LA TASSAZIONE DEL TRUST DI BENI DA COLLEZIONE di Stefano Loconte e Alessia Busca

 

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“Il trust è un negozio giuridico di affidamento fiduciario […] per mezzo del quale un soggetto (persona fisica o giuridica o ente), il disponente, trasferisce (ovvero affida), per atto inter vivos o mortis causa, ad un altro soggetto, il trustee, la proprietà di tutti o parte dei propri beni (immobili, quote sociali, titoli, denaro, opere d’arte, altri beni) o diritti, nel fondo in trust, affinché li amministri, li gestisca e ne disponga con le modalità e finalità indicate dal disponente nell’atto istitutivo di trust e nelle indicazioni successiva, a favore di uno o più soggetti (identificati o identificabili), i beneficiari, ovvero per il raggiungimento di uno scopo”.

Il trust è un istituto giuridico, nato nelle Court of Chancery inglesi nel quindicesimo secolo nel contesto della proprietà di beni immobili, che consente di separare dal patrimonio di un soggetto alcuni beni per uno scopo definito. Dopo la ratifica della Convenzione internazionale sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, adottata all’Aja nel luglio 1985, tale strumento, ad oggi ancora privo di una legge nazionale che lo disciplini in maniera compiuta, è entrato a far parte integrante del nostro sistema giuridico.

L’obiettivo che la Hague Conference on Private International Law intendeva raggiungere, mediante la Convenzione, era quello di sviluppare uno “strumento di diritto internazionale privato”, ovverossia di uno strumento normativo preposto all’individuazione della legge nazionale applicabile ad una fattispecie di Trust avente elementi di internazionalità. Peraltro, non avendo, ad oggi, l’Italia adottato una legge interna contenente la disciplina civilistica del Trust, la Convenzione dell’Aja assume una duplice valenza per il nostro ordinamento giuridico: da un lato, quella di Convenzione di diritto internazionale privato e, dall’altro, quella di “strumento di diritto materiale uniforme”.

Va preliminarmente precisato che la Convenzione riguarda solo i trust creati per volontà delle parti, redatti per atto scritto e destinati ad operare su mercati transnazionali.  

La Convenzione definisce i trust come i rapporti giuridici istituiti da un soggetto (disponente, settlor o grantor) che affida i propri beni ad un altro soggetto (trustee), che ne diventa proprietario pro tempore, con l’impegno di amministrarli e farli fruttare per uno scopo prestabilito, nell’interesse di uno o più beneficiari individuati dallo stesso settlor. È altresì consentito che quest’ultimo, nominando sé stesso trustee, costituisca parte del suo patrimonio in trust, imprimendo al medesimo una particolare destinazione (cosiddetto “trust autodichiarato”).

In sintesi, dunque, l’art. 2 Conv. Aja si limita a precisare le caratteristiche minime che il rapporto giuridico deve presentare, al fine di poter rientrare nel relativo campo di applicazione. Sarà poi il disponente, nel caso di specie, a scegliere il diritto applicabile al trust.

Passando ora ad analizzare la struttura propria del trust, va dapprima evidenziata l’impossibilità di rinvenire all’interno della Convenzione una definizione puntuale ed univoca dell’istituto giuridico: l’art. 2 Conv. Aja, come sottolineato, si limita ad elencare una serie di caratteristiche minime, in presenza delle quali si può dire sussistente un trust. Tralasciare l’aspetto più propriamente concettuale, per porre l’accento sul piano strutturale, ha reso il trust “amorfo” (in inglese shapeless trust), consentendo così una significativa adattabilità di tale strumento di common law all’interno dei Paesi di civil law: come sottolineato dalla dottrina più autorevole in materia, l’art. 2 presenta connotati estremamente vaghi, tali da ricomprendere nel suo ambito di applicazione istituiti come il mandato a società fiduciaria e l’affidamento di somme per investimento a gestori specializzati.

Tanto premesso, la struttura minima ed essenziale del trust, ex art. 2 Conv. Aja, può così sintetizzarsi:

  • “I beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee”: detti beni costituiscono un patrimonio separato (rectius, segregato), tanto rispetto a quello del disponente, quanto a quello del trustee, con la conseguenza che i creditori personali di quest’ultimo non potranno soddisfarsi ex art. 2740 cod. civ. sui beni vincolati in trust, essendo questi ultimi sottoposti ad un preciso vincolo di destinazione.
  • “I beni in trust sono intestati al trustee o ad altri soggetti sempre per conto del trustee”: in questa disposizione risiede la peculiarità del trust, ossia la c.d. split ownership, con la quale si ottiene il trasferimento della proprietà legale dei beni in capo al trustee, il quale ne dispone ai fini del perseguimento dello scopo indicato dal settlor (quest’ultimo con l’atto di trasferimento perde ogni diritto su tali beni). Più precisamente, lo sdoppiamento della proprietà comporta, da un lato, che la proprietà formale dei beni (intendendosi, per tale, il diritto di disporre dei beni apportati in trust, in conformità alle regole fissate all’interno dell’atto istitutivo, delle norme di legge, nonché all’interesse dei beneficiari) sia in capo al trustee e, dall’altro lato, che la proprietà sostanziale (i.e. il diritto di godere) in capo ai soggetti beneficiari indicati nell’atto istitutivo. Occorre tenere sempre presente che, nonostante il passaggio di proprietà a favore del trustee, i beni apportati in trust non rientrano nel patrimonio aggredibile dai creditori personali di quest’ultimo.
  • “Il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee”: a questo proposito va sottolineata la prassi italiana di inserire, al fine di delineare i confini dell’attività e i compiti affidati al trustee, una descrizione sufficientemente precisa delle finalità che hanno ispirato il disponente, all’interno delle cosiddette premesse.

Quanto ai poteri del trustee, vanno riconosciuti in capo a questo soggetto “tutti i poteri che spetterebbero a chi, avendo titolo legale su di un bene, ne fosse anche il beneficial owner”. Gli unici limiti a detti poteri saranno quelli specificamente indicati nel negozio istitutivo. Particolare rilevanza assume l’obbligo di rendiconto imposto in capo al trustee, previsto sia dall’art. 2 (il quale lo considera pertanto uno degli elementi essenziali) sia dall’art. 8, lett. j), della Convenzione, ove ne viene riservata la specifica disciplina al diritto scelto dal disponente.

Ed è proprio la sua estrema duttilità a rendere il trust in grado di essere utilizzato per i più svariati fini fra cui primeggiano anche quelli della valorizzazione del patrimonio artistico nonché del passaggio generazionale delle opere d’arte.

Invero, il trust fund può accogliere, al suo interno, qualsivoglia tipologia di bene non scontando, da questo punto di vista, le limitazioni che altri strumenti caratteristici del nostro ordinamento giuridico presentano. E così, il trust diventa un ottimo strumento in grado di unificare la gestione dei beni da collezione, curarne la valorizzazione anche oltre l’orizzonte temporale strettamente collegato alla vita della singola persona fisica (sia essa gli eredi del collezionista ovvero l’artista stesso che desidera destinare le sue creazioni), evitare fenomeni di frammentazione di collezioni  di valore inestimabile, nonché garantire che eventuali dismissioni di beni avvengano in maniera corretta, mediante la consulenza di professionisti specializzati in materia.  

Tutti gli obiettivi brevemente riassunti possono essere efficacemente perseguiti attraverso l’apporto della singola opera, ovvero dell’intera collezione, in trust. Come noto, a seguito di detto apporto, verranno riconosciuti al trustee tutti i diritti e i poteri che spetterebbero al c.d. beneficial owner. In questo senso, dunque, competeranno al trustee tutte quelle attività collegate alla conservazione ed alla valorizzazione delle opere d’arte e dei beni da collezione, eventualmente avvalendosi anche, ove egli non ne fosse già in possesso, delle specifiche conoscenze e competenze di professionisti del settore, quali, ad esempio, art advisor.

Tanto premesso, non ci resta che analizzare come, dal punto di vista fiscale, l’apporto di opere d’arte e beni da collazione in trust, nonché eventuali successive vendite o, più in generale, attività di dismissione, siano trattati.

L’apporto di beni e, in particolare, di beni da collezione in trust, sconta le seguenti imposte:

  • imposte sui redditi: il trasferimento dei beni in trust effettuato da una persona fisica non imprenditore non genera materia imponibile ai fini della imposizione sui redditi, né in capo al disponente non imprenditore, né in capo al trust o al trustee;
  • imposta sulle successioni e donazioni: secondo l’Agenzia delle Entrate, “la costituzione di beni in trust rileva, in ogni caso, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal tipo di trust”. Ancora, “nell’ipotesi di trust costituito nell’interesse di uno o più beneficiari finali, anche se non individuati, il cui rapporto di parentela con il disponente sia determinato, l’aliquota d’imposta si applica con riferimento al rapporto di parentela intercorrente tra il disponente e il beneficiario e non a quello intercorrente fra il disponente e il trustee”. Al contrario, la devoluzione ai beneficiari del trust fund non realizzerebbe, secondo il citato orientamento, un presupposto impositivo ulteriore ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, considerata la descritta tassazione già scontata al momento dell’attribuzione dei beni al trust.

Pertanto, secondo l’Agenzia delle Entrate, l’apporto di opere d’arte in trust sconta l’imposta sulle donazioni con le aliquote del 4%, 6% o dell’8%, a seconda della relazione di parentela intercorrente fra il collezionista/disponente e i beneficiari, sul valore di mercato dell’opera stessa qualora eccedente le franchigie previste.

Ove l’opera d’arte sia di riconosciuto interesse storico ed artistico, l’apporto in trust della stessa non sconterà l’imposta di donazione anche nel caso in cui il suo valore superi quello previsto dalle franchigie.

Per completezza, si precisa che la posizione qui riportata dell’Agenzia delle Entrate non viene accolta dalla giurisprudenza di merito e legittimità. Invero, secondo i giudici, si avrebbe insorgenza del presupposto impositivo delle imposte sulle successioni e donazioni solo al successivo momento della distribuzione ed assegnazione dei beni in trust ai beneficiari, e non già al momento della dotazione dello stesso.

Si sottolinea altresì che, con le risposte ad interpello nn. 352-351 del 18 maggio 2021 e n. 106 del 15 febbraio 2021, l’Agenzia delle Entrate, in un obiter dictum, sembra conformarsi all’orientamento giurisprudenziale ammettendo, pertanto, la tassazione ai fini delle imposte di successione e donazione al momento dell’effettiva attribuzione dei beni in trust al beneficiario;

  • imposta di registro: l’atto di dotazione del trust deve essere assoggettato, qualunque sia l’oggetto (ivi comprese, dunque, le opere d’arte e i beni da collezione), all’imposta di registro nella misura fissa di 200 Euro, a meno che il valore dei beni apportati non ecceda i limiti delle franchigie previste per l’imposta di successione e donazione. In tale ultima ipotesi, l’imposta di registro non è mai dovuta.

Prima di passare alla tassazione di una eventuale vendita di beni da collezione da parte del trust, è necessario effettuare una breve premessa circa la tassazione dei proventi derivanti dall’alienazione di opere da parte di una persona fisica.

Sul punto, il regime fiscale applicabile sarà differente a seconda che il soggetto cedente sia:

  • un mercante d’arte, i.e. colui che svolge professionalmente ed abitualmente attività di commercio di opere d’arte e i cui redditi prodotti, derivanti dalla attività di compravendita delle suddette opere, saranno tassati quali redditi d’impresa;
  • uno speculatore occasionale intendendosi per tale colui che, occasionalmente, acquista i beni al fine di trarre profitto da un successivo atto di vendita;
  • un collezionista privato, mosso da intenti diversi dal conseguimento di un profitto pur realizzando, in alcuni casi, cessioni di beni. In quest’ultimo caso, non si realizzerà alcuna forma di reddito imponibile.

Particolare importanza riveste la distinzione (spesso labile e sottile) sussistente fra la figura dello speculatore occasionale e quella del collezionista privato: ed invero, la qualificazione in un senso o nell’altro è dirimente ai fini della corretta individuazione del regime fiscale applicabile ai proventi derivanti dall’alienazione delle opere d’arte che, nel caso dello speculatore occasionale, saranno soggetti ad IRPEF in qualità di redditi diversi mentre, trattandosi di collezionista privato, saranno privi di rilevanza fiscale.  

Come stabilito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, la qualificazione in un senso o nell’altro dovrà essere fondata su di una valutazione complessiva degli elementi fattuali ricorrenti nel caso concreto.

Senza pretesa di esaustività ed in linea meramente indicativa, si può affermare che integra i requisiti dello speculatore occasionale colui che esercita in forma non abituale una attività commerciale di intermediazione nella circolazione dei beni, ove l’atto di acquisto è funzionale alla successiva rivendita del bene. Al contrario, non rientra tra le attività commerciali (neppure occasionali) l’attività del collezionista privato consistente nell’acquisto di opere d’arte al fine di soddisfare meramente interessi personali, rispetto ai quali la vendita rappresenta solamente un eventuale atto di dismissione patrimoniale, effettuato in totale assenza di un circuito commerciale.

Tanto premesso, ove il soggetto cedente sia rappresentato da un trust all’interno del quale il collezionista abbia conferito le proprie opere d’arte al fine di proteggere, tramandare e valorizzare il patrimonio artistico, è nostro convincimento che il predetto apporto ed eventuali successivi atti di dismissione che possano essere posti in essere da parte del trustee non ricadano nell’ambito della tipica attività imprenditoriale posta in essere da parte del mercante d’arte, specialmente nel caso di trust familiare ovvero successorio con la precipua funzione di tutelare il patrimonio artistico e conservarlo nella sua integrità, al fine di garantirne il godimento alle successive generazioni attraverso una gestione unitaria, da parte di professionisti quali Trust Companies e art advisor specializzati.

Per quanto concerne il trattamento fiscale dei redditi conseguiti dal trust, è doveroso precisare preliminarmente che lo stesso dipende dalla qualificazione dell’istituto giuridico in termini di “trust trasparente” ovvero “trust opaco”.

Ed invero, nel caso in cui i beneficiari del trust siano individuati (c.d. trust trasparente) il reddito prodotto verrà tassato come reddito di capitale direttamente in capo agli stessi beneficiari, in proporzione alla quota di partecipazione individuata all’interno dell’atto istitutivo di trust o in atti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali.

Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, devono intendersi “individuati” quei beneficiari che: a) siano espressamente individuati all’interno dell’atto istitutivo, nonché b) siano titolari del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte del reddito che gli viene imputata per trasparenza. In aggiunta, il trust può essere considerato trasparente ai fini delle imposte sui redditi qualora il trustee non abbia poteri discrezionali in merito alla distribuzione del reddito prodotto dal trust.

In estrema sintesi, dunque, si può affermare che il beneficiario individuato è colui che ha un diritto attuale, pieno ed incondizionato, e non una mera aspettativa, di percepire il reddito del trust.

Ove, al contrario, i beneficiari non siano espressamente individuati (c.d. trust opaco) i redditi conseguiti dal trust, anche in conseguenza di eventuali atti di alienazione di opere d’arte, nonché di beni da collezione, saranno attribuiti direttamente al trust in quanto autonomo soggetto passivo IRES, secondo le regole di determinazione del reddito per gli enti commerciali o gli enti non commerciali, a seconda che il trust abbia (o meno) per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività commerciale.  

Come anticipato, la dismissione di opere d’arte e beni da collezione da parte del trustee, nell’ottica di valorizzazione del patrimonio artistico e in quella di tutela degli interessi dei beneficiari, non potrà essere qualificata quale esercizio di attività commerciale ma, al contrario, potrà rientrare nell’attività del collezionista privato e, come tale, essere priva di rilevanza fiscale. Invero, eventuali atti di dismissione posti in essere da parte del trustee di un trust familiare, che non eserciti in via esclusiva o principale un’attività commerciale e che abbia quale oggetto (ex multis o esclusivo) quello della conservazione e valorizzazione delle opere d’arte collezionate in vita da parte del disponente, difficilmente potranno essere qualificati quali atti speculativi.  

Al fine della corretta determinazione del regime fiscale applicabile alla singola fattispecie, sarà comunque necessaria una analisi concreta degli atti posti in essere da parte del trustee, nonché della concreta attività che egli esercita in conformità alle previsioni dell’atto istitutivo di trust.

 

Prof. Avv. Stefano Loconte e della Dott.ssa Alessia Busca

Studio Loconte&Partners