Un nuovo linguaggio visuale chiamato "Neuro-Estetica Fotografica: NEFFIE"

 

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L'Ingegnere Alberto Sanna a MIA Fair 2021

 Intervista all'Ingegnere Alberto Sanna. Direttore del Centro di Ricerca dell’Ospedale San Raffaele “Tecnologie Avanzate per la Salute e il Ben-Essere” in occasione del progetto presentato a MIA Fair 2021.

By Camilla Delpero   

 

Come nasce Alberto Sanna?

Sono un ingegnere nucleare, ho cominciato a lavorare all’Ospedale San Raffaele di Milano in Medicina Nucleare durante durante la mia tesi di laurea. Nel 1990 lavoravo ad un sistema di robotica per il ciclotrone, un acceleratore di particelle che produce i traccianti radioattivi per la PET, (acronimo di Tomografia a Emissione di Positroni) e approfondivo con curiosità ed ammirazione ciò che questa tecnologia permetteva di scoprire sul funzionamento del cervello. La fotografia è sempre stata la mia passione, fin dagli anni 80: fotografavo tutto ciò che trovavo scritto sui muri di Milano con l’intento di documentare le dinamiche artistiche e sociali dei graffiti metropolitani. Attualmente sono Direttore del Centro di Ricerca dell’Ospedale San Raffaele “Tecnologie Avanzate per la Salute e il Ben-Essere”. Mi occupo di tre cose: Ospedale del futuro, Vita del futuro e Città del futuro, sviluppando progetti di ricerca in ambito Europeo, con i quali immagino un futuro possibile e lo realizzo facendolo interagire con le persone nel Living Lab del San Raffaele.

Alcuni anni fa ho deciso di riprendere ad occuparmi di fotografia, dopo averla abbandonata quando la piena maturità dell’analogico era stata soppiantata troppo velocemente da un digitale ancora in fasce. Così mi sono sfidato a reinterpretare e reinventare la mia linea autoriale giovanile alla luce delle sensibilità e delle competenze scientifiche acquisite, sperimentando le applicazioni delle nuove tecnologie alla medicina: le tecnologie e la conoscenza delle neuroscienze si erano significativamene evolute, e l’intuizione o la fascinazione mi hanno sfidato a cercare un nuovo terreno fertile di ricerca multidisciplinare. Negli anni, ho codificato un linguaggio visuale che chiamo Neuro-Estetica Fotografica: NEFFIE. Il messaggio di NEFFIE è che, subissati dagli stimoli visivi della quotidianità, stiamo perdendo il gusto di vedere, che non significa guardare, ma leggere ciò che le immagini ci narrano. La Neuro-Estetica Fotografica codifica un linguaggio visuale in grado di stimolare una serie di meccanismi cognitivi ed emotivi e si pone la sfida di usare le tecnologie per creare consapevolezza ed includere attivamente l’Osservatore in un dialogo con la fotografia. Se però mi fossi limitato all’uso della mera piattaforma tecnologica, i dati che ne avrei ricavato avrebbero avuto significato solo in termini scientifici. Ho quindi ho cercato una forma di espressione visuale - mediata da un algoritmo di intelligenza artificiale – in grado di stimolare la consapevolezza ed il dialogo tra l’Autore – che chiamo l’Osservatore Primario -  e il/gli Osservatori Secondari. Il contesto offerto dal MIA è ideale per valutarne l’efficacia della piattaforma tecnologica e stimolare il confronto sulla Neuro-Estetica Fotografica. 

La mia sfida è di natura scientifica, artistica e sociologica: verificare che questa tipologia di immagine aiuti a leggere (o meglio come preferisco dire, a intel-leggere: nel senso di leggere tra gli elementi visuali) la realtà attorno a noi con occhi diversi, anche non i nostri. La mia sfida nella sfida è che in futuro le fotografie NEFFIE siano identificate come tali con questo esatto termine, proprio come oggi l’autoscatto materiale di una volta si identifica con il nome selfie. L’auspicio è che le fotografie NEFFIE abbiano miglior sorte dei selfie, che vivono per un istante soltanto nell’immaterialità della rete per essere subito dopo sepolti nelle tombe digitali delle memorie elettroniche.

 

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Macchina del Progetto NEFFIE, omaggio alla cabina delle fototessere di Franco Vaccari (Biennale di Venezia 1972), esposta a MIA Fair 2021.

 

Perché un omaggio proprio a Franco Vaccari?

Dal momento che mi è sempre piaciuta l’iconologia della fotografia, ho pensato che la macchina delle fototessere con il suo simbolismo fosse lo strumento più adatto per raggiungere il mio scopo. All’epoca è stata una rivoluzione tecnologica di cui oggi si perde contezza. Immaginatevi la complessità della fotografia nel 1927: il Photomaton di Anatol Josepho con 25 centesimi produceva 8 foto in 8 minuti. Nel cuore di Manhattan, permetteva a tutti di avere in mano la propria identità visuale, intesa non dal punto di vista amministrativo ma dal punto di vista sociale. Era il modo in cui l’uomo della strada, nel senso più letterale del termine, poteva avere un proprio ritratto senza esporsi al giudizio del fotografo o del pittore ritrattista, un investimento in tempo denaro e autostima che troppo pochi all’epoca potevano concedersi. Franco Vaccari con la sua installazione "Esposizione in Tempo Reale N.4" alla Biennale di Venezia del 1972 mi ha comunicato la direzione e il senso di questa traiettoria: la sua forma d’arte è stata una performance in cui lo spettatore si sedeva con uno sfondo neutrale, scattava una foto al sè - o ai sè che condividevano quell’esperienza - con la sola presenza e linguaggio del proprio volto e corpo, senza la cosmetica del contesto. In questo modo chi entrava nella sua cabina poteva e doveva esprimersi in maniera attiva, e poteva, doveva decidere se condividere pubblicamente e istantaneamente la propria presenza in un face-book, che in realtà era un face-wall. È una metafora che trovo estremamente attuale se riferita al suo contrario esistenziale, l’autoscatto di oggi che è invece troppo spesso caratterizzato da volti monoespressivi giustapposti a un caleidoscopio di sfondi sfavillanti.

Per esprimere compiutamente il mio messaggio, ho voluto usare questo tipo di macchina e creare un legame, una traiettoria tra il Photomaton - una tecnologia all’epoca d’avanguardia che ha avuto un potente impatto sociale - con la dimensione intimistica e al contempo sociale preconizzata da Franco Vaccari con la stessa tecnologia, divenuta ormai pervasiva nei suoi anni Settanta. Il mio intento non è ovviamente quello di catturare e mostrare i tratti somatici ed espressivi del volto, unico protagonista in uno sfondo neutrale, ma di visualizzare e dare la consapevolezza dei propri processi cognitivi all’Osservatore posto di fronte a ciò che osserva: una fotografia NEFFIE, da me pensata e realizzata appositamente per questo scopo. Il mio messaggio all’Osservatore è la consapevolezza di come abbia elaborato cognitivamente l’immagine mostrata, portandolo a riflettere sulla medesima immagine ricreata in tempo reale, per consentirgli una rielaborazione cosciente della stessa esperienza. Grazie alla tecnologia e alle neuroscienze, voglio comunicare che leggere una fotografia e dunque fare una fotografia è un gesto attivo, generativo e condivisibile. Ci sono anche ulteriori implicazioni nell’interazione tra il linguaggio fotografico, quello testuale (ad esempio il titolo) e quello verbale, che verranno sviluppati nel prossimo futuro. Per ora, il primo passaggio è quello che si trova a MIA Fair: mostrare all’Osservatore una NEFFIE all’interno di una cabina per le fototessere arricchita di sensori in grado di estrarre i parametri fisiologici e di produrre una seconda fotografia direttamente interpretabile in chiave cognitiva ed emozionale. I parametri fisiologici sono solo dati, non hanno di per sé la forza di comunicare all’Osservatore, ma si trasformano in messaggio quando l’Osservatore esce dalla cabina. In quell’istante, qual è la sua aspettativa? Vedere la propria immagine somatica. Invece, la cabina per le fototessere produce un'interpretazione della fotografia NEFFIE originale elaborata visualmente da un algoritmo di intelligenza artificiale in funzione di come il cervello ha percepito le relazioni tra gli elementi, su cosa si è soffermato, in che sequenza e quale punto della foto lo ha più catturato, e altro che gli permetterà di confrontarsi più consapevolmente con altri Osservatori.

Quando guardiamo una fotografia non la vediamo completamente, ne osserviamo parti e dettagli che poi assembliamo mentalmente. L’algoritmo di intelligenza artificiale invece la rielabora con disarmante oggettività, soppesando anche altri parametri misurabili che il nostro cervello coglie solo a livello inconscio. Per esemplificare il concetto, quando osserviamo un'immagine campioniamo ad alta velocità tante piccole zone all’interno del nostro sguardo panoramico, proprio perché prevediamo che non tutti ci possano interessare. Non ci rendiamo dunque conto a livello conscio che l’atto del vedere di ognuno di noi è molto selettivo e consequenziale; e che la sequenza completa è unica e irripetibile, anche se troppo spesso diamo per scontato invece che sia ovvio l’opposto. Per fare un esempio paradossale, è come se nel leggere un testo ognuno di noi combinasse le lettere non con un codice lineare condiviso - da sinistra verso destra - ma con un codice individuale e per di più irregolare e dipendente da ciò che abbiamo letto in precedenza; e infine, nel parlarne tra noi, dessimo per scontato di aver tutti letto lo stesso testo solo perché le lettere sulla pagina sono le stesse per tutti. Le fotografie NEFFIE sono scattate appositamente per indurre letture il più possibile divergenti delle immagini da un punto di vista cognitivo e la tecnologia ci aiuta a svelare il codice individuale all’uscita dalla cabina così da permettere a noi stessi di leggerci e dunque di raccontarci e confrontarci e di farlo anche con gli altri.

 

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Fotografie NEFFIE scattate dall'Ingegnere Alberto Sanna, esposte a MIA Fair 2021.

 

Mi collego a un’esposizione "La disciplina dei sensi" del fotografo Hans Georg Berger al Musec di Lugano. L’artista scatta le foto per imparare, usa il bianco e il nero in quanto afferma che ognuno di noi vede i colori in modo diverso. Come si può discutere, e in seguito apprendere, se percepiamo diversamente una stessa foto?

Dal mio punto di vista, l’artista ha sfidato due limiti: il primo di neuroscienze ed il secondo socio-culturale, riducendo la complessità di comunicare con l’osservatore al “solo” uso solo del bianco e nero nella ricerca e nella selezione della essenzialità. Riferendoci a quanto detto prima, un altro quesito posto è: quali sono i punti salienti che ognuno di noi coglie nel leggere la realtà o la fotografia della realtà? Anche questo è un dominio applicativo importante per la Neuro-Estetica Fotografica: una ricerca sulla percezione e sulla diversità culturale, sull’apprendimento reciproco e sulla mediazione socio-culturale sono sperimentazioni realizzabili sulla stessa piattaforma logica e tecnologica presente al MIA Fair.

Viviamo in un mondo in cui le multiculture visuali evolvono rapidamente e si confondono nel melting pot sociale e tecnologico delle nostre città fisiche e virtuali. Ancora una volta, le immagini sono parte fondante del modo in cui la nostra esperienza individuale ci permette di leggere il mondo attorno a noi. Sospinti dalle nostre frenesie, siamo costretti a dare letture sempre più rapide e inconsapevoli del nostro mondo per avere consapevolezza che altre esperienze individuali e altre culture visuali possano leggervi altro da ciò che vi leggiamo noi, non sto ovviamente riferendomi agli esperti di semiotica, ma ai cittadini nella quotidianità delle nostre società fisiche e virtuali. La piattaforma tecnologica della Neuro-Estetica Fotografica ambisce a svolgere proprio questa azione pedagogica a livello individuale e collettivo. Per esempio, un cittadino di cultura orientale o africana, abituato a leggere il significato di immagini nel proprio contesto esperienziale e culturale, come reagisce quando vede un’immagine della cultura occidentale, o in un contesto occidentale? L’esempio del fotografo Hans Georg Berger è calzante al suo opposto. Andava in Laos pensando di fotografare ciò che era saliente per lui in relazione alla sua visione e alla sua interpretazione del contesto, ma per i locali il focus era altro. Non riusciva talvolta in prima battuta a cogliere ciò che per lui erano dettagli e che per altri erano invece fondamenti. Nel rapporto fra le culture, così come nel rapporto fra gli individui, la consapevolezza porta ad un dialogo, la certezza ad un confronto che, all’estremo, diventa scontro. Questo contrasto o conflitto latente vive delle nostre ambiguità semantiche e culturali ed ha un potenziale creativo e generativo se viene mediato dalla consapevolezza reciproca. La dimensione pedagogica e sociale della consapevolezza ha applicazioni in moltissimi ambiti, oltre a quelli della cultura visuale.

Quanto tempo ha comportato un progetto del genere?

Il progetto di NeuroEstetica Fotografica, il suo Codice e la ricerca fotografica delle NEFFIE sono attività distribuite e sedimentate nel tempo: a guardare le date sulle prime ingenue ed inconsapevoli fotografie NEFFIE, posso dire di aver iniziato ciò che ora è la Neuro-Estetica Fotografica una decina di anni fa, riprendendo la mia ricerca fotografica attiva, dopo aver concluso il mio periodo di ricerca giovanile ed essermi dedicato alla ricerca tecnologica e medicale al San Raffaele. Del mio periodo documentale di gioventù rimangono parecchie migliaia di diapositive con le quali mi sono raccontano la nascita e lo sviluppo dei graffiti metropolitani a Milano in particolare tra il 1984 e il 1987, e qualche occasionale fuga sui muri di Roma. All’epoca inseguivo tutto ciò che appariva scritto o disegnato sui muri esterni ed interni, come in metropolitana o al Leoncavallo, sia che fossero messaggi di personaggi eccentrici – Il clero ti uccide con l’onda: ante litteram sull’asfalto cittadino dei siti di fake news – che le tracce fisiche dei conflitti sociali e terroristici dell’epoca, i proclami testuali e grafici di Anarchici, Punk e Paninari, di terrorismo rosso e nero. Tutto ciò per missione documentale, mentre per piacere mi rifugiavo fotograficamente nella bellezza caotica e poetica di alcune aree di Milano dove le pulsioni ed incursioni grafiche erano per fortuna di natura artistica. Quando una decina di anni fa mi sono chiesto come avrei potuto riprendere la mia ricerca fotografica senza tradire quella missione giovanile o reiterarla pedissequamente, e come avrei potuto innestarvi proficuamente le conoscenze e sensibilità acquisite nel frattempo come ricercatore a cavallo tra la Medicina e le Nuove Tecnologie mi sono trovato in seria difficoltà a razionalizzare una strategia ex-ante, ma tutto si è rivelato invece molto più semplice, seppure molto laborioso, ex-post. Senza averne avuto all’origine piena coscienza, due mie fotografie di gioventù affiancate su una parete del passato mi parlavano al presente: una era "Ama il tuo muro": quella che avevo immaginato come la copertina di un catalogo che non ho mai realizzato. L’altra foto, apparentemente più banale già dal titolo, era "Voglia di te": una fotografia scattata in Piazza Duomo durante i lavori della Linea 3 della Metropolitana. Il testo "Voglia di te" era però scritto in grafia rossa cubitale sulla superficie argentata e riflettente della parete che occultava il cantiere, ed il Duomo ne era riflesso in modo scomposto e sfuocato. La foto così scattata era iconica per Milano in quanto l’affiancamento sulla superficie riflettente della scritta "Voglia di te" e la visione onirica del Duomo cambiava totalmente il senso originale di quel testo: ossia era una dichiarazione di amore per l’icona di Milano vista come una apparizione, invece della più banale ed eterna grafomania mitomane di un amore, forse effimero. Il vuoto semantico tra i due scarti visuali urbani - tra loro scorrelati, ma giustapposti dal caso e dall’ottica – aveva attivato un irriducibile processo generativo, la ricerca di una relazione semantica tra i due elementi, rivelando la traccia occasionale di un Codice, che si è poi progressivamente consolidato nella sua attuale compiutezza, e nelle sue prospettive di sviluppi futuri.

 

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La stampa rielaborata del NEFFIE visualizzato dal secondo Osservatore dentro la macchina delle fototessere.

 

Come unisci in modo armonico la scienza e la componente umanistica?

In questo come in altri progetti utilizzo tecnologie - come sensori, intelligenza artificiale e blockchain - e metodologie che vengono applicate anche in contesti diagnostici e terapeutici, dove peraltro ha grandi potenzialità anche la somministrazione personalizzata di immagini. In tutti i progetti applico il modello dell’Ingegneria della Consapevolezza [1]: Funzione-Emozione-Relazione. Ogni Funzione attraverso cui un sistema fornisce il supporto a una necessità concreta, deve essere integrata da un'Emozione - uno stimolo emotivo personalizzato - e da una Relazione, uno stimolo personalizzato a relazionarsi con l’altro-da-sé, per esempio la dimensione sociale e ambientale. 

L’Ingegneria della Consapevolezza è dunque il presupposto metodologico per non tradire la visione olistica e per affrontare la sfida di migliorare la qualità della vita, sia individuale che collettiva, nella complessità sempre crescente degli ecosistemi socio-tecnologici nei quali viviamo. Affrontare l’innovazione a partire dalla Salute - intesa proprio come uno stato di Ben-Essere fisico, emotivo e relazionale - reclama un dialogo proficuo e multidirezionale tra medicina, tecnologia, design e arte. Il mio impegno in questo contesto non si limita al campo della ricerca e dell’innovazione, ma per necessità e missione si estende anche all’ambito didattico. Infatti, ho iniziato già dai primi anni 2000 a insegnare come professore a contratto in varie università: Informatica, Design, Biotecnologie, Medicina ed ora insegno Health Informatics nel corso di laurea magistrale di Psicologia Cognitiva nella Comunicazione della Salute offerto congiuntamente dalla Facoltà di Scienze Biomediche dell’Università della Svizzera Italiana e la Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Prendo ad esempio uno dei temi trattati in questo corso per evidenziare come da un punto di vista umanistico le tematiche sono intrinsecamente interconnesse: l’alimentazione. L’alimentazione è un comportamento umano che non ha solo impatto sulla salute individuale, ma anche sull’ambiente e sulla società. Per poter supportare gli individui a cambiare i propri comportamenti ed adottare stili di vita più salutari, ecosostenibili e socialmente responsabili è necessario affrontare congiuntamente le tre dimensioni: nutrizione, gratificazione ed organizzazione. Ogni approccio parziale toglie ruote a un triciclo. Su questo tema abbiamo realizzato negli anni vari progetti di ricerca interdisciplinari che hanno coinvolto Gualtiero Marchesi ed ora stiamo proseguendo il lavoro con la Fondazione Gualtiero Marchesi. In uno dei recenti Incontri in Accademia abbiamo discusso di Neuro-Estetica Enogastronomica pensando all’uso della Neuro-Estetica Fotografica a partire proprio dalla dimensione visuale dei piatti del Maestro. 

La analogia tra l’Alimentazione e la Visione è molto potente: nei nostri comportamenti quotidiani, sperimentiamo un'obesità ed un inquinamento ambientale di natura visuale: il progetto NEFFIE è metaforicamente un libro di “ricette” visuali che propongono una dieta gratificante e compatibile con un'economia circolare dell’Immagine.

 

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NEFFIE fotografato dall'Ingegnere Alberto Sanna, esposto a MIA Fair 2021.

 

Cos’è la bellezza?

La parola bellezza di per sé proprio non mi piace, non per demeriti propri ma per l’abuso che d’essa vien fatto. Mi piace, invece, la parola estetica: la relazione armonica e significante tra concetti apparentemente estranei che si rivela al sé in un imprecisato istante mentale. La metafora visuale che meglio rappresenta ciò che penso sia l’accadimento estetico nel cervello umano ed è il dettaglio del contatto tra le dita nell’affresco di Michelangelo, la Creazione di Adamo, nel quale però il ruolo del Creato e del Creatore è da intendersi paritetico ed interscambiabile (in questi termini è peraltro a sua volta una potente metafora del rapporto tra l’umano ed il divino). Questa metafora visuale è anche elemento fondante della Neuro-Estetica Fotografica, e si declina nella pariteticità e bidirezionalità del rapporto tra l’Autore – cioè l’Osservatore Primario delle fotografie NEFFIE - e l’Osservatore Secondario.

 

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Lo schermo su cui visualizzare i NEFFIE dentro la cabina delle fototessere a MIA Fair 2021.

 

La rivista si chiama Quid Magazine perché vuole indagare il quid. Dove lo intravedi?

La missione dell’Università Vita-Salute San Raffaele in cui insegno è di rispondere alla domanda Quid est homo, nella convinzione che l’Essere Umano sia un unicum biologico, psicologico e spirituale. Il termine unificato Vita-Salute racchiude in sé la definizione di Salute (Health in inglese), del WHO (World Health Organization) intesa come uno stato di Ben-Essere fisico, emotivo e sociale. Corpo, Psiche e Anima sono i tre elementi su cui interviene l’Ingegneria della Consapevolezza per progettare sistemi socio-tecnologici costruiti attorno ai bisogni ed ai desideri dell’Essere Umano nei termini di: Funzione (per il corpo), Emozione (per la psiche), Relazione (con l’Altro-da-sé). Corpo, Psiche e Anima: queste tre parole, scritte in greco nel cuore dell’Università, sono sovrastate da una riproduzione monumentale della Tripla Elica del DNA, il Codice della Vita, ciò che all’occhio distratto si può definire una cupola, è invece la rappresentazione simbolica della Terra all’interno della quale la Tripla Elica si trasforma in un unico percorso a spirale che dalla base sale fino a condurre l’Essere Umano al terminale fisico del suo percorso di vita terreno, oltre il quale l’Arcangelo San Raffaele indica il Cielo a significare la dimensione metafisica. Nelle Metamorfosi, Ovidio dice: “Mentre gli altri animali guardano proni alla terra, l’uomo ebbe in dono un viso rivolto verso l’alto e il suo sguardo mira al cielo e si leva verso le stelle” [2]. Il Cielo dunque primo medium dell’umanità che non necessitava di grafia perché le NEFFIE notturne – le immagini effimere di stelle, pianeti, nebulose ed il vuoto siderale tra esse - attivava i processi cognitivi individuali e collettivi dell’umanità creando personaggi, storie, miti, archetipi e metafore della vita quotidiana condivise in tempo reale attraverso il primo Internet dell’umanità: il Cielo Stellato. Questo è il senso primo della Fotografia Neuro-Estetica, il suo messaggio umanistico che attraversa le tecnologie di ieri, di oggi e di domani.

 

[1] TEDx Talk al link: https://www.youtube.com/watch?v=TMhj4Q30q0U 

[2] Traduzione di Giovanna Faranda Villa, BUR Rizzoli, Milano 2007 – prima edizione 1994