Analizzare lo stato dell'arte scorrendo le immagini e i saperi di una grande storia

 

beniamino levi
 

Incontro con il celebre mercante d'arte e presidente della Dalì Universe Beniamino Levi. 

 

By Camilla Delpero

 

Cos’è per lei l’arte contemporanea?

Penso di saper apprezzare meno l’arte contemporanea dal 2000 in poi, l’arte dell’ultimo decennio. Frequento meno le mostre e non sono al corrente delle nuove espressioni artistiche. Vedo qualche opera perché mi passa sotto agli occhi, ma la mia educazione è differente. Penso che ci sia molta mistificazione. Se c’è qualcuno che emerge non so per quali meriti. Andando meno alle mostre alle mostre non posso né criticare, né apprezzare. Per apprezzare ciò che un artista fa è necessario avere un contatto personale con lui. Alcuni artisti, che non reputo di livello, quando creano delle opere dovrebbero scrivere un trattato di filosofia piuttosto che produrre un’opera.

C’è l’artista e poi c’è l’uomo. Qual è il suo rapporto con questa doppia personalità? E Il suo rapporto con Dalì?

Con Dalì è stato un rapporto speciale al limite del litigio, ma è sempre stato un rapporto cordiale. Ho sempre fatto un confronto con Dalì uomo e Picasso uomo. Picasso era l’opposto. Era un uomo con una certa dose di cinismo, come si vede dalla sua vita. Dalì non era così, nella sua vita si è divertito perché ha preso in giro molta gente, soprattutto la stampa. Non apprezzava i giornalisti che lo andavano a trovare e la stampa stessa non l’ha mai apprezzato. Quando faceva le interviste aveva il suo abito speciale con le sue collane, aveva sempre un atteggiamento ironico. Oggi non c’è più nessuno vivente che lo abbia frequentato tranne un amico in Spagna e io. Di aneddoti con Dalì ne ho parecchi. Io ho spronato Dalì affinché facesse sculture dove riprendesse i suoi temi artistici. Ho cercato di convincerlo ad accettare l’idea di trasformare in tre dimensioni i suoi soggetti pittorici. Ci sono stati alcuni momenti di tensione, perché lui vedeva alcune sue opere-sculture a modo suo e io invece le vedevo con una ottica da mercante. Cercavo di suggerirgli con molta cautela di trasformare qualcosa e ogni volta si arrabbiava, buttando per terra l’opera. Mi ha aiutato molto la moglie, una donna molto interessata ai soldi con una grande faccia tosta. Mi ricordo un episodio accaduto quando mi doveva dare delle sculture che gli avevo commissionato. Quando lui era già malato, lei ritardava a darmi una scultura che avevo anche già in parte pagato. Mi sono presentato a casa loro con il contratto firmato dal marito. Lei, già ottantenne, mi ha accolto rimanendo seduta con le gambe appoggiate su un tavolino, mi ha preso il contratto e lo ha stracciato. Poco importava era la fotocopia, ma ad un certo punto dal piano superiore è spuntato Dalì appoggiato alla ringhiera in pigiama dandomi ragione. Questo per dire che tipo fosse la moglie. Tuttavia è stata lei a dargli la notorietà. Lei riusciva ad entrare nella società che gli interessava come una bomba dirompente.

 

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La vita con l’artista, frequentare gli artisti spesso cosa vuol dire?

Li frequentavo spesso per il mio lavoro, ma mezz’ora era sufficiente perché la maggior parte degli artisti erano e sono egocentrici. L’unico che non parlava solo di sé stesso era Fontana, parlava di tante altre cose. Se con un artista sentivo solo la parola “io” dopo un po’ me ne andavo. È necessario per un artista essere egocentrico, se no non potrebbe emergere. però è giusto che lo sia nei rapporti con il resto dell’umanità, perché per chi deve lavorare con loro e subire questa continua egocentricità, a lungo andare può essere stancante. C’è anche una certa difficoltà di rapporto umano dettato dagli interessi economici, per questo è importante salvaguardare il rapporto economico con l’artista. È logico che lui stesso ci tenga in quanto è il suo sostegno. Ho avuto contratti con Perini e Novelli, li stipendiavo e loro mi davano tutto quello che facevano. C’è però anche un lato subdolo, ma non con loro, ossia un artista stipendiato ha l’obbligo di dare la sua produzione al suo gallerista o mercante, ma ogni tanto sgarra e vende per conto suo ai privati, ma è la vita. Ultimamente ho conosciuto Valdes che è una persona simpatica, sono stato nel suo studio e ha cose magnifiche, ma non ha la possibilità di cedere nessuna opera d’arte.

Come nasce Beniamino Levi?

Ho avuto per anni una galleria a Milano, in via Montenapoleone che ho aperto nel 1958, nonostante all’inizio mi fossi avvicinato al mondo artistico con degli studi molto superficiali. La mia è una storia strana, tutto è iniziato con la mania di giocare a bridge per sette sere alla settimana. In quel contesto conobbi un critico d’arte Franco Passoni. Mio suocero aveva una gioielleria in via Montenapoleone con un locale grande nel cortile esterno. Un giorno Passoni mi è venuto a trovare e vedendo il locale vuoto, mi ha rimproverato di lasciarlo inutilizzato consigliandomi di aprire una galleria d’arte. Mi ha convinto, grazie a lui ho iniziato a comprare opere e a girare il mondo. La mia prima mostra è stata “Bourgeois, Riopelle e la giovane pittura canadese” opere che avevo comprato da un mio amico gallerista a Parigi. Da qui ho iniziato ad andare a Londra, alle aste, ho iniziato a conoscere molte gallerie a Parigi, tanti artisti italiani tra cui Catellani, Tano Festa, Piero Manzoni con cui giocavo a bridge. Ho tenuto aperto la galleria per 18 anni poi l’ho chiusa e mi sono trasferito a Parigi. Nel ‘73 ho fatto una mostra di Picasso con delle opere fantastiche. Picasso è morto proprio in quei giorni. Tutti pensavano all’enorme fortuna che mi era capitata. Non ho più venduto un Picasso per due anni. Il mercato aspettava l’inventario di tutto ciò che Picasso aveva lasciato e la tassa di successione degli eredi. Quindi si aveva paura che le opere si svalutassero.

Quanto è importante il mecenatismo per un artista?

È importantissimo. Lo cura, lo segue e lo propone. La scelta oggi deve essere difficilissima così come lo è il commercio. La scelta oggi è enorme. Ci sono influenze attraverso questi diabolici strumenti elettronici di cui si deve tener conto. Io all’epoca non dico di essere stato il primo a portare in Italia artisti stranieri, ma sicuramente sono stato uno dei primi.

 

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Il viaggio dell’arte e per l’arte quant’è importante per lei?

Dipende molto dai rapporti che uno ha con il mondo intero. Ho conosciuto le più importanti gallerie di Parigi, Londra e New York. In seconde nozze ho sposato un’americana che mi ha permesso di entrare anche nella società americana. Non ho mai conosciuto Leo Castelli, sbagliando. Il viaggio migliorava la conoscenza di nuove gallerie. Non potendo andare in cerca di artisti nei loro studi dovevo collaborare con le principali gallerie per avvicinarmi agli artisti appartenenti a uno scenario geograficamente lontano. Ho rifiutato sempre delle partnership. Il miglior rifiuto è stato nei confronti di Roberto Calvi, un mio collezionista che assieme alla moglie frequentava la mia galleria. Mi disse: “facciamo qualcosa assieme”, sono andato da mio suocero chiedendo un consiglio e mi ha detto di stare sempre da solo negli affari, e così ho sempre fatto. È stato un grande rifiuto, immagino solo quanti problemi avrei potuto avere in futuro.

Il collezionista ha una bulimia dell’arte, non si appaga mai la sua esperienza?

Si concordo. Ho avuto dei clienti le cui mogli venivano e mi maledivano. Una in particolare mi diceva che il marito stava delle notti intere ad ammirare l’opera acquistata. Io sono bulimico, lo sono stato anche in passato, ma mantengo sempre la componente economica, da mercante. Sono stato un mercante d’arte con una visione generale e i galleristi venivano da me per i miei artisti. Oggi attraverso internet è valore all’artista promuoverlo su ampia scala. L’opera d’arte diventa una forma di investimento.  La galleria assume il ruolo di finanziere. Ci sono artisti che sono diventati finanzieri come ad esempio Jeff Koons, Damien Hirst che conosco personalmente.

Quali sono le tappe che un artista deve  compiere per entrare nel vero mercato dell’arte?

Deve frequentare delle gallerie potenti che abbiano rapporti internazionali. Deve essere esposto nelle principali fiere d’arte. Deve avere una galleria che lo sostenga non solo materialmente, ma soprattutto dal punto di vista dell’immagine.

 

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Cosa vede che c’era nel passato che ora è svanito. Cosa invece non morirà mai.

Oggi c’è sicuramente più di prima, ma abbiamo perso la serietà. Se conoscessi il futuro per poter vedere se le cose cambiano o meno ne sarei felice.

Cos’è per lei la bellezza?

Bella domanda. Più si va avanti negli anni più apprezzo la bellezza della natura che purtroppo non si apprezza quando si è giovani perché la diamo per scontata. La bellezza è la natura, il creato, quello che ci circonda. Io sono vissuto nel periodo in cui il figurativo anche interpretato e non immediato era un elemento apprezzato, ora non si può più avere questa idea della bellezza. Alcune espressioni artistiche di oggi devono essere spiegate filosoficamente e possono non più essere apprezzate solo da un punto di vista empatico. Qualcosa che ha un riferimento con la natura contiene la bellezza. Per comprendere l’arte povera, per esempio, bisogna povera per esempio bisogna parlare con l’artista per capire cosa c’è dietro.

La rivista si chiama Quid Magazine per lei cos’è il Quid? Quella scintilla che rende uniche le cose?

Il quid nella vita è l’amore. Nell’arte è l’emozione.