Musica seconda parte 

 

bellezza

 

Nella prima parte si è discusso dell‘effetto della musica sulla psiche. Ora si tratterà del “far musica” e si vedrà come, durante questa attività, siano coinvolte tutte le funzioni cognitive, dalla memoria fino alla motricità.

Da tempo è noto che - rispetto alla maggior parte della popolazione - i musicisti  professionisti dispongono in genere di una migliore memoria, parlano in  modo più fluente e anche per quanto riguarda la memoria visiva e la capacità immaginifica, danno risultati migliori.

Qui si pone dunque la domanda: in che modo lo studio di uno strumento riesce a promuovere queste prestazioni specifiche, che non sembrano direttamente legate alla musica stessa?

Bisogna ricordare che non esistono aree cerebrali riservate  esclusivamente alla musica. L’area uditiva primaria (vedi l’immagine qui sotto: rosa e rossa) serve sia alla percezione della parola, sia a quella delle melodie che saranno poi legate e trasmesse ulteriormente nelle aree corrispondenti (turchese). Lingua e musica utilizzano dunque, in parte, la stessa rete di neuroni.

L'esercizio musicale rinforza questo legame, con effetto positivo su altre funzioni cognitive (plasticità cerebrale).

Tuttora, gli scienziati non concordano su come siano nate e si siano sviluppate la parola e le melodie nella storia dell’uomo. Forse, all’inizio c'erano semplicemente dei segnali d’allarme. Forse, c'era invece la lingua, che poi si è evoluta diventando parola. Oppure prima è nato il ritmo, come portatore di informazioni, come nei bambini che si esprimono senza parlare. Sotto il profilo scientifico dunque, non c’è unanimità.

Per tornare alla memoria, secondo il livello di studio musicale, lo studente o l’esperto non legge più le singole note delle partiture, ma le sa raggruppare in un ordine finalizzato ad una veloce e sicura lettura e riproduzione, anche in base al contesto della tematica (allegra, triste ecc.). È la stessa strategia che sviluppiamo nella lettura: captiamo le parole senza fermarci sulle singole lettere. La lettura delle note, e della loro tonalità, è anche associata alla comprensione del ritmo e dell’insieme della melodia.

Il musicista, fissando visualmente le note, può codificarle contemporaneamente con immagini, ricordi o tradurre persino la melodia in parole. Questi modi di memorizzazione, molto complessi, garantiscono una giusta riproduzione della partitura anche in momenti di stress o paura. Melodie, ritmi e emotività vengono così salvati in varie regioni del cervello e il musicista, pensando al brano, riesce  a richiamarlo da tutti questi “registri”, attivando le varie aree cerebrali persino con associazioni motorie.

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Paul Klee: Melodia e ritmo

 

La motricità domina tutte queste componenti e il musicista deve raggiungere la maestria con il miglior controllo possibile dell’esecuzione (posizione e mobilità delle dita, intensità dello sforzo e espressione motoria e tonale). Solo in questo modo il professionista potrà concentrarsi durante l’esecuzione sull'interpretazione del brano.

Di conseguenza, dovrà fare pratica, pratica, pratica, finchè  arriverà a dominare motoriamente il brano.                                         

Durante l’apprendimento, vengono coinvolte gradualmente altre aree cerebrali (gangli basali) corrispondenti alla memoria implicita, ciò  -  con un po' di fortuna - gli permette, suonando, di arrivare ad un stato di “flow”, quasi di “trance” senza cosciente controllo: suona, grazie a quanto ha esercitato in modo stabile e solido e può, così, darsi alla musica e anche improvvisare.

In modo analogo, noi abbiamo “automatizzato” il correre, l'andare in bicicletta o guidare l’automobile e senza esitazione possiamo, in ogni momento, iniziare una di queste attività: le sequenze dei momenti sono fermamente fissate.

Esercizio ed esperienza sono le chiavi del successo e ogni musicista deve seguire questa via. Talento e genetica giocano pure un ruolo, ma non bastano: nulla è regalato.  Raramente, anche nel più  dotato dei bambini, passato il primo slancio, la probabilità di successo svanisce in assenza di perseveranza nello studio.

Per concludere: è stato dimostrato che la musica di fondo può avere un effetto positivo sulla psiche, ma nessun effetto sulle capacità cognitive. L’ascolto attivo e la pratica perseverante di uno strumento, invece, costituiscono un ottimo allenamento intellettivo e cerebrale, indipendentemente dall’età e dallo stadio della professionalità. Il risultato dipenderà dall’intensità, perché più si fa, più si ottiene.

Buon ascolto!

 

Gershwin Prelude nr2, suonato dal pianista Redjan Teqja

 

Mozart dalla sonata k.330 allegro moderato, suonato dal pianista Redjan Teqja

 

Dott.ssa Heidi Wolf Pagani

Neurologia FMH