russomarialba

 

Marialba Russo "Cult Fiction" al Centro Pecci di Prato

Mostra personale a cura di Cristiana Perrella.

  1. Gió Marconi ha il piacere di annunciareCielo digiugno, la prima personale di Enrico David in galleria.Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete diorizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze edisegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensatieappuntati durante il periodo diconcepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale.Cielo digiugnomarca una soglia nellapratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati inmedia e linguaggi differenti. La loro sequenza,oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David comepittore e ha comepretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primobuio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terrao su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che comescriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e inpratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dellospazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono icontenuti.Il fraternosilenzio del fango(2020) eZattera viva(2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno dellamalinconia si abbandonano alla caducità, ozattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consuetaintonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non hacorpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come inuna sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, omeglio, del come fare della pittura nel modo menopittorico possibile.Bassa marea al molo,Fossa madre,Cielo trema o niente, oPunti di fiamma,Salvezza trovata in cielotutti del2020, comeCielo di giugnoche da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo piùrapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poiricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementidi natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dellospazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale lamaterialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro trala caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravviveall’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.Enrico David (n. 1966, Ancona, Italia) vive e lavora a Londra.Tra le suemostre più recenti:Gradations of Slow Release,MCA, Chicago,Hirshhorn Museum and SculptureGarden, Washington (2019);58°Biennale di Venezia, Padiglione Italia a cura di Milovan Farronato, Venezia (2019);Fault Work, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2016);Autoparent, Lismore Castle Arts, Lismore(2016); TheHepworth Wakefield, West Yorkshire (2015); Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2015); UCLA Hammer Museum,Los Angeles (2013);55°Biennale di Venezia a cura diMassimilano Gioni, Venezia (2013);Head Gas, NewMuseum, New York (2011);Repertorio Ornamentale, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2011);How DoYou Love Dzzzzt by Mammy?, Museum für Gegenwartskunst, Basilea (2009);Bulbous Marauder, Seattle ArtMuseum, Seattle (2008);Ultra Paste, ICA, Londra (2007)e50°Biennale di Venezia a cura diFrancesco Bonami,Venezia (2003).
     
 
 
2 / 2
 
 
 
 

Dopo Soggetto Nomade – collettiva del 2019 in cui le sue immagini, insieme a quelle di altre quattro fotografe italiane, affrontavano il tema dell’identità femminile tra gli anni ’60 e gli anni ’80, – Marialba Russo torna al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato con Cult Fiction, mostra personale che dal 1 marzo al 15 aprile 2021 espone per la prima volta la celebre serie fotografica dedicata ai manifesti dei film a luci rosse apparsi nelle strade di Napoli e Aversa tra il marzo 1978 e il dicembre 1980, gli anni dell’apertura nel nostro paese delle prime sale cinematografiche specializzate e del conseguente boom del genere.

Presentando oltre 60 scatti tra i più significativi della serie, la mostra a cura di Cristiana Perrella riproduce nella sua installazione la materia effimera e il forte impatto della pubblicità stradale, con le immagini incollate direttamente al muro, restituendo in pieno la forza di un lavoro che ci parla, da una parte, della spinta alla liberazione sessuale di quegli anni, ma dall’altra anche di una raffigurazione del corpo della donna fortemente mercificato. La rivoluzione culturale, politica, sociale degli anni Settanta, che Marialba Russo (Napoli, 1947) ha documentato con sguardo antropologico in molte sue manifestazioni, finisce infatti con il mettere la rappresentazione esplicita dei corpi e della sessualità al centro di un nuovo mercato, favorendo lo sviluppo di un “cinema di genere” che se svela ipocrisie e arcaismi della società italiana non scardina però i consueti rapporti di potere.

In occasione di Marialba Russo. Cult Fiction il Centro Pecci propone Radio Luna, un palinsesto di conversazioni sulla nuova piattaforma social Clubhouse a partire dal 1 marzo. Radio Luna prende il nome dall’esperimento radiofonico lanciato nel 1975 con Ilona Staller – conduttrice della prima e unica “radio sexy” italiana che esplose proprio grazie all’apparizione dei film a luci rosse, diventando un fenomeno di costume – e ospiterà due appuntamenti settimanali, in seconda serata, dedicati all’approfondimento dei temi trattati dalla mostra, come il rapporto arte-pornografia, quello pornografia-femminismo e la rappresentazione del corpo della donna.