Realizzo impulsi, attimi fuggitivi, tensioni interiori, non solo gioielli
"Un "bigiù" viene alla luce per amore o per caso...". Intervista all'orafa Speranza Facchin sulle sue creazioni ispirate alle esposizioni del MUSEC di Lugano.
By Camilla Delpero
Come nasci artista di gioielli dal momento che la tua formazione è ben diversa?
Disegnare è un'attività dell’anima e l'ho sempre amata. Il soggetto è variabile, ma l’azione in sè mi permette di non pensare. Quando disegno, soprattutto a colori, la mia mente non divaga, è attenta alle linee, al progetto e all’intensità dell'azione. Il resto semplicemente non esiste, o meglio, è momentaneamente accantonato. In un periodo particolare della mia vita ho imparato a disegnare gioielli da un Maestro Orafo. Tempo dopo, in un’altra vita e in un altro luogo, ho iniziato per noia a elaborare bigiotteria. Meno costosa e molto, molto meno ansiogena in caso di errore. Girando il mondo ho cercato e trovato incredibili pezzi da poter utilizzare nei miei “bigiù”, come ironicamente li chiamo. Realizzo impulsi, attimi fuggitivi, tensioni interiori e mi diverto.
Come nasce un tuo gioiello? Da dove trai ispirazione?
My way, cantava Frank Sinatra. A modo mio…
Un "bigiù" viene alla luce per amore o per caso. Sempre però esiste una storia che ne determina la nascita. In alcuni casi restano solo decine di bozzetti irrealizzati, in altri l’elaborazione è immediata, spontanea. Posso venire folgorata da una forma o da un’ombra, da una sinfonia bastarda di colori o da uno stacco bianco/nero. Posso cominciare da un pezzo ormai introvabile ripescato nel cassetto, oppure dal desiderio di raccontare una fiaba con un monile. Resta immutato il valore aggiunto delle mie opere: la loro fragile originalità. Quando sono molto stanca utilizzo scorciatoie lavorative, ma in genere non ne sono soddisfatta. Quando il gioiello “tintinna” allora si che é pronto ad affrontare il mondo, e con esso la mia perenne, critica attenzione. Allora ne elaboro la scheda, lo fotografo, lo catalogo e qualche volta lo accompagno con qualche verso.
"Impatiens. Agli Spiriti della Foresta". Disponibili nel bookshop del MUSEC.
Parliamo di fotografia, secondo te una foto può considerarsi vecchia?
La vecchiaia formale dipende dal mezzo utilizzato più che dal tempo trascorso. Ho iniziato a fotografare sperimentando pellicole FUJI e KODAK B/N o a colori. Alcune immagini sembrano cartoline d’antan, ma non le ho mai trasformate in digitale. In altri casi impressionavo diapositive. Sono state tutte buttate nel trasloco americano senza rimpianto. Ora privilegio il mio Samsung con cui mi sono dedicata a elaborazioni più complesse; tutto in digitale con poche correzioni perché mi annoiano. Le immagini sono come le persone: devi essere colpita dalla fiamma interiore oppure dal loro quid.
Il bianco e nero veicola meglio un messaggio rispetto a una fotografia a colori?
Al Liceo mi hanno “tontonato” con la teoria delle ombre e con i disegni architettonici a china e pennino. Così ho perso ogni emozionante ricordo di quando alle elementari mi pascevo di tutti i colori del mondo. Mi è rimasta questa discrasia, questo squilibrio tra il fascino del bianco e nero, della luce versus l'oscurità dei dettagli che solo un'ombra è in grado di cogliere. Posso apprezzare i grafismi, i tratti nitidi o sbavati del carboncino, ma vengo colta dalla mia fulminante e inaspettata passione per le tinte, per le foglie cangianti o per i mercati etnici che mi mandano in bulimia.
Mi hai accennato che ami cogliere il vuoto nella foto e riprendere situazioni inusuali ci puoi approfondire questa scelta?
In una delle mie raccolte ponderate di fotografie ho espresso il piacere di cogliere i pieni e i vuoti, i dettagli, i detriti, i back-stages. In generale il "troppo pieno" mi soffoca, anche se mi piace curiosare sulle bancarelle o nei mercati rionali, tipo suk. Il vuoto d'altro canto mi affascina soprattutto in architettura, dove è fondamentale per scandire gli spazi. Grazie al vuoto mi capita di allineare i pensieri, divento lucida e affilata come la lama di un coltello. Un unico pieno circondato dal vuoto assoluto. In merito ai detriti ho una passione tutta particolare. Il detrito è nobile, non corrisponde a immondizia, quest'ultima è materiale di rifiuto, mentre il primo nasce dal logorio. Mi piacciono i detriti, potrebbero avere una fine migliore di quella che in genere li attende. Non frugherei nel marciume, se non con i guanti di gomma e in occasioni molto particolari. Tuttavia potrei prendere in considerazione i rimasugli di oggetti, sogni e ricordi. Ritengo che dovrebbero essere rivalutati e rivisti con ottica diversa. Ho conosciuto avanzi viventi che mantenevano solo una parvenza di emozioni e di soffio animale. Peggio ancora chi li valutava senza un briciolo di compassione e tolleranza. Umani o subumani a parte, ben più degni della mia filosofia spicciola, mi intrigano i detriti quelli veri, magari riciclabili o riutilizzabili in fantastiche e immaginifiche forme. Nascondono anime perse e permettono alla mente di spaziare e divagare senza limiti. Su un detrito si può architettare un’epopea. E poi, ci sono i dettagli… "Circostanza minuta, ma non sempre trascurabile, dato o elemento particolare“. Parola del dizionario e mia definizione. Nel flusso dei pensieri sono basilari. Puoi perderti e svanire nel loro vortice. Magari poi non ricordi la centralità dell’argomento, ma non importa. Esistono dettagli affascinanti, imprescindibili e rivelatori. Empatia e tattica vivono di particolari, di gesti inespressi, di minuzie poco appariscenti. Il dettaglio mi si confà.
Disponibile nel bookshop del MUSEC.
Cos’è la bellezza per te?
Bellezza è un alcunché, un “quid” che fa tintinnare lo spirito. Non teme il tempo e rimane illesa nel suo fascino. Si narra che la bellezza sia ammaliante, quasi diabolica. Per me é l’indefinibile essenza che ti coglie impreparata all’incantesimo, che sfugge allo sguardo altrui, ma che tu percepisci. Nell’ultima esposizione al MUSEC di Attasit Pokpong lo stesso acquarello di volti disperati e straziati dalle lacrime è stato definito bellissimo, oppure, più banalmente, da non inserire in una camera da letto. Visioni personali… Non rimpiango eccessivamente la bellezza della gioventù. Mi è costata cara. Preferisco il fascino perché puoi esserne avvolta anche in vecchiaia.
Viviamo in un mondo dominato dall’apparenza… apparenza - apparire a seconda della declinazione può essere una parola positiva o negativa, tu cosa ne pensi?
Quando ero una giovane donna, impazzava un saggio di Fromm: “Avere o Essere” che trattava di oggetti e sentimenti e del fatto che ognuno di noi può scegliere. Quando ci facciamo un selfie per Instagram desideriamo ambedue i significati: uscire dall’anonimato, APPARIRE nella nostra interezza, emergere e nello stesso tempo acquisire uno spessore di APPARENZA, evidenziare la “buccia”, senza scalfire l’interiorità. In modo confuso crediamo di “essere”, mentre invece privilegiamo l’“avere”.
Chiese il Pesce alla Luna Bagliore. Disponibili nel bookshop del MUSEC.
Cos’è andato perduto rispetto al passato che secondo te era importante?
"La conoscenza dei propri limiti e il prendersene la responsabilità" non so se si è proprio persa o se è solo obsoleta. Le persone cercano disperatamente, bombardate da mantra illusori, di andare oltre i confini individuali, rimangono ignare e destinate a una frustrazione, invidia nonché depressione inevitabile. Inoltre, la fuga dalle responsabilità è devastante. La colpa viene attribuita agli altri, dato che tu sei onnipotente. Il narcisismo imperante è deleterio sia a livello sociale sia personale. Altro si nasconde dietro l’apparenza.
Umi Guizzo nell'acqua. Disponibili nel bookshop del MUSEC .
La rivista si chiama Quid Magazine, perché vuole indagare il quid. Tu dove lo intravedi, nella tua vita o nelle tue creazioni?
Il quid in latino è un alcunché di indefinibile e anche di imperscrutabile, forse. Mi piacerebbe che gli altri lo prendessero in considerazione per me. Della mia vita ho scoperto da diverso tempo che non amo parlare se non tra persone note, amici o affetti. Per le mie “creature" siano esse scritti, disegni, immagini, versi o "bigiù" vale la regola della bellezza, se fanno tintinnare l’anima rispondono ai miei desideri e mi fa piacere che siano apprezzati. Mi sento un po’ Cornelia, madre dei Gracchi…
Oltre che essere un’artista di gioielli sei anche un’appassionata collezionista. Cosa ti piace del tuo “collezionismo”? Perché ti piace circondarti di diversi oggetti e soprattutto quale arte (di quale nazione o regione) senti più vicina a te?
Non sono una grande collezionista perchè non impazzisco se non ho la figurina Panini che mi manca. Mio marito e io amiamo circondarci di oggetti che per noi possiedono il “Quid”, quello con la Q maiuscola che abbiamo riconosciuto immediatamente. Chi ci conosce sa che ogni dettaglio della nostra casa rappresenta uno spiraglio del nostro vissuto, una storia, un appunto di viaggio, un ricordo. Senza particolari preferenze.