IL FALSO NELL’ARTE: “PENNELLATE” DI DIRITTO PENALE SULLA VARIOPINTA TELA DEL MERCATO DELLE OPERE D’ARTE. VADEMECUM A TUTELA DEI PROTAGONISTI DEL SETTORE. di Giulia Maria Mentasti

 

FOTO GIULIA MENTASTI

 

Arte e denaro, seppur evochino apparentemente universi opposti, costituiscono in realtà un connubio indissolubile, idoneo a produrre anche effetti patologici, derivanti dalla falsificazione delle opere. Attualissima, anche se risalente al 1995, la riflessione di Vincenzo Accame che nel La pratica del falso rilevava come “Il falso, in ogni senso, è la conseguenza di una possibilità di speculazione. È perfettamente inutile falsificare qualcosa se questa operazione non ci concede alcun lucro. Finché esistono i miti esisteranno sempre anche i falsi”.

Del resto, già Oscar Wilde aveva osservato “Quando i banchieri si ritrovano a cena, parlano di arte. Quando gli artisti si ritrovano a cena, parlano di soldi”.

Dunque, se la contraffazione di opere d’arte esiste da sempre, il raggiungimento da parte del mercato globale di cifre miliardarie ha certamente incrementato il fenomeno, richiedendo un lavoro immane alle Forze dell’Ordine.

I dati dello scorso anno, forniti dai Carabinieri alle dirette dipendenze del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, e riepilogati nel Report sul contrasto dei traffici d'arte “Attività operativa 2019”, contano 902.804 beni recuperati per un valore complessivo stimato di 103.456.146 euro.

La maggior parte dei recuperi riguarda il settore antiquariale, archivistico e librario (857.003); a seguire vi sono i reperti archeologici, paleontologici e numismatici provenienti da scavi clandestini (45.801). Il Report registra un decremento del 27,2% dei furti in genere, che sono 345 a fronte dei 474 del 2018. Anche le opere contraffatte sequestrate sono diminuite a 1.083 (-12,09% sul 2018): falsi di arte contemporanea – ma non solo – che, qualora immessi sul mercato, avrebbero fruttato alle organizzazioni criminali 178.244.350 di euro.

Certo è che, pur nella lodevolezza dei risultati faticosamente raggiunti, il timore dei collezionisti di imbattersi in un falso permane comprensibilmente elevato, con il rischio di disincentivare l’acquisto da parte di quanti non abbiano un occhio esperto e comprino arte, oltre che per passione, per finalità di investimento e diversificazione del proprio portafoglio finanziario.

Senza trascurare che la problematica dei falsi colpisce non solo i collezionisti, ma soprattutto danneggia il mercato dell’artista contraffatto e di conseguenza i professionisti coinvolti.

Cosa fare dunque per tutelarsi?

Laddove si abbia il sospetto di essersi imbattuti nell’acquisto di in un’opera contraffatta, sarà in primo luogo opportuno darne notizia alla Procura della Repubblica mediante denuncia, così da potersi costituire parte civile nel procedimento penale che verrà instaurato, e ottenere in questa sede il risarcimento del danno subito.

Ciò detto, particolare attenzione è suggerita non solo agli acquirenti, ma agli stessi professionisti che ruotano attorno a questa complessa macchina chiamata “mercato dell’arte”, tenuti a una puntuale conoscenza della normativa di settore per non incorrere in responsabilità.

Come si specificherà tra poco, infatti, il legislatore punisce non solo chi falsifica l’opera, ma chiunque, pur senza aver concorso nella contraffazione, pone in commercio, detiene per farne commercio, o anche solo mette in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere d’arte.

Galleristi e organizzatori delle mostre non sono pertanto esclusi dall’accertamento di una loro eventuale responsabilità penale; anzi, come recenti casi attenzionati dalla cronaca insegnano, a costoro possono essere contestati in concorso pure i reati di truffa e ricettazione.

Infine, l’individuazione dei colpevoli non può che estendersi a quegli esperti che, pur consapevoli della falsità dell’opera, l’abbiano autenticata o ne abbiano comunque avallato l’originalità, ad esempio mediante dichiarazioni o perizie.

Parendo pertanto utile una pur sintetica disamina del compendio normativo e giurisprudenziale, le fattispecie di contraffazione di beni culturali hanno fatto la loro comparsa relativamente tardi nel nostro ordinamento, nel 1971 (benché già la L. n. 364/1909 prevedesse fattispecie criminose afferenti la violazione di interessi relativi alla sfera artistica e altre comparissero nella L. n. 1089/1939 a tutela dei beni culturali, nessuna disposizione sanzionava specificamente il falso d’arte). Tuttavia, una volta introdotte, pur alla luce di potenziali problemi di imprecisione e obsolescenza, sono state trasposte nel D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) senza sostanziali modifiche strutturali e contenutistiche; e nemmeno pare ne saranno destinatarie nel prossimo futuro, considerato che il progetto di riforma dei reati contro il patrimonio culturale, approvato con modifiche alla Camera il 18 ottobre 2018 ma ancora pendente in Senato, pur prevedendo (tra l’altro) il trasferimento nel codice penale delle fattispecie di contraffazione artistica, da collocarsi in un nuovo art. 518-quaterdecies, con un aumento della pena base, lascia la formulazione inalterata rispetto a quella attuale.

Dunque, a oggi, l’art. 178 comma 1 del D.Lgs. 42/2004 alla lett. a) sanziona le varie attività di falsificazione e in particolare “chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un’opera di pittura, scultura o grafica, ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico o archeologico”, punendo altresì (lett. b) “chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in commercio, o detiene per farne commercio, o introduce a questo fine nel territorio dello Stato, o comunque pone in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichità, o di oggetti di interesse storico od archeologico”.

Premesso che dovrà essere sempre accertata la consapevolezza della non autenticità, va evidenziato come contemplino, oltre all’ipotesi di messa in vendita delle opere, anche condotte prodromiche alla messa in commercio, nonché la repressione della circolazione dei falsi mediante ad esempio il canale privilegiato della consegna a una galleria d’arte, che agevola la diffusione dell’esemplare contraffatto del dipinto e inquina il mercato, oltre a generare l’affidamento nel futuro compratore circa l’autenticità dell’opera stessa.

Peraltro, la Cassazione riconosce il concorso materiale della fattispecie in esame sia con quella della truffa disciplinata dal codice penale all’art. 640 e di cui è vittima l’acquirente frodato (Cass. pen., 25 marzo 2014, n. 13966), sia con il reato di ricettazione di cui all’art. 648 c.p., considerato che quest’ultimo è integrato dalla condotta, ontologicamente, strutturalmente, e temporalmente differente, dell’acquisto e più in generale dalla ricezione di cose provenienti da reato (Cass. pen., Sez. Un., sent. 23427/2001).

Ma veniamo ora ora alle lettere c) e d) del medesimo art. 178, che individuano quali destinatari dell’incriminazione quegli esperti che, fraudolentemente, attraverso una expertise remunerata da chi vorrà ottenere un vantaggio economico dall’opera d’arte contraffatta, avallano l’originalità di un bene culturale falsificato; da punirsi pertanto “chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere od oggetti indicati alle lettere a) e b) contraffatti, alterati o riprodotti” e “chiunque, mediante altre dichiarazioni, perizie, pubblicazioni, apposizioni di timbri od etichette o con qualsiasi mezzo accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la falsità, come autentici opere od oggetti indicati alle lettere a) e b) contraffatti, alterati o riprodotti”.

Senza dimenticare l’aggravante di cui al comma 2, che prevede che laddove i fatti siano commessi nell’esercizio di un’attività commerciale, la pena è aumentata e alla sentenza di condanna consegue l’interdizione.

L’unico “paravento” che il legislatore offre per non incorrere nel reato è contenuto nel successivo art. 179, che accorda la non punibilità “a chi riproduce, detiene, pone in vendita o altrimenti diffonde copie di opere di pittura, di scultura o di grafica, ovvero copie od imitazioni di oggetti di antichità o di interesse storico od archeologico, dichiarate espressamente non autentiche all’atto della esposizione o della vendita”. Ma attenzione, perché l’attestazione, per salvare dalla condanna, deve rispondere a “specifici requisiti di forma”, imponendo il dettato legislativo che sia effettuata “mediante annotazione scritta sull’opera o sull’oggetto o, quando ciò non sia possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell’imitazione, mediante dichiarazione rilasciata all’atto della esposizione o della vendita”.

Precisazione normativa che rende concordi inoltre gli interpreti che, ai fini della configurabilità del reato, non è necessario che l’opera sia qualificata come “autentica”, essendo sufficiente che manchi la dichiarazione espressa di non autenticità con una delle suddette modalità (Cass. pen., 24 ottobre 2008, n. 39474).

The last but non the least, alla condanna consegue sempre la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti, vietandone altresì, senza limiti di tempo, la vendita nelle aste dei corpi di reato. Unica eccezione si registra qualora le cose appartengano a persone estranee al reato, ipotesi non certo frequente date le responsabilità contemplate dal legislatore in capo ai diversi attori del mercato.

Il che, nella pratica, si traduce nell’unico epilogo volto a evitare che il falso possa essere nuovamente offerto sul mercato come opera originale dell’artista: laddove, il verdetto del giudice sia in termini di falsità dell’opera, il passo successivo è inevitabilmente la distruzione.

E se è pur vero che in sede penale vale la regola dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, e che il supporto peritale di esperti potrà alleggerire il peso del compito demandato all’organo giudicante, il mondo dell’arte non si differenzia dagli altri saperi, e salvo i casi di “patacche” clamorose, l’accrescere delle conoscenze storiche e artistiche, nonché delle nuove e sofisticate tecniche scientifiche, può far cambiare l’attribuzione di un’opera, così che quello che era ritenuto autentico ieri potrebbe essere considerato falso oggi, e di nuovo vero domani.

Insomma, sulla variopinta tela del mercato dell’arte, le pennellate di diritto penale possono lasciare un segno indelebile.

 

Giulia Maria Mentasti

Avv. Associate Studio Loconte&Partners, specializzata in diritto penale