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 Attasit Pokpong, Transition Time, 2023, olio su tela. 79,5 × 129 cm. ©Attasit Pokpong

 

La personale di ATTASIT POKPONG uno dei maggiori esponenti dell'arte contemporanea thailandese 

La rassegna inaugura il progetto Global Aesthetics del MUSEC, dedicato all’esplorazione del rapporto tra l’arte contemporanea e il contesto ideologico e culturale in cui essa si muove.

Il MUSEC ospita dal 7 aprile all’11 giugno 2023 la personale di Attasit Pokpong (Bangkok, 1977), uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea thailandese.

L’esposizione dal titolo The Presence, curata da Giancarlo Ermotti, Paolo Maiullari e Nora Segreto, raccoglie 29 dipinti a olio di grandi dimensioni e 22 acquerelli raffiguranti volti di donna. È questo il soggetto che, dopo la ricognizione sui paesaggi naturali della Thailandia e su quelli urbani di Bangkok, è diventato l’elemento più caratteristico della produzione di Pokpong tra il 2008 e il 2023, nella quale l’artista elabora uno stile tutto personale, diventando anche il precursore di un nuovo modo di proporre il ritratto femminile. Nei primi mesi del 2023 l’artista ha creato 14 nuove opere appositamente pensate per essere esposte nello Spazio Cielo del MUSEC.

La donna di Attasit Pokpong, i cui lineamenti sono ispirati a quelli della moglie, è quasi sempre impassibile, ritratta in primo piano e frontalmente. Il taglio netto dei capelli incornicia il viso, dove si distinguono le labbra dai toni accesi che sottolineano il suo fascino e i tratti orientali dell’ovale rendono il suo sguardo penetrante, capace di comunicare con lo spettatore.L’artista thailandese definisce il suo lavoro “un’arte della presenza”, dove la mediazione della figura femminile testimonia l’incontro tra le molteplici specificità del mondo. Per Pokpong, il volto femminile è il simbolo assoluto dell’emozione e la forma comunicativa per antonomasia, nonché il veicolo espressivo ideale della sua2arte, in quanto capace di affascinare e inquietare il suo mondo interiore, accrescendone le potenzialità creative.

Una delle cifre più riconoscibili del lavoro di Pokpong è anche il colore. Dopo un primo periodo in cui l’impatto dei ritratti di donna era centrato sulle labbra, la vividezza cromatica si è estesa a tutto il volto, fino a impossessarsi della superficie intera della tela nelle opere più recenti. Un tale cambiamento corrisponde a un’espansione dell’indagine dell’artista che, attraverso l’estetica femminile, indaga anche la società contemporanea. Le cromie dei suoi dipinti attingono i significati dai colori della storia, della società, della politica e della cultura sia thailandesi sia del mondo globalizzato, assumendo la funzione di un codice che celebra la diversità e auspica un presente di convivenza rispettosa. Pokpong ha recentemente sperimentato un nuovo registro comunicativo costituito dal riflesso di persone e cose sulle lenti degli occhiali da sole delle sue protagoniste. I soggetti non mostrano solamente la realtà sensibile, ma anche quella interiore, fatta di passato e presente, radici e nuove identità. Attraverso lo specchio Pokpong evoca la società contemporanea, il passato, l’altro, il futuro, il cambiamento e invita lo spettatore a posizionarsi fisicamente dinanzi all'opera e calarsi direttamente nei temi proposti.

La rassegna inaugura il progetto Global Aesthetics del MUSEC, dedicato all’esplorazione del rapporto tra l’arte contemporanea e il contesto ideologico e culturale in cui essa si muove. I primi appuntamenti si soffermano in particolar modo all’Asia e all’Africa, oggi vivaci laboratori di sperimentazione artistica. “Le categorie che hanno sino a oggi circoscritto i diversi generi di museo risultano sempre più insufficienti per definire il complesso delle trasformazioni che investe la cultura - afferma Francesco Paolo Campione, direttore del MUSEC. L’approccio antropologico, alla base del progetto Global Aesthetics, prevede per sua natura il confronto e l’interazione delle diverse discipline con cui leggere la creatività contemporanea e si offre così come una sperimentata metodologia in grado di conciliare le diverse prospettive in gioco”.Accompagna la mostra un catalogo in lingua inglese pubblicato dalla Fondazione culture e musei.

Attasit Pokpong. Note biografiche

Attasit Pokpong è nato a Bangkok nel 1977. Sin da giovane è attirato verso il disegno, che approfondisce frequentando la Rajamangala University of Technology di Bangkok, dove si diploma in Belle arti nel 1998. La sua carriera inizia subito dopo gli studi. Dal 1999 prende parte a numerose mostre collettive e nel 2009, nella capitale thailandese, apre la Magic Gallery al fine di disporre di uno spazio permanente dove presentare i suoi lavori. Dal 2009 in poi espone in numerose mostre personali che lo portano oltre i confini della Thailandia e dell’Asia, in Paesi quali Cambogia, Cina, Corea, Taiwan, Belgio, Francia, Italia e gli Stati Uniti. L’esposizione del MUSEC è la sua prima personale in Svizzera.Sensibile al riconoscimento di una nuova realtà multiculturale e conscio dell’apporto costruttivo che l’artista può dare all’attuale contesto segnato da molte fragilità, nel 2012 Pokpong ha inaugurato il progetto V64 Art Studio, un punto d’incontro a disposizione della comunità artistica thailandese, un “luogo della creatività” ben visibile e aperto al mondo.ATTASIT POKPONG. The PresenceMUSECVilla Malpensata (via Giuseppe Mazzini 5), Lugano7 aprile – 11 giugno 2023Con il sostegno diCittà di LuganoRepubblica e Cantone Ticino, Fondo SwisslosFondazione Ada Ceschin e Rosanna Pilone, Zurigo.

 



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Alle OGR Torino "Perfect Behaviors. La vita ridisegnata dall’algoritmo" 

La mostra collettiva a cura di Giorgio Olivero.

Mercoledì 29 marzo alle OGR Torino, cultura contemporanea e tecnologia si fondono con Perfect Behaviors. La vita ridisegnata dell’algoritmo la mostra collettiva a cura di Giorgio Olivero, che rappresenta un’indagine sul cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi in una società in cui si è costantemente classificati, misurati, simulati e riprogrammati.

Per la giornata inaugurale della mostra, le OGR Torino propongono al pubblico un programma articolato, con un appuntamento del Public Program a cura della Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea CRT dedicato al tema del metaverso; una serata di opening pubblico che lascia aperti i binari fino a mezzanotte, e una performance musicale live realizzata in occasione della mostra. Dopo la presentazione stampa della mattina, alle ore 18.00 nel Duomo, il pubblico è invitato a partecipare a Metaversando...prospettive e percorsi nei metaversi dell'arte contemporanea, incontro con Luisa Ausenda e Marco Mancuso, moderate da Ilaria Bonacossa, parte del progetto METAmorphosis. L'accesso è gratuito su prenotazione.

Dalle ore 20.00 alle ore 24.00 i Binari 1 e 2 si aprono per il lungo opening della mostra collettiva. Fino al 25 giugno l’esposizione presenta opere di Universal Everything (Regno Unito), Paolo Cirio (Italia), Eva e Franco Mattes (Italia), Brent Watanabe (Stati Uniti), Geumhyung Jeong (Corea del Sud) e James Bridle (Regno Unito) orientate al raggiungimento di un obiettivo comune: restituire al visitatore narrazioni alternative al determinismo tecnologico dominante, contribuendo a rendere visibile ciò che è invisibile, anche se vicino. In un contesto in cui la quantificazione della vita quotidiana è ad opera di sistemi sempre più sofisticati di raccolta dati, la mostra mette in discussione l’idea di intelligenza artificiale come potente creatura autonoma all’interno di opache scatole nere, sottolineando invece come, dietro agli strumenti di misurazione delle interazioni, ci sia sempre l’intervento di qualcuno.

Dalle 21.00 alle 21.45 nel Binario 3Lorem, artista visivo e musicista,  presenta in occasione dell’opening il nuovo live AV, Tesh. Versione performativa del nuovo capitolo dell'opera Distrust Everything, il live combina trascrizioni di sogni e letteratura weird attraverso l'uso di sistemi di machine learning, intrecciando elementi sonori e narrativi all'interno dell'immaginario distorto e onirico tipico della sua produzione. Tesh è un inno all'immaginazione come via di fuga dal realismo che grava sul nostro linguaggio e sulla nostra esperienza del mondo. Accesso gratuito su prenotazione.

 



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SARENCO. La Platea dell'Umanità alla CAMeC di La Spezia 

Fra i più significativi interpreti del secondo Novecento italiano ed internazionale, Sarenco è stato poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo e organizzatore di eventi culturali internazionali.

Sarenco al CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia nel nome della Poesia Totale. S'intitola "La Platea dell'Umanità" la grande mostra antologica curata da Giosuè Allegrini, che dal 31 marzo 2023 al 14 gennaio 2024 sarà allestita al primo piano del museo.

Promossa dal Comune della Spezia, prodotta dal CAMeC e dalla Fondazione Sarenco, l'esposizione antologica sarà inaugurata venerdì 31 marzo alle ore 18.00.

Fra i più significativi interpreti del secondo Novecento italiano ed internazionale, con presenze a Documenta 5 di Kassel e a varie edizioni della Biennale di Venezia, Sarenco è stato poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo e organizzatore di eventi culturali internazionali come la Biennale di Malindi, la cui terza e quarta edizione furono curate da Achille Bonito Oliva.

«Sarenco - scrive il curatore Giosuè Allegrini - è stato fra le figure più dotate, attive, imprevedibili ed esplosive della ricerca artistica contemporanea in Italia e non solo. Teoretico della Poesia Totale, l'idea creativa di Sarenco era quella di manifestare il fatto che ai poeti niente potesse essere precluso: la pittura, la scultura, la ceramica, la performance, i concerti, il teatro, il video e il cinema: da qui il concetto, appunto, di Poesia Totale. Ciò che desideriamo proporre, con questa mostra, è il "Sogno di Sarenco sull'Arte"; quella forma poetica anarchica e rivoluzionaria, al contempo pubblica, anticonformista e dissacrante, tramutato in realtà, ed attraverso di essa porre la luce dei riflettori sulla cultura italiana, europea e internazionale del secondo Novecento, in rapporto alla società dei consumi e della comunicazione e più in generale a tutti gli "ismi" condizionanti, a vario titolo, il mondo in cui viviamo».

Il percorso espositivo comprende circa 170 opere rappresentative di un percorso cinquantennale, a loro volta affiancate da immagini e documenti bibliografici e archivistici, rivelativi del particolare periodo storico vissuto (riviste di esoeditoria, manifesti, fotografie, locandine ecc), molti dei quali estremamente rari e alcuni anche inediti.

Un florilegio di opere, dai progetti visual-poetici del 1963, "Traditi", "Grande Strage", "Finalmente l'Avanguardia", governati dalla potenza paroliberista futurista e dagli echi grafici di Mallarmè, transitando per le tele emulsionate, ironiche e rivoluzionarie, come "Il popolo è forte armato vincerà" o "Avanti o popolo alla riscossa", in cui gli angeli oranti di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni di Padova, si trasformano in coristi del ritornello di Bandiera Rossa. Altro esempio è costituito dal ciclo di lavori in cui Sarenco ironizza sulle nature morte di Morandi, il pittore di Grizzana, sbeffeggiando la loro freschezza e originalità con giochi di parole quali "Più morta che natura", "Mors tua natura mea", "Morituri te naturant". Seguono i collage e gli assemblage degli anni ‘70 e successivi, come "Poetical Licence" e i cicli "Tabù" e "Tempo"; quindi le grandi installazioni, come "I miei poeti": quattro gigantesche sculture bianche raffiguranti Marinetti, Breton, Tsara e Apollinaire, rappresentative della levatura infinita della poesia, o gli "Autoritratti africani", ironici e beffardi. Ecco poi comparire, il ciclo di opere legate ai ritratti delle "Poetesse" pellerossa di stirpe sioux, apache, comanche, navajo e in generale di tutti i popoli nativi dell'America, che rimandano al senso assoluto di libertà, di emancipazione da tutti i condizionamenti di ogni epoca e grado. Infine i cicli di opere "Il Poeta è nudo", "Solo come un poeta" e "Andiamo a scuola" danno palese evidenza di quanto Sarenco abbia caparbiamente rifuggito l'omologazione, nel corso dell'intera esistenza, sempre pronto a testimoniare attraverso l'azione poetica, creatrice e rivoluzionaria, provocatoria e dissacrante, il senso profondo della vita.

L'esposizione sarà visitabile fino al 14 gennaio 2024, da martedì a domenica dalle 11.00 alle 18.00, chiuso il lunedì, aperto il Lunedì di Pasqua e il 1° maggio, Natale e Capodanno. Ingresso intero euro 5, ridotto euro 4, ridotto speciale euro 3,50. Per informazioni: tel. +39 0187 727530, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., http://camec.museilaspezia.it.

Nel corso della mostra, la Fondazione Sarenco pubblicherà un catalogo bilingue italiano / inglese a cura di Giosuè Allegrini con fotoriproduzioni a colori delle opere e dei documenti esposti e saggi critici di vari autori: Giosuè Allegrini, Achille Bonito Oliva, Bernard Heidsieck, Oriano Mabellini, Enrico Mascelloni, oltre all'ultima intervista di Sarenco, rilasciata a Claudia Capelli.

Sarenco, al secolo Isaia Mabellini (Vobarno, 1945 - Salò, 2017). Poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo, organizzatore: è stato fra le figure più dotate, attive, imprevedibili ed esplosive della ricerca artistica contemporanea in Italia e nel mondo. Frequenta il Liceo Classico "Arnaldo" di Brescia e studia Filosofia alla Statale di Milano. Nel 1961 inizia a scrivere le sue prime poesie lineari. A partire dal 1963 inizia ad occuparsi di ricerche poetico-visive stringendo i primi contatti con gli artisti del "Gruppo 70", nel quale entrerà ufficialmente l'anno successivo. Il suo contributo al movimento si contraddistingue per il tono graffiante e caustico con cui elabora testi epigrammatici che associa ad immagini di provenienza varia dal mondo della comunicazione a quello dell'arte. Servendosi delle tecniche del collage, dell'assemblage o della tela emulsionata ottiene opere di forte impatto, che utilizza come strumento di lotta politica e culturale. Nel 1965 comincia la sua attività espositiva, avendo al suo attivo oltre 50 mostre personali e circa 1000 esposizioni collettive. Svolge un'intensa attività editoriale e organizzativa. Fonda riviste fra cui "Amodulo" nel 1968 e "Lotta poetica" nel 1971 e case editrici quali Edizioni Amodulo nel 1969, SAR.MIC nel 1972 e Factotum Art nel 1977. Fonda gruppi come il Gruppo Internazionale di Poesia Visiva (o Gruppo dei Nove) e i Logomotives. Dal 1982 Sarenco intraprende numerosi viaggi fra Asia e Africa, immettendo energie nuove nelle sue creazioni cariche di ironia. Da questo momento il continente africano diventa protagonista all'interno della sua produzione artistica. è stato organizzatore di quattro edizioni della Biennale Internazionale d'Arte di Malindi, in Kenya (2006-2008-2010-2012). Scrive il suo primo soggetto cinematografico nel 1968, che poi girerà nel 1984 con il titolo "Collage". L'anno successivo viene invitato a presentare la pellicola al Festival del Cinema di Venezia. Seguiranno molti altri lungometraggi. Ha pubblicato oltre quaranta libri e realizzato quindici film. È stato regolarmente presente nelle più importanti rassegne d'arte internazionali, fra cui quattro edizioni della Biennale di Venezia (1972, 1986, 2001 - curatore Harald Szeemann, con Sala Personale - e 2011), Documenta Kassel (1972), la Biennale di Siviglia (2004, insieme a Cattelan), Stedelijk Museum di Amsterdam (1970), Centre Pompidou di Parigi (1989-1994), Museum of Modern Art di New York (1986), MART di Rovereto (2007-2013-2015), Museo del Novecento di Milano (2013). Nel 2018 alcune sue opere sono state esposte al CAMeC della Spezia nell'ambito della mostra "Poetry and Pottery. Un'inedita avventura fra ceramica e Poesia Visiva", a cura di Giosuè Allegrini e Marzia Ratti.

 



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 At the studio, veduta dell’allestimento, Collezione Giancarlo e Danna Olgiati © Agostino Osio

 

"At the Studio" alla Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lugano 

Racconta in modo autobiografico lo sguardo dell’artista verso le grandi avanguardie del passato e nello specifico del suo amore per la pittura del ’600.

Dal 26 marzo all’11 giugno 2023, la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, proseguendo il lavoro di ricerca e presentazione della loro raccolta, allestisce una mostra dal titolo At the Studio a cura di Danna Olgiati con un saggio di Alberto Salvadori.

Partendo dal titolo dell’opera di Ilya Kabakov, che racconta in modo autobiografico lo sguardo dell’artista verso le grandi avanguardie del passato e nello specifico del suo amore per la pittura del ’600, la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati come di consueto presenta nella primavera del 2023 una mostra dedicata principalmente ad opere, molte delle quali di recente acquisizione, in dialogo costante tra presente e passato dove il concetto di studio d’artista si esplicita attraverso varie forme e media.

At the Studio

At the Studio variation n.3 2021 di Ilya Kabakov dà inizio alla stagione espositiva 2023 organizzata dalla Collezione Olgiati rivolta ad indagare e interrogare il percorso che ha generato una delle maggiori raccolte d’arte della Svizzera. Questo progetto nasce dalla volontà di Danna e Giancarlo Olgiati di muoversi all’interno di uno spazio fisico e mentale ben definito, quello dello studio, della casa scrigno, dei due collezionisti dalla forte attitudine umanista. Nel corso degli anni per loro vivere con e per l’arte li ha portati verso quella situazione dove lo sguardo dell’uomo si spegne e si illumina quello dell’artista.

La grande tela dell’artista ucraino, punto di partenza dell’intero progetto, fa emergere composizioni sontuosamente cariche d’allusioni con l’uso dolcemente desueto del riferimento alla grande pittura del passato. In quest’opera di Kabakov, carica di simboli e significati doppi, grazie all’escamotage dello specchio non è soltanto un trucco del mestiere, per le possibilità formali e figurative che consente e per le deformazioni, i ribaltamenti, ma anche un oggetto d’affezione. Lo schema è quello reso celebre da Velazquez nel suo capolavoro Las Meninas 1656, probabilmente uno dei dipinti più studiati di sempre, grazie al quale viene introdotta una nuova possibilità del vedere e dell’essere in dialogo con l’opera d’arte, facendo sì che il pubblico divenisse la figura sovrana nel rapporto con l’opera. Il quadro nel quadro. Nel dipinto At the Studio variation n.3 Ilya Kabakov mescola l’allusione alla tradizione classica della figura dell’artista con la presenza della bambina in azione - in attesa, inattiva, come in Velazquez - che con la sua acerba e istintiva propensione alla creazione infrange qualsiasi regola. In mostra convivono opere molto diverse tra loro come il mosaico settecentesco, destinato ad una visione privata e rimasto in tale condizione per molti secoli, sorgente di devozione papale, fino a quella di un prelato molto importante come Rosmini, passando poi agli avi del collezionista, con quelle di artisti perfettamente aderenti al nostro tempo, contemporanei, attuali. L’attraversamento di uno studio d’artista vuol dire incontrare qualcosa che forse ci aspettiamo ma che non conosciamo.

 

at the studio

At the studio, veduta dell’allestimento, Collezione Giancarlo e Danna Olgiati © Agostino Osio

 

La mostra si svolge in un susseguirsi di stanze nelle quali artisti di differenti epoche convivono in un dialogo ricco di assonanze e rimandi visivi, concettuali e sentimentali nei quali si incrociano livelli di pensiero differenti. Pietro Roccasalva che ben dialoga con i due fratelli più inafferrabili, disgreganti, del ‘900 italiano e non solo, De Chirico e quel genio di Savinio. A seguire una riuscita combine che vede assieme Rachel Whiteread con i suoi pieni del vuoto, in questo caso espressione di un sentimento di morandiano sapore, che ben si armonizzano con la natura morta di Severini affiancata dagli oggetti biomorfi presentati in fotografia da Nairy Baghramian. Questa immagine ci porta verso la regina di un surrealismo al femminile: Louise Bourgeoispresente in mostra con la scultura Petit Object VII 1966, della quale viene presentata una carta dal disegno labirintico e spiraliforme, ben ci introduce alla gioia di vivere, di esistere, alla musicalità di un maestro come Melotti. Questa stanza appare come un regalo da parte dei collezionisti al pubblico. Una serie di sculture fino ad oggi custodite e godute solamente in ambito privato sono presenti in mostra: Tempo felice del 1983, Lager del 1972, Mediterraneo 1975, New Orleans phantasie 1979 e i Centauri 1969. A seguire la presenza fantasmatica, dolce e conturbante di Marisa Merz e la pacatezza classica, piena di significati delle Notti Bianche di Giulio Paolini, felicemente affiancato da delle perle vere, rosa, di Paola Pivi. Poi Il sogno e colto riferimento di Emilio Isgrò con il suo Johanna Juditha (la veglia di Bach) 1985 ci immette nell’ambito dell’onirico, dove realtà e immaginazione convivono creando una nuova dimensione esemplificata da campi di colore, ambienti e architetture effimere, mentali, e viaggi interiori all’interno del corpo umano grazie a Pamela Rosenkranz e Henrik Olesen. Architetture che trovano compimento nelle visioni e nella scultura di Tatiana Trouvé, che con la sua luminescenza definisce lo spazio fisico e mentale della nostra presenza fisica. Lo spazio fisico innestato dall’artista franco italiana serve anche a ritrovare un sentimento necessario, quello dell’amicizia, della condivisione, del fare assieme. Ugo Mulas con le sue fotografie ce lo mostra. Le immagini che vediamo nascono dallo speciale rapporto di amicizia che si era stabilito tra lui e un gigante del ‘900 come Calder. Gli scatti vennero fatti durante uno dei soggiorni di Mulas presso la casa studio di Calder e a seguire l’intimità delle immagini di Cy Twombly nelle quali la predominante estetica compositiva trasmette un sentimento di grazia e piacere visivo assoluto. Camminando nella mostra appare il Violoncellista del 1931 del più grande scultore italiano dell’epoca Arturo Martini. La passeggiata finisce incontrando due camei, una foto graffia di Vincenzo Agnetti, irriverente, caustico, poetico, apodittico e profondamente colto e l’altro prezioso inserto è il senza titolo di Franco Vimercati; una zuppiera fotografata nella sua fissità atemporale e quintessenza del concetto di natura morta o piuttosto di still life, che restituisce al meglio la sua vita interiore. Questo è l’attraversamento di uno studio, pensato e costruito tra lo scrittoio dello studiolo e la pratica quotidiana di condivisone con gli artisti e con le loro opere, al fine di poter vivere una vita piena di significati. Tornando ai Kabakov, artisti concettuali per eccellenza, sanno benissimo che il quadro non è uno specchio che riflette tutto quanto essi hanno vissuto ma hanno la consapevolezza che è un oggetto potente, espressivo.

Artiste e artisti in mostra: Vincenzo Agnetti, Nairy Baghramian, Louise Bourgeois, Giorgio de Chirico, Emilio Isgrò, Ilya Kabakov, Arturo Martini, Fausto Melotti, Marisa Merz, Ugo Mulas, Henrik Olesen, Giulio Paolini, Paola Pivi, Pietro Roccasalva, Pamela Rosenkranz, Alberto Savinio, Gino Severini, Tatiana Trouvé, Cy Twombly, Franco Vimercati, Rachel Whiteread.

 



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Villaggio bluVillaggio bluPastello a olio su carta. 26×29,3 cmDisegno di Asō Toshio, bambino di età compresa presumibilmente tra gli otto e i dieci anni della Scuola elementare ordinaria Sakai di Kokura, nella prefettura di Fukuoka. Il comune di Kokura fu aggregato nel 1963 alla città di Kitakyūshū

 

LA MEMORIA DELLA MODERNITÀ - DISEGNI DI BAMBINI GIAPPONESI DELLA RACCOLTA LEVONI 

Un affascinante progetto ricco di incontri fortuiti, intuizioni, colori e creatività.

Il MUSEC inaugura un nuovo appuntamento del ciclo «Dèibambini» a Villa Malpensata con un affascinante progetto ricco di incontri fortuiti, intuizioni, colori e creatività.

La sua storia inizia nella primavera del 1997 quando Gloria Levoni, appassionata collezionista e mecenate mantovana, scopre fra le bancarelle del mercatino dell’antiquariato di Fontanellato (Parma) una raccolta di disegni infantili dai formidabili cromatismi. D’acchito, i disegni le ricordano i dipinti di epoca Heian (794-1185) che illustrano la Storia di Genji, il principe splendente, romanzo giapponese dell’XI secolo, allora sul suo comodino. Decide così, di slancio, di acquistare quei disegni pervasi di Oriente: paesaggi, case, giardini e scene di vita quotidiana che la emozionano, echeggiando liricamente le sue letture. È l’inizio di una vicenda ricca di sorprese che porterà, in poco tempo, a capire che si tratta del fragile frammento di un’immensa quantità di opere cancellate dal tempo: circa quattro milioni di disegni realizzati nel 1938 per un concorso fra i bambini (8 – 13 anni) delle scuole dei Paesi dell’Asse – Giappone, Germania e Italia – organizzato dalla Morinaga & Co., una grande industria dolciaria fondata a Tokyo nel 1899.

Fra il 2002 e il 2006 i disegni sono oggetto di alcune esposizioni temporanee, in Giappone e in Italia, che ne rivelano l’esistenza e pongono le premesse per la loro futura valorizzazione.

Affidati alle cure di un’équipe internazionale di studiosi di diverse discipline, nell’àmbito delle ricerche del progetto «Dèibambini», le opere della Raccolta Levoni si sono rivelate un prezioso nucleo storicizzato che permette di esplorare a fondo uno specifico universo ideologico e artistico.

Se l’obiettivo sotteso degli educatori giapponesi coinvolti nel concorso Morinaga fu di mostrare il ritratto di un Paese che aveva raggiunto, dopo tre generazioni, la piena «apertura alla civiltà» (bunmei-kaika) preconizzata da Fukuzawa Yukichi (1835-1901), la Raccolta Levoni ci permette di rilevare, forti e chiari, i segni della sopravvivenza della tradizione culturale locale.

Agli edifici di stampo occidentale, ai ponti di metallo, alle stazioni di rifornimento e ai pali della luce, fanno da contraltare i giardini, le tegole di ceramica invetriata, le finestre di carta di riso, le case rurali con i tetti di paglia, le pagode, gli stendardi con le carpe per la festa di maggio, le lanterne di pietra e gli onnipresenti cani-leoni guardiani dei templi shintō.

I cromatismi, poi, gli stessi dell’ukiyo-e, sono una sorta di elemento identitario che segna la radicata continuità di una certa visione del mondo.

L’elemento visivo dominante delle opere della Raccolta Levoni è la presenza di un colore spesso, materico, virato in una molteplicità sorprendente di cromatismi contrastanti: quasi che la gioia innata che caratterizza l’orizzonte creativo dei bambini fra gli otto e i tredici anni avesse trovato un suo mezzo elettivo di espressione. I disegni meravigliano per l’intensità dei pastelli a olio con i quali sono realizzati, e grazie ai quali la percezione dei segni e delle forme si trasforma in un’intima pervasione: il colore vibra e si imprime interiormente, permane e seduce, mettendoci in comunicazione immediata con un universo fenomenico infantile.

Il perfezionamento di uno strumento pittorico così efficiente e adatto alle potenzialità espressive dei bambini giapponesi si deve al genio del pittore Yamamoto Kanae (1882-1946), che fu tra i fondatori del movimento modernista Sōsaku-hanga («Stampe creative»). Le sue teorie pedagogiche, ampiamente adottate nelle scuole elementari del tempo, sostenevano l’importanza dell’autoapprendimento creativo, del disegno dal vero en plein air e di un uso massiccio del colore, lasciando al bambino la scelta dell’oggetto della rappresentazione e la massima libertà degli accostamenti cromatici.

In mostra nello Spazio Maraini, al piano -1 di Villa Malpensata, vi saranno cinquanta disegni realizzati con pastelli a olio su carta e tre acquerelli su carta. Arricchiscono l’esposizione curata da Francesco Paolo Campione e Sabrina Camporini, due maschere della Collezione Montgomery di Lugano raffiguranti la testa di un leone [shishi gashira] dalle grandi fauci, con le orecchie e la mandibola mobili, adoperate nelle danze del folklore giapponese. Saranno inoltre esposte una copia del raro volume pubblicato in occasione dell’esposizione temporanea dei disegni infantili del concorso Morinaga, tenutasi a Tokyo alla fine del 1938, e una scultura dell’artista Hayami Shirō (n. 1927), che fu uno dei bambini premiati in quel concorso, divenuto un artista apprezzato e riconosciuto in Giappone. L’opera in terracotta e lacca, realizzata nel 2008, è stata recentemente acquisita da Gloria Levoni, che l’ha messa generosamente a disposizione del MUSEC per la mostra.

Il progetto «Dèibambini»

«La memoria della modernità» è l’undicesimo appuntamento del ciclo «Dèibambini», un progetto del MUSEC che nasce nel 2005 come piattaforma d’interazione fra il museo e la scuola. Nei suoi primi dieci anni di vita il progetto ha consentito ai bambini di cimentarsi su temi diversi, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza delle proprie potenzialità e della propria visione interiore e di rafforzare la capacità di interpretare il mondo. Con il trasferimento del MUSEC dall’Heleneum a Villa Malpensata, il progetto è stato rinnovato e il punto di partenza sono diventate le opere dei bambini del passato. L’idea è di costruire un ponte fra la creatività infantile di ieri e di oggi, attraverso l’esplorazione profonda dei contenuti espressivi che non soltanto interconnettono le culture, ma che sono serviti come straordinaria fonte per il rinnovamento dei linguaggi artistici del Novecento. Un ponte solido e pieno di poesia, per collegare tra di loro le generazioni.

L’esposizione è corredata da un catalogo scientifico in italiano, pubblicato come undicesimo numero della collana «Dèibambini».

Catalogo

La memoria della modernità. Disegni di bambini giapponesi della Raccolta Levoni, a cura di Francesco Paolo Campione e Sabrina Camporini, Fondazione culture e musei, Lugano 2023. Il volume è introdotto da una lunga conversazione tra Gloria Levoni e Francesco Paolo Campione in cui la collezionista racconta sé stessa, la storia e il valore della sua raccolta (pp. 13-56).

La riproduzione del recto e del verso di tutte le opere è accompagnata da schede scientifiche (a cura di Izawa Akiko) e approfondimenti tematici (a cura di Francesco Paolo Campione e Moira Luraschi) che permettono d’interpretare i disegni e il loro contesto creativo (pp. 57-199).

Segue una conversazione tra Mieko Namiki Maraini e Sabrina Camporini che, a partire dai ricordi evocati alla memoria dai disegni della Raccolta Levoni, tratta dei modelli educativi della scuola e della cultura giapponese degli anni Quaranta (pp. 203-211).

Il tema dell’esposizione è infine approfondito dai seguenti articoli:

- Sabrina Camporini, L’incanto dirompente del colore (pp. 213-231) sulle tecniche, la concezione, la struttura grafica e la grammatica visiva delle opere in esposizione;

- Cristina Corti & Laura Rampazzi, Sulle tracce dei pastelli Sakura. Analisi non invasive dei materiali pittorici (pp. 233-236), a commento degli studi chimico-fisici sui pigmenti utilizzati per la realizzazione dei disegni;

- Chiara Ghidini, «Le mie piccole dita respirano». Il disegno infantile in Giappone negli anni Trenta (pp. 239-252) sulla figura e l’opera di Yamamoto Kanae e, più ampiamente, sulle tendenze pedagogiche giapponesi degli anni Trenta e la loro relazione con la cultura del tempo;

- Giorgio Bedoni, Disegni d’infanzia, cuore tensivo e memoria dell’immagine (pp. 255-263) sulla rilevanza della memoria visiva nel disegno infantile e sul suo rapporto con l’arte e la cultura delle Avanguardie;

- Marco Fagioli, Infantàsia, quasi vent’anni dopo (pp. 265-272) sulla lettura «linguistica» dei disegni infantili del concorso Morinaga e sulla persistenza della cultura figurativa giapponese nel loro sistema di rappresentazione.

INFO

La memoria della modernità. Disegni di bambini giapponesi della Raccolta Levoni

01.04 – 02.07.2023

Lugano (Svizzera), MUSEC | Museo delle Culture

Villa Malpensata, Riva Caccia 5/Via Giuseppe Mazzini 5 - entrata dal parco.

Con il patrocinio dell’Ambasciata del Giappone in Svizzera

Con il sostegno di Città di Lugano

Repubblica e Cantone Ticino, Fondo Swisslos

Cultura in movimento. Aiuto federale per la lingua italiana

Fondazione Ada Ceschin e Rosanna Pilone, Zurigo

The Gabriele Charitable Foundation, Lugano

In collaborazione con

LAC Lugano Arte e Cultura, nell’ambito di LAC edu