Fotografia e Arte - SECONDA PARTE 

 

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La nozione di “aura” nell’ambito della definizione di oggetti d’arte è stata introdotta da Walter Benjamin, che proprio sulla fotografia ha discusso questo termine. Nel passato estetica e bellezza erano inerenti al concetto d’arte, dai tempi moderni sono invece completamente assenti. Solo nella fotografia di moda, e in minor modo nella reclame, il concetto del bello e la sua rappresentazione persistono. Servono modelle perfette, internazionali (Naomi Campbell, Claudia Schiffer ed altre) fotografate attraenti in ambienti inabituali con tecniche particolari per indurre l’osservatore a sognare un esclusivo life style.

Il fotografo di moda elabora il prodotto artisticamente, focalizzando dettagli con filtri, ritagli, nascondendo altri elementi per captare la curiosità dell’osservatore e indirizzare l’attenzione sull’ambiente, senza ulteriori informazioni concernenti il prodotto offerto. La tonalità particolare della fotografia di moda è un messaggio, un invito.

Prima che ci rendiamo conto del messaggio di un quadro, il cervello ha già deciso se gli piace, se lo attira o no, perchè la percezione visiva condiziona direttamente l’emozione. Ogni quadro estetico ci coinvolge e ci tenta. La ratio, a scopo di distanziarci, e il pensiero critico, si istallano dopo.

 

 Avedon Richard Dovima con gli elefanti Parigi 1955

Avedon Richard, Dovima con gli elefanti, Parigi 1955

 

Il fotografo di successo e il marketing sanno che la visione di un quadro estetico è determinante per spingere l’osservatore più facilmente all’acquisto prima di “ripensarci”. Una gigantesca commercializzazione e l’intenso consumismo hanno condotto a far emergere i “brands”.

Nel frattempo anche la fotografia di moda divenne “Arte” con gli stessi critteri generali. Con giornali quali Vogue, Harper’s Bazaar e altri, la fotografia di moda si è conquistata una piattaforma con un linguaggio specifico e indipendente dal fatto che dietro riesiede l’incarico del mercato che paga per la pubblicazione; lo scopo è la vendita. L’esposizione 2012 e 2016 al Getty Museum di Los Angeles (Herb Ritt, Robert Mapplethorpe) ha catapultato la fotografia di moda nell’arte.

Il prezzo pagato poi nelle aste per fotografie di moda conferma il successo dunque anche sul mercato d’arte con prezzi strabilianti (Richard Avedon EUR 814.000). Va pure in questo contesto il bon mot di Alexander Libermann, 1992: “una fotografia di moda non è una fotografia di un vestito – è la fotografia di una donna”.

In contrasto con quanto sopra vorrei riflettere sulla categoria delle fotografie di guerra, ricordando sempre che l’elaborazione dell’immagine nel nostro cervello è primariamente emotiva. 

Nella Storia delle guerre e delle battaglie il nostro immaginario si basa primordialmente su quadri, fotografie, film e televisione, che intendono far vedere “una” realtà della guerra. Non di rado queste riprese e documenti sono delle messe in scena, fittizie che glorificano il passato o una persona e sono nate proprio a questo scopo. Già nell’antichità lo scopo era immortalare dell’eroismo.

 

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Alessandro Magno configge  Dario III 100 a. C., Pompei

     

 Battaglia di Poitiers nel 1356

Battaglia di Poitiers nel 1356, Cronache di Froissart del 1410 ca.

 

Simile era la tradizione di pittura delle guerre che riprendeva l’intenzione propagandistica.

 

 HMS Hood HMS Prince of Wales

HMS Hood,  HMS Prince of Wales Julius C. Schmitz-Westerholt (1941)

 

Nell’ultimo secolo i giornalisti sono diventati spettatori delle guerre al fronte e sono loro che ci trasmettono l’accaduto. Tuttavia il fotografo sta però sempre da una parte determinata: o è davanti o dietro la linea di fuoco e fa vedere esclusivamente la sua versione.

Indipendentemente da quale maestria, specializzazione tecnica, la foto sia stata realizzata, quanto ci mostra e ci tocca, la valutazione esula dal concetto d’arte. Dietro l’immagine risiede la sofferenza umana e la fotografia ne è un documento che non viene primariamente ridotto ad una valutazione estetica, artistica. Come discusso prima: la percezione visiva è sempre legata all’emozione, alla ragione per la quale devono essere chiariti lo scopo e la posizione del fotografo.

A parte il coinvolgimento emotivo provocato dalla foto c’è un altro elemento: vedendo un quadro noi stessi ce ne raccontiamo la storia. Così lo fissiamo nella memoria e l’associamo al nostro vissuto. Per esempio sappiamo molto chiaramente dove, quando e in quali circostanze abbiamo vissuto la visione della distruzione delle torri gemelle a New York. Possiamo riprodurre l’impressione che ci ha fatto questa scossa, ma ci ricordiamo anche la nostra situazione privata nel medesimo istante.

 

 James Nachtwey Afghanistan

James Nachtwey - Afghanistan

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"Una madre veglia sul figlio. Sudan, Darfur, 2003." © James Nachtwey/Contrasto

 

Anche la fotografia bellica ha fatto la sua strada verso l’arte, il che non diminuisce la tragicità e la sofferenza tematizzate. E malgrado il fatto che Susan Sontag si sia espressa molto chiaramente: “non esiste una fotografia anti-bellica”: fissare e osservare il male fa partecipare!

Concludendo: senza dubbio la fotografia fa parte dell’arte, ma è anche documento storico. Il fatto che sia storica la rende altamente fragile. Mi pongo questa domanda: nel 2016 l’immensa collezione fotografica di Google e Getty è stata venduta in Cina. Con ciò questo nostro fundus culturale e storico è finito in un mondo non suo (“visual china”), in un paese dittatoriale con note di retrospettive correzioni fotografiche e pittoriche della propria storia. Cosa capiterà con queste fotografie che potrebbero essere scomode? Il museo grandioso costruito per fotoarchivio non riesce a eliminare questa “arrière pensée”.

 

Matt Rivers

Matt Rivers: die chinesischen Leader kommen in Lhasa, Tibet

 

 Propaganda poster from the Cultural Revolution

Propaganda poster from the Cultural Revolution. "Take over the brush of polemics, struggle to the end". Xiao Zhenya and Liu Enbin, China, mid 20th ct. Photo: Museum Rietberg Zurich

 

In fine: “Fotografia” deriva dal greco e significa scrivere, disegnare con luce. La relazione con la realtà è dunque ovvia. Pertanto fotografie sono più di semplici documenti perchè comportano anche quanto il fotografo ha immesso di sé stesso, quanto ha voluto imprimere con il proprio sguardo. Documento deriva da “docere” e significa insegnare. Ci mette dunque in una situazione di testimoni e consapevoli, tanto più le produzioni fotografiche belliche o scandalistiche meritano la nostra completa e critica attenzione.

 

Dott.ssa Heidi Wolf Pagani

Neurologia FMH