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Jean-Michel Basquiat al Mudec di Milano

Dal 28 ottobre 2016 al 26 febbraio 2017, a cura di Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio.

 

Oggi il MUDEC, Museo delle Culture di Milano, apre le sue porte a uno dei protagonisti della scena artistica americana e mondiale degli anni ’80, considerato uno degli artisti più noti dei nostri tempi: Jean‐Michel Basquiat. La mostra s’inserisce nel percorso culturale che mette in relazione le collezioni etnografiche del Museo e la cosiddetta “arte primitiva” con i principali movimenti artistici del XIX e del XX. Jean‐Michel Basquiat è stato uno dei protagonisti del secolo che abbiamo appena lasciato; la sua vita e la sua opera riescono a trasmetterci la profonda contraddizione degli anni in cui ha vissuto e l’estrema fragilità della condizione umana.

Jean‐Michel Basquiat, al MUDEC dal 28 ottobre 2016 al 26 febbraio 2017, è curata da Jeffrey Deitch, amico dell’artista, critico, curatore ed ex direttore del MOCA di Los Angeles, da Gianni Mercurio, curatore e saggista, e promossa dal Comune di Milano‐Cultura e da 24 ORE Cultura che ne è anche il produttore. Il percorso della mostra è pensato con due chiavi di lettura: quello geografico legato ai luoghi che hanno segnato il percorso artistico di Basquiat e quello cronologico. I visitatori potranno attraversare la vita, le gioie e le insicurezze di questo giovane artista: un uomo pieno di
talento, perso nelle proprie fragilità e in una società che lo acclamava come artista, ma lo rifiutava per il colore della pelle. L’esposizione presenta circa 140 lavori realizzati tra il 1980 e il 1987 e accosta opere di grandi dimensioni, disegni, foto, collaborazioni con l’amico Andy Warhol e una serie di piatti di ceramica nei quali, con ironia, Basquiat ritrae personaggi e artisti di ogni epoca: opere caratterizzate dall’uso di materiali poveri e da un segno grafico inconfondibile, pieno di rabbia, provenienti in larga parte della collezione di Yosef Mugrabi, a cui si aggiungono opere da altri prestatori privati. Alcuni dei temi ricorrenti nell’opera di Basquiat come la musica, il jazz, i fumetti, l’anatomia ma anche la poesia e la scrittura saranno il fil rouge che guiderà il visitatore tra differenze sociali e razziali, emarginazione e diffidenza verso il diverso: elementi che ieri come oggi caratterizzano la società.

La mostra “Jean‐Michel Basquiat” sarà anche l’occasione per approfondire la conoscenza dell’artista e il periodo in cui ha vissuto attraverso una serie di eventi, concerti, proiezioni, conferenze. Il calendario, a breve disponibile sul sito del museo http://www.mudec.it, prevede la proiezione di 4 lungometraggi in lingua originale e 3 incontri dedicati a Jean‐Michel Basquiat, in collaborazione con il Consolato USA a Milano e l’Università IULM:


Film


 BASQUIAT (1996) by Julian Schnabel
 THE RADIANT CHILD (2010) Tamra Davis
 ANDY WARHOL, A DOCUMENTARY MOVIE (2006) by Ric Burns
 DOWNTOWN 81 (1999‐2000)


Conferenze


 Jean‐Michel Basquiat e la New York degli anni ’80: graffitismo, New Pop, Hip Hop
 Basquiat e la poetica della Street Art
 Basquiat e la musica: Jazz, Funk, Hip Hop, Rap.


Infine JAZZIMI, il festival diffuso che si terrà a Milano dal 4 al 15 novembre 2016, ha ideato una speciale rassegna, dal titolo JAZZ & BASQUIAT: primo appuntamento il talk di Arto Lindsay condotto da Carlo Antonelli (venerdì 4 novembre ore 18), momento in cui l‘artista brasiliano racconta il suo incontro con Jean‐ Michel Basquiat, a cui seguiranno i concerti di Luigi Ranghino (sabato 5 novembre ore 19), The Dynamic Trio by Marco De Gennaro (giovedì 10 novembre ore 19) e Seby Burgio (domenica 13 novembre ore 18). 

LE SEZIONI DELLA MOSTRA


Lo studio in strada, 1980‐81

Jean‐Michel Basquiat divenne famoso anzitutto per gli enigmatici graffiti firmati SAMO, che cominciarono ad apparire nelle strade di SoHo e del Lower East Side di New York nel 1977. Non erano semplici graffiti: erano opere di autentica poesia. Molte delle prime opere d’arte firmate da Basquiat con il proprio nome furono dipinte su finestre e porte che trovava abbandonate per strada. Avevano per soggetto l’energia e la cacofonia delle strade di New York: sirene di ambulanze, incidenti d’auto, insegne per all‐beef hot dogs, griglie tracciate per terra sui marciapiedi per giocare a “mondo”. Parole e lettere, spesso impiegate in senso astratto, si mescolano alle immagini. Lavorando sul pavimento di appartamenti di amici e nella strada stessa, Basquiat aveva già creato una notevole quantità di opere prima ancora di avere uno studio o i soldi per comprarsi il materiale.


Modena, 1981

La prima esposizione personale di Basquiat fu organizzata in Italia nel maggio 1981, a Modena, dal gallerista Emilio Mazzoli. Basquiat presentò la mostra non con il proprio nome, ma con l’acronimo SAMO, che dopo Modena non avrebbe più usato in quanto lo inquadrava ancora come  rappresentante della nuova scena graffitista. Nei lavori della mostra gli echi della strada sono molto presenti: Basquiat accentua l’uso della bomboletta spray e alcuni caratteri tipici dei graffiti, come la visione frontale e la veloce linearità dei contorni delle figure.
Ma già il suo graffito sviluppava un proprio discorso espressivo che avrebbe prodotto il suo futuro linguaggio pittorico: un sofisticato trattamento della superficie e la presenza di una tematica individualizzata in ambito sia iconografico, come l’iconismo pastorale di risonanza biblica e l’arcaico
classicismo figurale che troviamo in The Field Next to the Other Road, sia pittorico, come in Untitled (1981).


Lo studio di Prince Street, 1981‐82

Molti dei lavori più iconici di Basquiat furono dipinti nel seminterrato della galleria di Annina Nosei in Prince Street, a SoHo. In occasione della preparazione della personale di Basquiat che si sarebbe svolta presso la sua galleria nel 1982, Nosei invitò l’artista a usare il seminterrato come suo primo studio vero e proprio. A questo proposito è nata la leggenda dell’artista sfruttato in un’umida cantina e obbligato a sfornare dipinti da vendere ai collezionisti che venivano portati giù a vederlo lavorare; ma in realtà si trattava di un bellissimo spazio, con il soffitto alto e finestre a battenti che facevano entrare la luce naturale. Avrebbe potuto essere un ottimo posto per lavorare, se Basquiat non fosse stato continuamente infastidito dai collezionisti entusiasti che scendevano nello studio in continuazione, insistendo per comprare i suoi quadri prima ancora che egli avesse l’opportunità di contemplarli e di decidere che erano effettivamente compiuti. A dispetto di quelle distrazioni, nello studio del seminterrato Basquiat realizzò opere stupefacenti, in cui la sua vivace sensibilità si fonde con la finezza che gli derivava da una sempre più vasta conoscenza della storia dell’arte e dalla padronanza della tecnica.

Lo studio di Crosby Street, 1982‐83

Annina Nosei aiutò Basquiat a trovare un loft al primo piano del n. 151 di Crosby Street, a pochi isolati di distanza dalla galleria, dove potesse lavorare senza distrazioni. Lì riceveva molte meno visite senza preavviso dai collezionisti, ma poiché Basquiat era forse l’unico della sua cerchia a disporre di uno spazioso e ben fornito studio con abitazione, vi capitavano spesso amici e perditempo. Basquiat lavorava spesso con il televisore acceso e sintonizzato su programmi di cartoni animati; il movimento delle figure lo ispirava, diversamente da altri artisti, abituati a ritrarre modelli dal vivo. Il periodo che Basquiat trascorse nello studio di Crosby Street fu uno dei più proficui. I lavori realizzati in questa fase denotano una sempre maggiore complessità, unita a un’audace semplicità.


Lo studio di Great Jones Street, 1984‐88

L’importante amicizia e collaborazione di Basquiat con Andy Warhol spinse quest’ultimo ad affittargli un’antica rimessa per carrozze in Great Jones Street, nel quartiere di NoHo. Tra i molti talenti di Warhol vi era anche uno speciale fiuto per i buoni affari immobiliari; l’edificio di Great Jones Street era una delle numerose proprietà alquanto speciali che aveva acquistato. Lo studio dove Basquiat dipingeva era a pianterreno; al primo piano, dove si trovava anche la camera da letto, era solito lavorare a disegni di dimensioni più ridotte. I suoi lavori del 1984‐88 spesso mostrano una composizione di più ampio respiro e un maggiore impegno cromatico. Le sue opere diventano sempre più profonde e spirituali.

Collaboration Paintings, 1984‐85

Il gallerista di Basquiat, Bruno Bischofberger, propose a Basquiat, Francesco Clemente e Andy Warhol di realizzare una serie di dipinti in collaborazione. Dopo che i tre artisti ebbero creato circa quindici quadri in questo modo, Basquiat e Warhol insieme diedero inizio a quella che sarebbe divenuta una delle più notevoli collaborazioni della storia dell’arte moderna e contemporanea. I dipinti venivano creati nello studio di Warhol in Union Square. Basquiat incoraggiò Warhol a ritornare alla pittura a pennello dei suoi primi lavori; Warhol, a sua volta, spinse Basquiat a servirsi di serigrafie e materiale stampato, ma in realtà Basquiat aveva fatto uso di fotocopie e tecniche di stampa sin dall’inizio. L’interazione tra i due artisti aveva una certa affinità con il modo in cui i musicisti jazz dialogano tra loro, improvvisando reciprocamente l’uno sui temi introdotti dall’altro, ma aveva anche qualcosa del combattimento di due pugili sul ring.