gli esterni o gli interni continuano ad avere una valenza importante nelle sue tele?

Sono i due filoni principali della mia pittura. Negli esterni mi concentro sulla forza geometrica di certe strutture, a volte esasperate in riflessi che sdoppiano la composizione, oppure in contrasto con i cieli inquieti che scorrono sopra ogni cosa. Negli interni invece mi piace lavorare sull'ombra, la luce, la penombra, dipingere corridoi, stanze, finestre, soglie da attraversare come in percorsi iniziatici di purificazione.

La rivista si chiama Quid Magazine in quanto vuole indagare sul Quid del processo artistico. Nelle città disabitate cos'é che conferisce il Quid al paesaggio rendendolo così diverso da una fedele riproduzione?

I luoghi abbandonati mi hanno sempre attratto, sono stati tra i primi soggetti che ho disegnato. Sono affascinanti perchè rimangono in un tempo sospeso, trattengono le storie di chi ci ha vissuto e li ha attraversati, sono in attesa di un futuro sconosciuto. Quando li esploro mi muovo con rispetto, come fossero luoghi sacri, attraversare la navata centrale di una fabbrica abbandonata é come entrare in un Mitreo, per me non fa alcuna differenza. Nella fase successiva, nella lentezza dell'esecuzione pittorica, cerco di evocare questa sospensione temporale, il luogo non é più reale, ma illusione, una proiezione della mente.

 

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