L'arte è “maceranza” dell’anima, questa “maceranza” ci fa sentire liberi, profondi e vivi

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Intervista alla nuova direttrice del MAN di Nuoro, Chiara Gatti, in vista della prossima mostra “Sensorama” che inaugurerà l'8 luglio.

By Camilla Delpero   

 

Come nasce Chiara Gatti?

Ho studiato storia dell’arte all'Università Cattolica di Milano, mi sono laureata in Storia dell'incisione moderna con una tesi che ho scritto a Boston. Dopo un Master in museologia ho iniziato a lavorare sia come critico sia come curatore. Quest’anno festeggio i 20 anni di giornalismo con Repubblica che coincidono con la vittoria del concorso per la direzione del Museo MAN di Nuoro. Questo ruolo segue una serie di curatele che ho tenuto per varie realtà museali come libero professionista. L’ultima mostra l’ho curata per il Museo Novecento di Firenze dedicata alla storia del Monte Verità. Al MAN di Nuoro ne avevo curate due in precedenza, una su Giacometti e una sulle donne futuriste. Di recente ho curato insieme a Lorenzo Giusti per la Gamec di Bergamo la mostra “Regina. Della Scultura”, artista che è stata scelta da Cecilia Alemani per un capitolo della Biennale di Venezia. Una vera e propria riscoperta.

 

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Come nasce la programmazione del MAN. Ci puoi raccontare brevemente la genesi della mostra “Sensorama” che a quanto ho letto abbraccia e sollecita i 5 sensi?

L’idea nasce da una riflessione post pandemica. In questi due anni abbiamo fruito dell’arte solo in modo virtuale. O quasi. La voglia di uscire dall’isolamento e abitare le mostre mi ha fatto pensare (insieme alla co-curatrice Tiziana Cipelletti) a quanto lo sguardo debba essere riallenato a osservare le opere dal vivo. Abbiamo studiato una palestra per lo sguardo, un percorso che spinga a indagare il limite sottile che separa la realtà dalla virtualità. Il titolo è ispirato al nome di una macchina che si usava nel cinema degli anni ’50 per restituire sensazioni sinestetiche. Lo spettatore si sedeva in una sorta di cabina dentro la quale assisteva a una visione sinestetica di un film. “Sensorama” ci è sembrato un titolo bellissimo. Per evitare di cadere nell’errore di allestire il classico museo delle illusione, come va di moda ora, abbiamo contattato il dipartimento di scienze Biomediche dell’Università di Sassari e strutturato la mostra secondo un criterio scientifica che illustra i meccanismi della visione e la capacità del nostro cervello di recepire l’immagine. La mostra attraversa allora il Novecento, dal cinema sperimentale all’arte contemporanea. Si parte con gli stop motion degli esordi del cinema di George Melier, seguiti dalle sperimentazioni di Man Ray e Duchamp. Si passa poi ad osservare le opere di Magritte e de Chirico giocate sull'ambiguità al confine tra realtà e sogno. Infine, spicca una serie di installazioni con autori che trasformano il MAN in una scatola magica ricca di inganni ottici. Fra questi: Peter Miller, Felice Varini, Marina Apollonio, Peter Koegler.

 

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In merito alle tempistiche? Quanto tempo ha comportato la nascita di una mostra così complessa?

Sono stata nominata i primi di febbraio e ho dovuto fare di necessità virtù. Era appena stata inaugurata l'antologica dedicata a Carlo Levi e sono stata subito messa alla prova nell'organizzazione di una nuova mostra per il mese di luglio. Grazie alla competenza e all'efficenza di tutto il team del museo, la mostra ora è pronta in attesa dell’inaugurazione.

Troppo internet? Troppi influencer? C’è confusione di ruoli?

Se questo può servire ad avvicinare il pubblico all’arte, ben venga. Ma oltre a post e stories, ci vorrebbero anche approfondimenti. Per la divulgazione direi che l’immediatezza di internet è molto utile, ma bisogna stare attenti ai contenuti per non banalizzare. Dietro molte mostre c’è un lavoro scientifico che non si può minimizzare. Oggi tutti fanno tutto e si improvvisano esperti, puntando su immagini “instagrammabili” o sul famoso “effetto wow”, che va per la maggiore. Ma la storia dell’arte parla dell’uomo; è una storia universale che tocca valori assoluti che educando alla bellezza dovrebbero elevare le coscienze verso una dimensione di senso profondo. Ora più che mai ne abbiamo bisogno. Se la scossa può essere esercitata da un tweet è un buon punto di partenza, da virare poi con intelligenza.

In merito alle tematiche della mostra, in questa società di politeness, in cui esiste una facciata che a volte non corrisponde alla realtà, lei cosa pensa, che sia giusto tutelare tutto oppure a volte e una farsa inutile?

La facciata esiste come esiste il politically correct, ma francamente, a causa della “protezione” dello schermo e dei social, oggi si può ancora dire tutto quello che si pensa senza filtri. Molto lessico si è perso e l’eleganza si è dimenticata. A questo si aggiunge l’ipocrisia. Più si parla di politeness e più vengono accentuate le differenze che si vorrebbero dissipare.

Cos’è la bellezza?

È la correttezza, è la verità, è quello che ci rende migliori. È l’etica. L’educazione alla bellezza, e quindi anche all’arte, è la strada per evolverci.

 

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Cos’è l’arte contemporanea?

Preferisco “cosa dovrebbe essere?”; e cito Manet che diceva “essere del proprio tempo e fare ciò che si vede”. Non in termini didascalici. Ma di interpretazione del nostro tempo attraverso la coscienza, affinché ogni immagine sia un riflesso dei nostri tempi. Ma se il riflesso si riduce al mercato siamo messi male. Dovrebbe essere una testimonianza filtrata del nostro vivere sulla terra che lasci un segno per il futuro e vinca sulla cronaca e sulla contingenza con un respiro assoluto. Se pensiamo alle parole di Sartre per Giacometti, l’arte dovrebbe lasciare un segno che educhi e parli di noi a chi verrà. Oggi purtroppo l’arte contemporanea viziata da logiche economiche è disorientante.

La rivista si chiama Quid Magazine perché vuole indagare la scintilla, il quid che rende uniche le cose. Lei dove ritrova il quid?

Il quid lo trovo nella commozione. Mi appello ad un altro maestro come Rothko, il quale affermava che i suoi quadri funzionavano quando l'osservatore piangeva. Quando una cosa mi commuove ha il suo quid. Non parlo solo dell’arte, anche della letteratura. In questo ultimo periodo mi sono riletta “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi e ho pianto moltissimo. Nel libro ho rivisto la guerra dell’Ucraina o Guernica. Il quid è quando un'opera mi prende il cuore e la gola. Recentemente ho riguardato le sculture di Friz Wotruba, autore dimenticatissimo del secolo scorso, le cui opere mi fanno soffrire. Lea Vergine diceva che l’arte è “maceranza” dell’anima; questa “maceranza” ci fa sentire liberi, profondi e vivi.

Cosa ha imparato dal periodo covid. In questo periodo i musei si sono maggiormente digitalizzati. Lei cosa ne pensa?

Credo che sia l’unica eredità positiva del covid. Il museo non può reggersi solo sul virtuale, può essere un valido appoggio, ma non dobbiamo dimenticarci della fisicità, dell’esperienza che nasce dalla visita e dall’osservazione di un’opera dal vivo. Io non abito il metaverso, la realtà preferisco annusarla. Tuttavia, la comunicazione web, se utilizzata per la diffusione di contenuti, è accettabile. Durante il lockdown è stato divertente e gratificante tenere conferenze online, cui partecipava un pubblico in collegamento da mezza Italia. Grazie alla flessibilità e a questa molteplicità di rotte il confronto è stato stimolante.

Vuole parlarmi ancora del programma del MAN?

In questi vent’anni il museo ha avuto una doppia anima, moderna e contemporanea. Il suo pubblico è sempre stato abituato a questa alternanza. Nel nuovo programma, per la parte contemporanea avremo ora “Sensorama” seguita da un calendario di project room affidate ad autori emergenti; per la parte moderna, mostre dedicate ai maestri storici, a partire da Picasso che mancava al MAN di Nuoro da vent’anni. Faremo un omaggio al grande Pablo per festeggiare i 70 anni dalla mostra in Italia di Guernica, esposta nel 1953 al Palazzo Reale di Milano. L’attività del museo guarderà anche al territorio con residenze per artisti nate da un gemellaggio con il Monte Verità di Ascona, in Svizzera. Ci saranno workshop di arte e architettura come discipline combinate che affonderanno le radici nella narrazione del paesaggio sardo per la creazione di un vero e proprio archivio del paesaggio.