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Noel W Anderson in studio.

 

 

Milano alla Fondazione Mudima: NOEL W ANDERSON. IT'S MAGIC

L'artista americano riflette sulla narrazione distorta che i media propongono dell’identità nera, invitando il pubblico a riconsiderarla da un punto di vista differente.

Con la personale “Noel W Anderson. It’s Magic” la Fondazione Mudima di Milano spinge l’arte oltre la barriera del pregiudizio. Nella sua prima mostra italiana – dal 19 novembre al 17 dicembre 2021 – l’artista americano riflette sulla narrazione distorta che i media propongono dell’identità nera, invitando il pubblico a riconsiderarla da un punto di vista differente.

Nei ventiquattro arazzi esposti – di grandi dimensioni, tutti tessuti a mano e realizzati per l’occasione – Anderson altera immagini d’archivio tratte dalla televisione, dalle riviste e da altri media e crea, con incredibile verosimiglianza, l’impressione di guardare uno schermo televisivo: unisce così la tecnica antica della tessitura alla cultura visiva contemporanea della fotografia e delle immagini in movimento.

Sono i volti noti dei grandi sportivi afroamericani i soggetti che ritornano nei maestosi arazzi dell’autore: il titolo stesso dell’esposizione – “It’s Magic” – riprende quello di una delle opere esposte nella quale è ritratto Magic Johnson, campione della NBA Hall of Fames e dei LA Lakers. L’artista usa infatti il basket e le sue icone – come Michael Jordan, Spud Webb o, appunto, Magic Johnson – per sfidare chi guarda a ripensare il proprio rapporto col corpo nero “esibito” davanti a un pubblico di bianchi.  

Ma “It’s Magic” vuole anche essere un richiamo al magico e al sovrannaturale. L’artista infatti capovolge le immagini, gioca con le ombre attraverso le quali i corpi si dissolvono trasformandosi in altro. Questo gioco di riflessi governa la percezione e allo stesso tempo inganna chi lo osserva. In modo altrettanto “magico”, Anderson smaterializza la figura in astrazione pizzicando i fili e tirandoli fuori fino a creare grovigli di cavi che ricordano quelli elettrici, sebbene -qui- l’energia che vi passa sia sovrannaturale.

Le immagini che rimandano alla statuaria bellezza dei corpi trasformati in icone sono quelle alle quali la comunicazione globale ci ha abituato ma che non rispecchiano la vera natura dell’uomo che ne diventa invece protagonista.

Rifacendosi alle riflessioni di alcune figure intellettuali di spicco della cultura afroamerica – come lo scrittore Ralph Ellison e il teorico Franz Fanon – Anderson denuncia la sostanziale invisibilità degli uomini neri al di fuori dei contesti di spettacolarizzazione proposti dai media e ambisce ad attribuire una nuova narrativa all’identità maschile nera.

L’interesse di Anderson per le conseguenze culturali delle immagini comincia nel 2017 per giungere sino ai suoi lavori più recenti: opere in mostra come Make me come out myself (2021, 244x183 cm), Spectral Shout (2020-21, 198x145 cm) e Le Bron Van Trill Again (trillingen) (2020-21, 193x137 cm) sono frutto di un imponente lavoro manuale in cui l’artista riconduce nella contemporaneità la tradizione dell’arazzo antico, usato come alternativa alla pittura per raccontare scene di vita quotidiana. Ma è anche la fatica del popolo nero che, ridotto in schiavitù, raccoglie il cotone a riecheggiare nelle opere intessute di Anderson che cerca così di riannodare i fili delle sue origini. 

Accompagna la mostra un catalogo edito da Mudima, con un testo critico di Jade Barget.

L’artista
Noel W Anderson (1981, Louisville, KY) ha conseguito un Master of Fine Arts in incisione all’Indiana University e un MFA in scultura dalla Yale University. È responsabile dell’area incisione allo Steinhardt Department of Art and Art Professions della New York University.

Anderson utilizza i mezzi di comunicazione e la ricerca artistica per approfondire la sua indagine filosofica. Il suo tema centrale è la rielaborazione delle immagini che la società costruisce sull’identità mascolina nera e sulla celebrità.

Nel 2018 il consiglio artistico New York State Council on the Arts (NYFA), ha conferito a Noel la “Artist Fellowship Grant”: una borsa di studio assegnata in quindici diverse discipline allo scopo di finanziare la visione e la voce di un artista e del suo sviluppo artistico. Nello stesso anno è risultato vincitore del prestigioso Jerome Prize: una borsa di studio creata dalla Jerome Foundation con ha l’intento di contribuire a una cultura dinamica supportando la creazione, lo sviluppo e la produzione di nuove opere di artisti emergenti.

La sua mostra personale Blak Origin Moment ha debuttato al Contemporary Arts Center (Cincinnati) nel febbraio del 2017 e la sua monografia, “Blak Origin Moment”, è stata pubblicata di recente. 

 



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 PENCK Situation ganz ohne Schwarz (Situazione del tutto priva di nero) 2001, © 2021, ProLitteris, Zurich

 

 Al Museo d’arte di Mendrisio una grande retrospettiva dedicata al maestro tedesco A.R. PENCK

Tra i più importanti artisti tedeschi della seconda metà del Novecento.

Penck è certamente tra i più importanti artisti tedeschi della seconda metà del Novecento, colui che, insieme ad altri pittori e compagni - Baselitz, Lüpertz, Polke, Richter, Immendorff e Kiefer - ha saputo esprimere le contraddizioni della Germania post-nazista e del conflitto Est-Ovest mediante un linguaggio originalissimo seppur concepito nelle forme espressive tradizionali, come pittura, disegno e scultura. 

La retrospettiva di Mendrisio curata da Simone Soldini, Ulf Jensen e Barbara Paltenghi Malacrida - comprensiva di oltre 40 dipinti di grande formato, 20 sculture in bronzo, cartone e feltro, oltre una cinquantina di opere su carta e libri d’artista - intende ripercorrere le principali tappe del suo percorso creativo.

Nato a Dresda, Penck per decenni è attivo nella Germania dell’Est con opere di chiara ispirazione socialista. Molto osteggiato, espone raramente nell’allora DDR. È soltanto dall’inizio degli anni Settanta che Penck riesce a partecipare a mostre in Svizzera, Paesi Bassi e Canada, riscuotendo ampi consensi. Nel 1972 espone a Documenta 5 di Kassel chiamato da Szeemann; all’inizio degli anni Ottanta è tra i protagonisti delle rassegne New Spirit in painting (Londra) e Zeitgeist (Berlino). 

Nel 1980, quando, dopo l’ennesimo contrasto con le autorità, emigra all’Ovest, A.R. Penck è ormai considerato uno dei protagonisti della scena pittorica mondiale e ha già suscitato grande interesse a New York. Basquiat e Haring lo ammirano per la sua vigorosa pittura monumentale, capace di delineare la complessità del mondo con la spontaneità e l’immediatezza di un graffitista.

Nel 1984 viene celebrato con una personale alla Biennale di Venezia; nel 1988 la Neue Nationalgalerie di Berlino lo consacra definitivamente con una grande retrospettiva. Le fondamenta della sua pittura monumentale risalgono alla fine degli anni Sessanta, con la nascita del progetto Standart. Come una sorta di monumentale avatar, Standart simboleggia l’autocoscienza dell’artista, con cui Penck porta avanti il suo progetto solitario, in linea con le idee del Bauhaus: la trasformazione della società moderna secondo criteri estetici. 

Grazie alla sua celeberrima figura stilizzata, che lo porta a fama internazionale, Penck ha saputo trasformare il campo figurativo in un megafono attraverso il quale diffondere le proprie convinzioni teoriche ed estetiche. La sua pittura monumentale si riallaccia sia al genere storico, specchio degli eventi contemporanei, sia alla pittura simbolica, a cui dà voce attraverso un intero bestiario di figure totemiche o animali arcaici. Fino alla sua produzione della maturità, A.R. Penck persegue l’idea di un’immagine visionaria capace di rappresentare in un’unica prospettiva la coralità del mondo. 

Penck figura inoltre tra i protagonisti della scultura dell’ultimo trentennio. Si occupa di scultura fin dalla giovinezza, e il suo primo gruppo plastico è costituito dai modelli realizzati con materiali poveri nell’ambito del progetto Standart; a metà degli anni Settanta realizza a colpi d’ascia sculture in legno. A partire dal 1984 si concentra sulla tecnica di fusione in bronzo, lavorando a diversi formati fino a giungere alla dimensione monumentale, con un percorso analogo a quello già seguito in pittura. 

Una grande scultura in bronzo dal titolo Ich Selbstbewusstsein (1987) è esposta nel chiostro all’ingresso del Museo.

Con questo progetto il Museo d’arte di Mendrisio si pone l’obiettivo di presentare il percorso creativo di Penck - per la prima volta in ambito culturale italofono - attraverso le sue espressioni multiformi, cercando di fornire al pubblico gli strumenti per poter comprendere la struttura complessa e profonda di questo grande protagonista dell’arte contemporanea

 



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Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters alla Fondazione Stelline di Milano

Una delle serie più famose e celebrate dell’artista statunitense Sandro Miller.

Alla Fondazione Stelline di Milano, dal 5 novembre 2021 al 6 febbraio 2022, la mostra Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters presenta una delle serie più famose e celebrate dell’artista statunitense Sandro Miller (Elgin, Illinois, 1958).

L’esposizione, curata da Anne Morin, prodotta e organizzata da Skira, in collaborazione con di Chroma Photography di Madrid e Fondazione Stelline, propone 61 immagini che rendono omaggio a trentaquattro maestri della fotografia, quali Albert Watson, Annie Leibovitz, Bill Brandt, Diane Arbus, Herb Ritts, Irving Penn, Pierre et Gilles, Richard Avedon e Robert Mapplethorpe, nelle quali, John Malkovich, amico e complice di Miller, interpreta il soggetto di celebri scatti, trasformandosi di volta in volta in Marilyn Monroe, Salvador Dalí, Mick Jagger, Muhammad Alì, Meryl Streep, John Lennon e Yoko Ono, Andy Warhol, Albert Einstein, Ernest Hemingway e in molti altri personaggi.

“Ognuno di noi – afferma Sandro Miller – ha un eroe o una persona che ammira. Li lodiamo, li veneriamo e li mettiamo su un piedistallo. Può essere una figura religiosa, un attore di Hollywood, una star dello sport come Tiger Woods o Michael Jordan. Per me i grandi maestri della fotografia sono come i campioni sportivi. Ammiro Irving Penn, Richard Avedon, Annie Leibovitz, e ogni singolo fotografo rappresentato nel mio Homage to the Masters. Ho ricreato le fotografie dei grandi maestri in segno di rispetto, amore e ammirazione”.

In ogni opera, Miller riproduce con sorprendente perizia tutti i dettagli delle fotografie prese a modello, dagli elementi che compongono il set, ai particolari tagli di luce, alle sfumature del bianco e nero e del colore, esaltando le doti camaleontiche e la capacità mimetica di Malkovich che in ogni posa muta non solo espressione, ma anche sesso e età divenendo uomo o donna, anziano o bambino, sensuale o enigmatico, cupo o gioioso.

La collaborazione fra Sandro Miller e John Malkovich risale agli anni novanta del secolo scorso quando i due si incontrarono a Chicago nella sede della Steppenwolf Theatre Company di cui Malkovich è stato uno dei fondatori. “È diventato la mia tela, la mia musa, John si sedeva ed ascoltava la mia idea, poi diceva ‘Ok facciamolo’”, racconta Miller.

Lo scatto che dà vita all’intero progetto, iniziato nel 2013, è quello in cui John Malkovich impersona lo scrittore Truman Capote ritratto da Irving Penn, uno dei maestri che più ha influenzato la carriera di Miller.

A seguire, l’attore protagonista di pellicole come “L’impero del sole”, “Le relazioni pericolose”, “Nel centro del mirino”, “Il tè nel deserto”, ha interpretato una galleria di ritratti così noti da essere divenuti quasi immagini devozionali e che tuttavia non ha timore di dissacrare attraverso il proprio talento. Eccolo allora nella parte di Che Guevara di Korda, in Warhol del celebre autoritratto, o in Mick Jagger nel ritratto di Bailey, sottolineando debolezze, vanità e contraddizioni dei grandi personaggi.

Gli scatti sono preceduti da una minuziosa ricerca in cui Miller e Malkovich, assistiti da costumisti, truccatori e scenografi analizzano accuratamente ogni dettaglio degli originali, scandagliando i lavori dei grandi fotografi presi a modello.

«Non ho voluto fare una parodia – ricorda ancora Miller. Rendere omaggio ai fotografi e alle fotografie che hanno cambiato il mio punto di vista sulla fotografia è una cosa seria per me. Queste sono le immagini che mi hanno ispirato facendomi diventare il fotografo che sono oggi».

Per meglio apprezzare l’accurato lavoro affrontato da Miller e Malkovich sono presenti anche le riproduzioni delle fotografie che hanno fornito l’ispirazione ai diversi scatti.

Accompagna la mostra il volume Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters pubblicato da Skira.

Note biografiche

Sandro Miller

Nato nel 1958 a Elgin, Illinois, si avvicina alla fotografia fin dall’adolescenza da autodidatta dopo aver visto i ritratti di Irving Penn. Fra i più importanti fotografi pubblicitari statunitensi ha firmato campagne per Adidas, Allstate Insurance, American Express, Anheuser-Busch, BMW, Champion, Coca-Cola, Dove, Gatorade, Honda, Milk, Microsoft, Miller/Coors, Motorola, Nike, Nikon, Pepsy, Pony, UPS e l’esercito degli Stati Uniti.

Nel 2001 il governo cubano lo invita a fotografare gli atleti della nazionale dando così vita alla prima collaborazione tra USA e Cuba dal 1960. Il suo lavoro editoriale compare su Communication Arts, Details, Esquire, ESPN Magazine, Eyemazing, Forbes, GQ, Graphis, Newsweek, New York Magazine, The New Yorker, Russian Esquire, Stern, Time, Vibe, Wired e sue mostre si tengono in tutto il mondo. Miller collabora con Nikon a numerosi progetti fra cui il servizio fotografico in Croazia con l’attore John Malkovich; la ripresa video del famoso funambolo Philippe Petit; e di recente, il cortometraggio intitolato Joy Ride, in cui un motociclista sfreccia lungo le strade di Chicago all’alba, impegnato in una missione misteriosa. Durante la sua carriera, il fotografo dona il suo alle organizzazioni di beneficenza e organizzazioni non-profit che lavorano a livello locale per migliorare la vita dei residenti, creando campagne accattivanti per sollecitare i contributi per le associazioni: AIDS Chicago, AIDS New Jersey, American Cancer Society, American Heart Association, Arts for Life, Big Brothers and Big Sisters of Milwaukee, Dance for Life, Evans Life Foundation, Food Depositary of Chicago, The Good City, Marwen Foundation, The Maestro Cares Foundation e Off The Street Club. Al Cannes Lions International Festival of Creativity in Francia, nel luglio del 2011, riceve il riconoscimento Saatchi & Saatchi come miglior regista esoridente, per il cortometraggio Butterflies, che ha come protagonista John Malkovich. Nel 2014, al Carniage Hall a New York ottiene il riconoscimento come miglior fotografo internazionale dell’anno per i suoi successi nella fotografia. L’anno successivo viene premiato come miglior fotografo internazionale dell’anno dalla Lucie Foundation’s per le fotografie del progetto Malkovich, Malkovich, Malkovich: Homage to the Photographic Master. Negli ultimi cinque anni, in concorsi con giurie del settore, è stato eletto tra i migliori 200 fotografi pubblicitari al mondo.

John Malkovich

Nato nel 1953, a Christopher in Illinois Malkovich è un attore, produttore e stilista americano. Nel 1976 Malkovich, insieme a Joan Allen, Gary Sinise e Glenne Headly è membro fondatore della Steppenwolf Theatre Company di Chicago. Si trasferisce a New York nel 1980 dove debutta in uno spettacolo tratto dall’opera di Sam Shepard True West, aggiudicandosi un Obie Award. Riceve la nomination agli Oscar per l’interpretazione in Le stagioni del cuore di Robert Benton (1984) e Nel centro del mirino di Wolfang Peterson (1993). Recita in più di settanta film, tra cui Urla del silenzio di Roland Joffé (1984), L’impero del sole di Steven Spielberg (1987), Con Air di Simon West (1997), Essere John Malkovich di Spike Jonze (1999), Il gioco di Ripley di Liliana Cavani (2002), Johnny English di Peter Howitt (2003), Changeling di Clint Eastwood (2008), A prova di spia dei fratelli Coen (2008), Warm Bodies di Jonathan Levine (2013), Educazione Siberiana di Gabriele Salvatores (2013),  ed è il produttore di Ghost World (2001), Juno (2007), e Noi siamo infinito (2012). Nel 2002 Malkovich crea il suo brand, Mr. Mudd, di cui è stilista.

 

Fondazione Stelline

Corso Magenta 61 - 20123 Milano

tel. +39.02.45462.411

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www.stelline.it 

 

 

 



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Artphilein Foundation presenta "Where Thou Art, That is Home" di Carmen Colombo e Martina Parolo

Artphilein presenta un nuovo spazio dedicato alla fotografia.

Un armonioso contrasto di concetti diversamente simili.

A un primo sguardo lo spettatore può sentirsi disorientato dall'accostamento di panorami di periferia con delle immagini sensuali di un universo femminile. La sensazione dura un istante, perché subito si realizza che non sono solo delle illustrazioni di luoghi e corpi specifici, bensì delle forme allusive di un vissuto quotidiano.

Mondo piccolo di Carmen Colombo.

“In questa serie ho voluto concentrarmi non su di un territorio esteso, ma su quello che costituisce la quotidianità delle mie origini, delle persone e le cose che hanno scandito la mia crescita in questa terra”. I ricordi di Carmen Colombo si confondono con i nostri, con le recinzioni, con i giardini, con i personaggi che hanno segnato quel breve periodo di vita che è la nostra crescita.

Le scarse informazioni geografiche, l'isolamento dei soggetti narrati (fatta eccezione per le due donne che sembrano parlare tra di loro, ma si nascondono dietro folte pellicce), la staticità di scenari dove un’azione è richiesta ma non avviene, fanno sì che queste fotografie siano al contempo vicine e lontane da qualsiasi contesto preciso. Sono immagini che trascendono la loro rappresentazione e diventano simboli dell’habitat familiare.

I corpi di Martina Parolo.

“Il mio progetto è il corpo, mio come di altre donne, inteso come casa. Sono attratta dai dettagli della pelle dei miei soggetti. Lì la vita ci abita e rende ogni corpo unico e simile ad altri contemporaneamente”. Il pathos è intenso e conturbante negli scatti che la fotografa realizza dal 2016 al 2021. Le immagini mostrano anatomie flessuose, nature morte voyeuristiche e un autoritratto. La pelle evocata, fasciata o completamente nuda, segnala il luogo di contatto con il mondo.

Lo stesso sentimento.

Le fotografe, in termini diversi, manifestano il sentimento che i tedeschi esprimono con la parola Heimat, e che le lingue neolatine non riescono a tradurre se non con “luogo geografico o metaforico nel quale l’umano si sente a casa”. Non si tratta quindi di un territorio preciso, bensì di uno spazio che può variare e che in qualche modo descrive l’individuo. Un concetto che è alluso nel titolo stesso della mostra: Where Thou art, that is Home. Si tratta di una citazione tratta da una poesia della poetessa britannica Emily Dickinson. Il gioco di parole tra il verbo essere in inglese arcaico e la parola arte omografa, è un’indicazione elegante per precisare l’intenzione della mostra.

Tutti noi possediamo o scopriamo un giorno il nostro Heimat, e nella mostra Where Thou Art, that is Home siamo invitati a considerarlo.

 



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Kurt Ammann Youth - L'età dell'innocenza presso lo Spazio eventi di Palazzo Pirelli

Promossa dal Consolato generale di Svizzera a Milano in collaborazione con il Consiglio regionale della Lombardia, a cura di Biba Giacchetti e con la collaborazione di Fausto Fabiano.

La mostra del fotografo Kurt Ammann Youth – L’età dell’Innocenza - promossa dal Consolato generale di Svizzera a Milano in collaborazione con il Consiglio regionale della Lombardia, a cura di Biba Giacchetti e con la collaborazione di Fausto Fabiano, aprirà al pubblico mercoledì 10 novembre 2021 e sarà visitabile, gratuitamente, fino al 1 dicembre presso lo Spazio Eventi di Palazzo Pirelli.

“Ospitando questa mostra, il Consiglio Regionale della Lombardia rende omaggio alla carriera di un grande fotografo di fama mondiale, ma vuole anche celebrare la vita dei giovani di oggi, colpiti e “maltrattati” dalla pandemia, riaffermando un impegno e un’ attenzione speciale nei loro confronti. Davanti a queste opere è impossibile non pensare all’attualità e agli effetti negativi che l’emergenza sanitaria ha avuto sulle generazioni più giovani, che si sono trovate sempre più isolate e hanno dovuto fare i conti con un mondo virtuale, fatto da video-chiamate e lezioni a distanza e non più incentrato su rapporti veri e relazioni autentiche. L’auspicio è che queste immagini possano essere pertanto di stimolo per un ritorno alla normalità facendo prevalere la gioia dello stare insieme. Senza mai sacrificare il realismo delle situazioni, Ammann ci regala un caleidoscopio poetico degli anni verdi, dove la bellezza delle persone sembra essere il frutto di quella fiducia e speranza che sono i tratti meravigliosi dell’infanzia e della gioventù e che devono contraddistinguere questa nuova stagione di ripresa e rilancio”. Alessandro Fermi – Presidente del Consiglio regionale della Lombardia.

“Ringrazio il Consiglio regionale della Lombardia e in particolar modo il Presidente Alessandro Fermi per aver voluto partecipare con il Consolato generale di Svizzera a Milano a questo importante progetto culturale dedicato ai giovani e alle loro infinite potenzialità. Un progetto denso di significati e di ampia lettura, ospitato nella magnifica cornice di Palazzo Pirelli, storico edificio simbolo milanese. La collaborazione fra la Lombardia e la Svizzera si rinnova da tempo nell’assoluta condivisione di radici comuni, ideali e valori che vanno ben al di là della semplice vicinanza geografica. L’esposizione fotografica “Youth” che celebra gli adolescenti, le loro capacità, risorse e virtù, ne è un valido esempio.” Sabrina Dallafior – Console generale di Svizzera a Milano

Svizzero di Berna, classe 1925, sguardo limpido e tempra di acciaio, Ammann si iscrive a pieno titolo nella corrente elvetica della grande fotografia d'autore che ha esercitato un’ influenza mondiale al pari del design e dell'architettura.

I suoi mentori, ed amici, sono stati Werner Bishop, Jacob Tuggener, Robert Frank, Renè Burri.

Con loro Ammann ha condiviso lo stile netto ed essenziale delle sue immagini, l'eleganza formale, il rigore compositivo che rappresenta la più diretta emanazione della Straight Photography: genesi formale della fotografia di reportage contemporanea.

Il racconto di Kurt Ammann sulla gioventù nella selezione di Biba Giacchetti con Fausto Fabiano, ha catturato l'interesse delle istituzioni che fanno capo a due paesi. La Svizzera, che di Kurt Ammann è patria e matrice culturale. Nelle sue immagini appare evidente nei fondali, nei paesaggi, nei racconti delle gite dei Boy Scout, o dei pastorelli sostenuti dalla Croce Rossa, nei sorrisi sani dei ragazzi cresciuti in una natura ancora incontaminata. E poi l'Italia, ed in particolare la Lombardia, patria adottiva di Ammann. Da anni vi risiede, con un senso di ospitalità corrisposto al punto che questa prima retrospettiva prende vita proprio nei magnifici spazi istituzionali della Regione a Palazzo Pirelli.

La selezione totalmente inedita dedicata a questa mostra attraversa varie decadi e spazia dalla Svizzera al Giappone, dal Brasile alla Turchia, dall'Italia alla Corea e al Ghana. I bambini ed i ragazzi che la compongono parlano sorprendentemente tutti la medesima lingua, quella dei sentimenti universali, al punto che abbiamo voluto mescolarli in una sequenza priva di uno specifico iter geografico o temporale.

È una mostra sottile e profonda che, attraverso la bellezza gentile delle immagini, vuole approfondire l'importanza di questo passaggio dell'esistenza a cui si consegna il futuro del mondo.

Una riflessione sulla gioventù che auspica una tutela della sua fragilità e invita al rispetto che essa merita.

Un piccolo plauso alla capacità di sorprenderci, come sanno  fare gli straordinari ragazzi di oggi che combattono per il clima con un attivismo incredibilmente saggio e promettente.

È a loro che vogliamo dedicare questa mostra, ci piacerebbe che conoscessero le immagini di  Kurt Ammann, nella certezza che potrebbero riconoscere, nel suo sguardo antico e ancora tanto giovane, la stessa forza e la stessa pulsione che li anima: il vento gentile, talvolta impetuoso, sempre innocente della giovinezza.
©Biba Giacchetti

Si ringrazia Fausto Fabiano, grande collezionista e parte attiva di ogni progetto che riguarda questo autore: dalla catalogazione della sua intera opera alla pubblicazione del suo primo libro retrospettivo.

 

INFO UTILI

Spazio Eventi Palazzo Pirelli – Via Fabio Filzi 21 Milano

Inaugurazione 9 novembre 2021 ore 12.00  - Su invito

Dal 10 novembre al 1 dicembre 2021 - Apertura al pubblico su prenotazione:

Dal lunedì a giovedì ore 9.30 -13.30 e dalle ore 14.30 – 17.30

Venerdì ore 9.30 -13.30

Info e prenotazioni:

Tel 02/67482777

Email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

L’accesso a Palazzo Pirelli avverrà nel rispetto della normativa vigente in materia di “Misure di prevenzione e contenimento alla diffusione del contagio da COVID-19”.