La bellezza come fenomenologia dell'invisibile

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Il Maestro Valentino Vago si racconta. Omaggiare la bellezza, estraendola dalla sua stessa forma

By Camilla Delpero

Spesso si necessita di contestualizzare un’artista, in particolare i protagonisti del '900 in una corrente artistica. Scientificamente la sua arte viene collocata nell’arte analitica. È stato nelle sue intenzioni aderire a questo movimento oppure è stata la critica ad inserirla in questo contesto?

È stata la critica ad avermi inserito in questo movimento. La mia pittura vi si avvicinava, però io non ho mai aderito a qualche corrente o ricerca. Ora, alla luce dei tempi, ho sempre segretamente pensato, con molta apparente modestia, che dentro di me mi sentivo più bravo, ero più bravo di una teoria, di un teorema; quello che facevo io non assomigliava a nulla. I miei colleghi erano più interessati a fare collegamenti, a fare gruppo, io no. Quando vedevo i loro quadri e poi i miei, mi dicevo: le mie opere sono più belle. Avevo molta fiducia in quello che volevo fare; ho sempre fatto, diciamo, senza avere un'idea. Capita qualche volta che di notte uno pensa e si immagina l'opera che farà; ogni volta che avevo le idee chiare il risultato non c'era. Quando credevo di sapere quello che c'era da fare per fare meglio, il risultato non c'era: l'opera era una patacca. Ho sempre lasciato che fosse l'opera a guidarmi la mano. Alla luce dei tempi ho scoperto qual era il segreto: quello che facevo non era il risultato della mia mente, ma era il risultato di qualcosa che era dentro di me, ma non era nel mio pensiero. Prendiamo per esempio la chiesa che sto dipingendo, non puoi progettare di dipingere 2000 mq di opera, è la chiesa che ti dice cosa devi fare, quel mondo, quello spazio ti consiglia e se non fai quello che ti suggerisce, il risultato diventa banale. Una cosa molto pensata è quasi sempre banale, perché quando traduci un pensiero sulla superficie è troppo facile da comprendere, quindi finisce il suo fascino. Devi creare la bellezza allo stato puro. La pittura non si deve capire, la pittura deve affascinare. Io ho cercato sempre la bellezza allo stato puro, mai seguendo la mia idea di bellezza o seguendo i canoni. Non esiste l'idea di bellezza, esiste la bellezza. L'idea della bellezza è quella della moda, quella che dura una stagione. La bellezza deve essere incantesimo, deve essere quella che incanta.

Ovviamente, nel suo lavoro troviamo un sapere “classico” in quanto lei è di formazione accademica, un sapere cromatico classico che si è evoluto in una definizione estetica del soggetto che si esprime con prepotenza attraverso lo studio della luce, in un linguaggio che supera il concetto di invisibilità. Si è ispirato a qualcuno o possiamo considerare l’arte di Valentino Vago completamente autentica e personale?

Quando ho finito l'Accademia ero bravissimo a disegnare tutto quanto; alla fine ho bruciato tutto. Erano belle le mie opere, ma non mi bastava, volevo andare oltre a cercare una bellezza. Non si impara a scuola ciò che faccio ora, se si rimane su quella linea non si impara nulla. Bisogna andare verso ciò che non si sa. Bisogna cercare la bellezza dell'invisibile, questa è la vera bellezza. Le persone affascinano non per la loro parte visibile, il vero fascino risiede nella parte invisibile. Non mi sono mai ispirato a nessuno; avevo una gran presunzione, vedevo uno bravo ma tra me e me dicevo che ero io il più bravo, il resto erano cose banali. Per incominciare di nuovo e per cominciare ad avere una crisi positiva bisogna eliminare le cose passate, bisogna bruciarle, il fuoco cancella ed elimina veramente quello che uno ha fatto.

 

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Lei ha affrescato chiese e mantenendo una coerenza con il suo linguaggio pittorico è stato in grado di non far perdere al suo lavoro la sacralità che troviamo in artisti che hanno fatto il suo stesso lavoro in modo più figurativo, classico. Qual è il segreto di Valentino Vago e il suo rapporto con il sacro e della sua iconografia ?

Il mio rapporto con il sacro è la ricerca della bellezza assoluta che è anche bellezza teologica. Se io cancello il mondo visibile e ricerco la bellezza dell'invisibile questa è in fondo teologia. Quest'ultima chiesa che sto finendo di dipingere è senza figure; nelle altre doveva esserci sempre un compromesso. Tuttavia ho sempre cercato di mettere in questi spazi la storia della grande pittura: Michelangelo, Beato Angelico, mettere l'anima di queste figure che sono trasparenti. Bisogna cercare attraverso la storia della pittura l'anima di quelle figure o immagini. Ho messo  e voluto disegnare l'anima di quelle immagini cercando sempre di rispettare lo spazio. 

Non crede che i suoi quadri abbiano un impatto più teorico che visivo?

Io credo che nei miei quadri non ci sia teoria, ma c'è solo la bellezza dell'emozione, della parte più bella che è in noi.

 

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Qual è il suo rapporto con la cromatologia?

Non esiste. Perché tutto dipende da come riesci a mettere i colori. Da un punto di vista teorico esiste, ma se tu sei un creatore la teoria non c'entra nulla, tra l'altro cosa del tutto contraria all'arte analitica. La storia la devi creare tu, quella che c'è già, c'è già. 

 Lei è uno degli artisti più importanti del '900 italiano e la sua arte è riconosciuta su scala internazionale. C’è qualcosa che ancora non è riuscito a concretizzare? Quali sono i suoi progetti imminenti?

I miei progetti sono: settimana prossima fare un sopralluogo in una chiesa e tra due settimane finire questa chiesa che ho incominciato. Il sogno è quello di fare una mostra al MOMA. Però in cantiere ci sono diversi progetti.