59° BIENNALE DI VENEZIA NEWS

 



art week

 

Il padiglione degli Stati Uniti presenta Simone Leigh: Sovereignty

 

Le sue opere scultoree di grandi dimensioni uniscono forme tratte dall’architettura vernacolare e dal corpo femminile, in materiali e prassi legati alle tradizioni artistiche dell’Africa ridefinendo il concetto di spazio, tempo ed esistenza.

In occasione della 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, il padiglione degli Stati Uniti presenta Simone Leigh: Sovereignty, commissionata dall’Institute of Contemporary Art/Boston (ICA) in collaborazione con il Bureau of Educational and Cultural Affairs del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

L’ampia produzione artistica in scultura, video e performance di Simone Leigh analizza la costruzione della soggettività femminile nera. Le sue opere scultoree di grandi dimensioni uniscono forme tratte dall’architettura vernacolare e dal corpo femminile, che Leigh costruisce in materiali e prassi legati alle tradizioni artistiche dell’Africa e della diaspora africana, ridefinendo il concetto di spazio, tempo ed esistenza. Per il padiglione degli Stati Uniti Leigh presenta Sovereignty (Sovranità), dove mescola storie e narrazioni disparate, comprese quelle relative alle cerimonie rituali del popolo Baga della Guinea, alla prima cultura materiale americana nera del distretto di Edgefield nella Carolina del Sud e alla storica Esposizione coloniale di Parigi del 1931. Con una nuova serie di opere in bronzo e ceramica, esposte all’interno e all’esterno del padiglione, Leigh interviene in modo creativo a colmare le lacune della memoria storica proponendo nuove tipologie di ibridi.

Dal bronzo monumentale che occupa il cortile del padiglione, all’intervento architettonico che trasforma la facciata dell’edificio, al film autoetnografico e alla serie di sculture figurative presenti nelle sale interne, nel loro complesso le opere esposte ampliano l’indagine dell’artista sul tema ricorrente dell’autodeterminazione. Il titolo della mostra si riferisce ai concetti di autogoverno e indipendenza individuale e collettiva, e allude agli obiettivi anticolonialisti cruciali per il movimento Négritude. Essere sovrani significa non essere soggetti all’autorità, ai desideri o allo sguardo altrui, ma piuttosto essere autori della propria storia.

Molte sculture esposte mettono in discussione l’estrapolazione di immagini e oggetti derivanti dalla diaspora africana e la loro diffusione come souvenir al servizio delle narrazioni coloniali. Per quanto presentino i soggetti come autonomi e autosufficienti, le opere figurative di Leigh non vogliono semplicemente celebrare la capacità delle donne nere di superare circostanze vessatorie, ma mettono sotto accusa le condizioni che tanto spesso le costringono ad affermare la propria umanità. Riconoscendo la capacità dell’opera di Leigh di articolare una visione di ampio respiro dell’esperienza femminile nera, la studiosa Saidiya Hartman ha definito l’approccio dell’artista al femminile nero “un’architettura della possibilità”. La “fabulazione critica” concepita da Hartman, una strategia che invita storici, artisti e critici a riempire creativamente le lacune della storia, offre un contesto importante per avvicinarsi alle opere di Leigh.

“Per dire la verità”, suggerisce Leigh, “bisogna inventare quel che può mancare nell’archivio, far collassare il tempo, occuparsi di questioni di dimensione, cambiare le cose dal punto di vista formale in modo da rivelare qualcosa di più autentico dei fatti”.

 

Parte della mostra a Venezia sarà anche un incontro in più giornate di studiose e artiste nere che si terrà nell’ottobre 2022, organizzato da Rashida Bumbray: Loophole of Retreat: Venice (La scappatoia del rifugio: Venezia). Il progetto riflette l’ethos collaborativo tipico della prassi artistica di Leigh, e rende omaggio alla lunga storia di collettività, condivisione e cura delle donne nere.

Considerando il padiglione degli Stati Uniti stesso come una scultura, Leigh ne trasforma l’architettura con un’installazione in paglia sulla facciata dell’edificio, che lo fa somigliare a un palazzo dell’Africa occidentale degli anni Trenta. L’intervento di Leigh introduce forme e materiali contrastanti, che hanno una propria storia e interagiscono con l’edificio neoclassico originale. Facciata si rifà alla storica Esposizione Coloniale di Parigi del 1931 allestita dalla Francia per esibire le culture e i popoli dei paesi allora sotto il controllo coloniale europeo.

Al centro del cortile esterno si erge Satellite, una scultura monumentale di 8 metri in bronzo. L’opera ricorda un tradizionale D’mba (detto anche nimba), maschera a spalla a forma di busto femminile creata dalle popolazioni Baga della costa della Guinea, usata durante le cerimonie rituali per comunicare con gli antenati. Leigh pone un’antenna satellitare fusa in bronzo in cima alla scultura, alludendo così alla funzione del D’mba come canale di comunicazione.

Nella prima sala del padiglione una scultura in bronzo che raffigura una lavandaia al lavoro, L’ultimo indumento, si riflette in una grande vasca. L’opera fa riferimento a una fotografia della fine dell’Ottocento scattata in Giamaica dal titolo Mammy’s Last Garment (L’ultimo indumento di Mammy). Cartoline con immagini simili svolsero un ruolo chiave nel propagare gli stereotipi creati dalla fiorente industria del turismo caraibico anglofono, e le immagini come questa fanno parte dell’economia visiva che costruì un’idea della Giamaica come immaginata dai suoi colonizzatori.

Due grandi opere occupano la galleria successiva. Anonimo riprende una fotografia del 1882, intitolata The Wilde Woman of Aiken, che ritrae una donna nera seduta a un tavolo su cui è posata una brocca Edgefield a forma di faccia, un tipo di oggetto realizzato da afroamericani negli stati del Sud. Questa fotografia razzista voleva essere una satira rivolta a Oscar Wilde, una contestazione della teoria estetica del poeta secondo cui qualsiasi cosa può essere bella. Leigh traspone la modella anonima della piccola fotografia in dimensioni più che umane e la colloca vicino a Brocca, che è alta quasi due metri e si discosta significativamente dai vasi tradizionali, soprattutto per le misure. Sulla superficie della brocca sono applicate forme simili a grandi conchiglie di ciprea, che hanno le dimensioni e la forma delle angurie che l'artista usa come stampi.

Sentinella si erge al centro della rotonda del padiglione degli Stati Uniti ed è una citazione di un importante genere di opere d'arte africane diasporiche, quello dei cosiddetti bastoni di potere, a cui erano attribuite energie e conoscenze divine. La scultura di Leigh unisce una forma femminile allungata a un oggetto tradizionalmente utilizzato nei rituali di fertilità. Il titolo dell’opera indica l’atto di vigilare, e assegna alla figura il ruolo di presenza vigile all’interno della mostra.

La penultima sala del padiglione riunisce la scultura Sharifa e il film Conspiracy in un dialogo a “chiamata e risposta”: il film cattura alcuni aspetti della realizzazione della scultura e insieme le due opere si soffermano su narrazioni di cura, lavoro e creazione. Realizzato dal vero nelle sembianze della scrittrice Sharifa Rhodes-Pitts, Sharifa è il primo ritratto mai eseguito da Leigh. Rhodes-Pitts appare anche nel video Cospirazione, che Leigh ha realizzato in collaborazione con la regista Madeleine Hunt-Ehrlich.

Il gruppo di opere riunite nell’ultima sala è concepito come un coro di figure realizzate in ceramica e rafia, due materiali da tempo fondamentali nella prassi artistica di Leigh. L’argilla è il materiale alla base della maggior parte delle sue opere, inclusi i bronzi che l’artista scolpisce dapprima in creta; Leigh spinge al limite le potenzialità del materiale in quanto a dimensioni e metodo. Nell’insieme, le opere esposte in questa sala testimoniano l’uso costante da parte di Leigh di forme e processi tradizionalmente connotati dall’identità sessuale, che potenziano la concezione essenzialista del corpo della donna nera.

Le opere che compongono la mostra di Leigh al padiglione degli Stati Uniti verranno esposte nella sua prima rassegna museale, che si terrà all’ ICA nel 2023. La mostra sarà accompagnata dalla prima monografia esaustiva dedicata all’opera di Leigh.