FONDAZIONE O TRUST: DIFFERENZE NELLA GESTIONE DEL PATRIMONIO ARTISTICO ALLA LUCE DELLA DISCIPLINA DEL CODICE DEI BENI CULTURALI di Riccardo Sansoni

 

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Molto spesso, alla base di importanti collezioni d’opere d’arte, così come delle più grandi istituzioni museali, vi sono fondazioni o trust. I due istituti sono tra loro differenti, per origine, funzione e disciplina, ma – soprattutto – per quanto riguarda il regime giuridico cui saranno soggetti le opere d’arte che compongono la collezione.

Quando si valuta come gestire una collezione d’opere d’arte, si pensi ad esempio alla scelta della forma giuridica più opportuna per dar vita ad un museo, si devono opportunamente considerare vari aspetti e, tra questi, vi è sicuramente quello relativo alla disciplina cui saranno soggette le opere d’arte.

Nel caso di una fondazione, un soggetto destina parte del proprio patrimonio, facendolo diventare autonomo e separato dal restante, ad un scopo di pubblica utilità. La fondazione può essere costituita con atto tra vivi o per testamento (art. 14 cod. civ.). Non pochi, infatti, sono i casi in cui collezioni d’opere d’arte hanno costituito la dotazione iniziale di una fondazione oppure i casi in cui, mediante il patrimonio finanziario di una fondazione, sono nate collezioni d’opere d’arte, il tutto compatibilmente con lo scopo e l’oggetto dell’ente.

Nella scelta dello strumento giuridico cui ricorrere per avviare o proseguire una collezione d’opere d’arte, però, è di assoluta importanza conoscere la disciplina del Codice dei Beni Culturali (D.lgs. n. 42 del 2004, di seguito in breve anche “CBC”).

In via generale, si può già anticipare che la presenza di una fondazione determina l’esistenza di una serie consistente di poteri di ingerenza in capo al Ministero dei Beni Culturali sull’attività della fondazione ed in relazione ai beni artistici di proprietà della medesima. Infatti, tutti i beni artistici di proprietà della fondazione sono da considerare automaticamente beni culturali, come tali assoggettati alla disciplina del CBC.

Per meglio comprendere questo, di seguito, verranno evidenziati, prima, la disciplina dei beni culturali contenuta nel CBC e, poi, la nozione di bene culturale cui tale disciplina del CBC si applica.

Solo dopo l’esame di entrambi questi profili sarà possibile veder delineato il sistema normativo del CBC e capire, così, la reale estensione dei poteri di intervento del Ministero sulla vita di una fondazione.

Il CBC contiene al suo interno tutta una serie di norme volte a regolare la cura, la conservazione, la valorizzazione e la circolazione dei beni cd. culturali. La disciplina del CBC si applica soltanto ai beni che rientrano nella definizione di “bene culturale” prevista dal Codice medesimo. La definizione di bene culturale, quindi, è molto importante perché va a delimitare proprio la sfera di applicazione del Codice. Infatti, le disposizioni in esso contenute si applicano solo e soltanto ai beni culturali; tutti gli altri beni, ancorchè di notevole pregio artistico, sono esclusi dalla relativa disciplina.

Il regime giuridico cui i beni culturali sono sottoposti per legge è il seguente:

  1. i beni culturali sono soggetti alla vigilanza del Ministero dei Beni Culturali (di seguito in breve anche “MIBAC”) e i Soprintendenti possono procedere, in ogni tempo, ad ispezioni volte ad accertare lo stato di conservazione e di custodia dei beni con un preavviso non inferiore a 5 giorni (cfr. artt. 18 e 19 CBC);
  2. lo spostamento anche solo temporaneo, lo smembramento e gli interventi conservativi dei beni culturali devono essere autorizzati dal MIBAC (artt. 21 e 31 CBC);
  3. per gli interventi di conservazione e restauro, il MIBAC ha facoltà di intervenire per sostenere la spesa (art. 35 CBC);
  4. il prestito per esposizioni è soggetto ad autorizzazione del MIBAC (art. 48 CBC);
  5. sono soggetti ad autorizzazione del MIBAC, e prelazione in favore dello Stato, i trasferimenti onerosi dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, nonché ai soggetti privati senza scopo di lucro (fondazioni e associazioni riconosciute). Quanto, invece, ai beni culturali di proprietà di privati o enti con scopo di lucro (ad esempio società), la loro alienazione non è soggetta ad autorizzazione del MIBAC, ma solo a prelazione in favore dello Stato (artt. 48-60 CBC). Si specifica, poi, che per i beni di valore artistico (ma che non rientrano nella definizione di bene culturale), il trasferimento (anche oneroso) è libero;
  6. infine, vi sono autorizzazioni da richiedere, ma anche divieti da rispettare, per quanto riguarda l’uscita dei beni culturali dal territorio nazionale (art. 65 CBC).

Come anticipato, la disciplina sopra sintetizzata si applica soltanto ai beni che rientrano nella definizione di “bene culturale”. Tutti gli altri beni, ancorchè di pregio artistico, non vi sono sottoposti.

L’art. 10 del CBC prevede che “sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro (associazioni riconosciute e fondazioni), ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”.

Questi beni sono automaticamente considerati culturali, salva diversa dichiarazione del MIBAC volta ad escluderne espressamente tale carattere.

Nel caso di beni di pregio artistico appartenenti a persone fisiche o ad enti con scopo di lucro (ad esempio società), questi non sono, di per sé stessi, culturali (e sottoposti alla relativa disciplina), a meno che non intervenga un’espressa dichiarazione di interesse culturale da parte del MIBAC (art. 12 del CBC). Senza tale dichiarazione, dunque, tali beni, ancorché di pregio, non rientrano tra quelli culturali e non sono soggetti alle prescrizioni sopra elencate.

Il trasferimento a titolo di dotazione di collezioni d’opere d’arte ad una fondazione, ovvero l’acquisto da parte della medesima, determina, in maniera automatica, la rilevanza culturale di tali beni e la loro conseguente soggezione alla disciplina del CBC, sempre che – ben inteso – si tratti di beni che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.

Sotto altro profilo, però, si deve evidenziare come il maggiore rigore normativo cui sono soggetti, a tali fini, le fondazioni consente loro di avere – alle volte – maggiore facilità di accesso a fondi e finanziamenti pubblici per la gestione e la conservazione delle opere della collezione.

Nel caso in cui, invece, la gestione del patrimonio artistico avvenga per mezzo di un trust, minori saranno i vincoli che il patrimonio affidato al trustee incontrerà. Come noto ai più, ormai, il trust è un istituto giuridico di origine anglosassone e di matrice giurisprudenziale, regolato espressamente in alcuni Paesi con apposite leggi, come nel caso della Trust (Jersey) Law 1984 e della legge sul Trust della Repubblica di San Marino, del Guernsey o, prossimamente, della Svizzera. In Italia manca una legge regolatrice del Trust, ma il trust è stato riconosciuto con la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, mentre è regolato sul piano fiscale e della disciplina antiriciclaggio, ma anche dalla cd. legge sul Dopo di Noi per la tutela dei soggetti deboli.

Volendo dare una possibile definizione, il trust è un negozio gestorio con cui un soggetto, il disponente, trasferisce tutto o solo una parte del suo patrimonio, ad un altro soggetto, il trustee, per il perseguimento di uno scopo o a vantaggio di uno o più beneficiari. Il trustee può essere una persona fisica o giuridica (in genere una società di capitali, una cd. trust company professionale). Il patrimonio trasferito al trustee diviene segregato e separato rispetto a quello del disponente, del trustee e di eventuali beneficiari. A differenza della fondazione, il trust deve avere una durata massima.

Nel caso del trust, il patrimonio artistico viene affidato dal disponente al trustee. Ai fini che qui interessano, questo non determinerà l’automatica rilevanza culturale del patrimonio affidato al trustee. L’automatica rilevanza culturale di un bene, infatti, si ha quando un bene artistico è di proprietà di un ente pubblico o di persone giuridiche private senza fine di lucro, quali associazioni o fondazioni. Nel caso del trust occorre precisare che il trust, di per sé, non è un soggetto di diritto (ai fini civilistici e che qui rilevano, mentre lo è ai fini fiscali). Inoltre, l’ufficio di trustee – solitamente – viene ricoperto da una persona fisica o una trust company (in genere una società di capitali), dunque – tendenzialmente – né da un ente pubblico né da una persona giuridica privata senza scopo di lucro. Solo in presenza di un’espressa dichiarazione del MIBAC, pertanto, i beni trasferiti al trustee assumeranno rilevanza culturale. Il ricorso al trust, dunque, può evitare che il patrimonio artistico diventi automaticamente culturale. In tal modo sarà possibile impiegarlo in maniera più flessibile. A questa maggiore libertà di azione si accompagna, evidentemente, anche una maggiore possibilità di impiegare il patrimonio o la collezione artistica in varie maniere, si pensi – soltanto a titolo d’esempio - alla possibilità di impiego della collezione per fini lucrativi o in operazioni di finanza strutturata. Per contro, però, la possibilità di accedere a risorse pubbliche potrebbe risultare più complessa.

Riccardo Sansoni

Senior Associate Loconte&Partners