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4. GUCCIONE Tramonto a Punta Corvo

GUCCIONE ,Tramonto a Punta Corvo

 

A MENDRISIO IL MARE E IL CIELO DI PIERO GUCCIONE

La prima retrospettiva post mortem che ripercorrere il viaggio attorno al mare di Guccione attraverso l’esposizione di 56 capolavori dal 1970 fino alla conclusione del suo percorso.

Dal 7 aprile al 30 giugno 2019 il Museo d’arte Mendrisio presenta una grande antologica dedicata a PIERO GUCCIONE (1935-2018), tra i più grandi artisti italiani del secondo Novecento, attivo sino allo scorso anno, celebre per le sue magnifiche marine.

Non c’è mai stato un artista che sia riuscito a dare la dimensione della luce e della relazione tra l’azzurro, il mare e il cielo come Piero Guccione. Nato nel 1935 a Scicli e recentemente scomparso, per oltre quaranta anni ogni mattina Guccione ha guardato il mare cercando di coglierne le variazioni, non per semplice descrittivismo, ma per trovarci sempre l’anima dell’uomo.

«Mi attira l'assoluta immobilità del mare, che però è costantemente in movimento.» Guccione ha portato la sua ricerca ai limiti dell’astrazione, restando tuttavia ben ancorato alla realtà. Persino nelle ultime opere dove la rarefazione è condotta all’estremo e il senso di vuoto diventa qualità principale, egli vuole e sa rimanere pittore di un’antica tradizione radicata nel dato realistico, figurativo.

Con la prima retrospettiva post mortem, il Museo d'arte Mendrisio intende ripercorrere il viaggio attorno al mare di Guccione attraverso l’esposizione di 56 capolavori tra oli e pastelli, a partire dal 1970 fino alla conclusione del suo percorso. La scelta delle opere è stata curata dal Museo d’arte Mendrisio in collaborazione con l'Archivio Piero Guccione.

Un catalogo di 120 pagine, edito dal Museo d’arte Mendrisio, documenta con fotografie e schede tutte le opere in mostra, introdotte dai contributi di studiosi e seguite da apparati riportanti una bibliografia scelta e una selezione delle esposizioni.

Una mostra incantevole per ricordare un grande artista.

 

 

 

Storie in Movimento mostra mudec interno

Immagine della mostra "Storie in movimento. Italiani a Lima, Peruviani a Milano" - Foto tratta dal sito del MUDEC

 

 

Storie in movimento. Italiani a Lima, Peruviani a Milano

I legami storico-culturali tra Milano, l'Italia e il Perù nella mostra in partenza al MUDEC, concepita in collaborazione con l'Università Statale.

Fino al 14 luglio, al MUDEC Museo delle Culture di MilanoStorie in movimento. Italiani a Lima, Peruviani a Milano, la mostra nata dalla collaborazione tra Maria Matilde Benzoni, docente di Storia della Spagna e dell'America latina e di Storia moderna al dipartimento di Scienze della mediazione linguistica e di Studi interculturali dell'Università Statale di MilanoGiorgia Barzetti Carolina Orsini, conservatrici del MUDEC, e il team di antropologhe coordinato da Sofia Venturoli dell'Università degli Studi di Torino.

Al centro del percorso espositivo il racconto dei legami storico-culturali tra Milano, l'Italia e il Perù sul filo di molteplici esperienze di vita, individuali e collettive, da "scoprire" attraverso gli intrecci che legano, nel tempo e tra loro, i diversi protagonisti della mostra: Antonello Gerbi (1904-1976), capo dell'Ufficio studi della Banca Commerciale Italiana e studioso di storia delle idee costretto a un decennale esilio in Perù (1938-1948), a causa delle leggi razziali e dello scoppio della Seconda guerra mondiale, capace di trasformarsi proprio a Lima in un grande americanista; l'artista peruviano Jorge Eduardo Eielson (1924 -2006), giunto in Europa nel 1948, la cui intensa produzione, ricca di elementi preispanici, è intimamente legata all'Italia, e a Milano, in particolare; la variegata e numerosa comunità peruviana milanese, che con la ricchezza delle sue tradizioni culturali e il dinamismo socioeconomico contribuisce a fare della Milano contemporanea una vitale "città mondo".

La mostra dà voce a testimonianze ed espone documenti, opere e materiali messi a disposizione da numerosi prestatori, per restituire al visitatore una "storia" frutto dell'integrazione di prospettive storiche, antropologiche, fino al cinema documentario. In particolare per la sezione dedicata ad Antonello Gerbi, curata più da vicino da Maria Matilde Benzoni, di rilevante importanza per la realizzazione della mostra sono stati i contributi della famiglia Gerbi, dell'Archivio storico di Intesa Sanpaolo e della Biblioteca di Scienze della Storia e della Documentazione Storica dell'Università Statale di Milano.

Il percorso espositivo al MUDEC si inserisce nel ricco palinsesto di iniziative "Milano Città Mondo #04 Perù", a cura dell'Ufficio Reti e Cooperazione Culturale del Comune di Milano che, insieme alla comunità peruviana milanese, farà conoscere più da vicino il Perù alla città attraverso conferenze, incontri, proiezioni ed eventi promossi, anche in collaborazione con l’Università Statale, in programma fino a fine maggio.

 

 

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Nulla è lasciato al caso. "Trascendenza" di Alberto di Fabio

La mostra a cura di Sabino Maria Frassà ci accoglie in un luogo inconsueto, negli spazi di Gaggenau Hub a Milano, showroom del noto Brand tedesco, dove l’arte dialoga con altre forme d’arte. Recensione a cura di Camilla Delpero.

La mostra “Trascendenza” di Alberto di Fabio a cura di Sabino Maria Frassà ci accoglie in un luogo inconsueto, non canonico del mondo dell’arte, che tuttavia con essa ha creato un connubio vincente. Fino al 1 aprile si potranno ammirare le opere del Maestro negli spazi di Gaggenau Hub a Milano, showroom del noto Brand tedesco, dove l’arte dialoga con altre forme d’arte.

Le opere in mostra, di cui alcune totalmente inedite, sono volutamente in numero limitato. Esse rimbombano nel luogo asciutto e lineare al fine di concentrare l’attenzione dello spettatore sia sulle tele di grande formato, tipiche della poetica di di Fabio, sia su mosaici del tutto, appartenenti alla collezione dell’artista.

I colori terrosi, caldi anch’essi insoliti nella sua produzione, riverberano la bellezza del pennello che ricrea liquide stratificazioni. I suoi dipinti sono compositi e composizioni di differenti livelli di liquido; delle sinapsi che creano congiunzioni infinite.

 

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In particolare mi ha accattivato il mosaico dorato posto sul pavimento, visibile da ogni angolazione,collocata in tale posizione dal curatore per essere la chiave di interpretazione della mostra. L’artista ha usato l’oro, materiale prezioso tipico delle pale d’altare medioevali per richiamare forse quella sacralità che un tempo veniva affidata alla preziosità del materiale, sacralità che ora viene dissacrata nel pensiero umano.

La sua è una visione orizzontale del mondo che porta e deve portare a un maggiore distaccamento dall’usuale punto di vista verticale. Il gioco delle tessere dei due mosaici rappresenta e diventa un mantra che l’artista stesso esegue cercando di distogliere il pensiero dalle cose terrene ed elevarlo verso una pura spiritualità. Come in tutte le filosofie orientali il gesto non è solo un mezzo per raggiungere la perfezione, ma è la perfezione stessa. Che si tratti di tessere, ricami, mosaici il gesto porta la mente ad innalzarsi.

Nulla è lasciato al caso. Tutto è collegato ad un discorso più complesso, un’arte che vuole ritornare e ritrovare un tempo biologico, un tempo meditativo non inquinato dalla frenesia e disillusione quotidiana.

 

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  Giorgio Morandi, natura morta, olio su tela, 1923 1924.

 

 

Exit Morandi al Museo Novecento

A cinquantacinque anni dalla scomparsa del grande pittore il Museo Novecento ospita una mostra dedicata alle opere dell’artista bolognese.

Dal 15 marzo al 27 giugno a cinquantacinque anni dalla scomparsa del grande pittore il Museo Novecento (Piazza Santa Maria Novella, 10, Firenze) ospita Exit Morandi, una mostra dedicata alle opere dell’artista bolognese.

La mostra, curata da Maria Cristina Bandera e Sergio Risaliti, vede la collaborazione con Fondazione Roberto Longhi Villa Brandi e si avvale dei prestiti della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, della Banca Monte dei Paschi di Siena e di significative collezioni private.

L’esposizione prende origine da quattro importanti dipinti conservati al Museo Novecento appartenuti ad Alberto Della Ragione, tra cui un acquerello con una rara figura femminile che reca la data puntuale “11 aprile 918”, piccolo capolavoro su carta, che palesa le straordinarie capacità di aggiornamento dell’artista sulle avanguardie e la sua personale sintesi figurativa, svolta in un linguaggio già essenziale e anticonvenzionale. La grandezza di Morandi fu subito evidente a Roberto Longhi, che non interromperà mai il confronto umano e intellettuale con l’artista. I due, pur frequentandosi per decenni, si daranno sempre del “lei” nei loro scambi epistolari; un’affinità tra uno storico dell’arte e un pittore iniziata sul finire del 1934, in occasione della prolusione tenuta da Longhi in veste di nuovo titolare della cattedra di Storia dell’Arte all’Università di Bologna. In “un’aula gremitissima” Longhi concluse la sua illuminata revisione dei Momenti della pittura bolognese parlando in questi termini di Morandi: “E finisco col trovar non del tutto casuale che, uno dei migliori pittori viventi d’Italia, Giorgio Morandi, ancor oggi, pur navigando tra le secche più perigliose della pittura moderna, abbia, però saputo sempre orientare il suo viaggio con una lentezza meditata, con un’affettuosa studiosità, da parer quelle di un nuovo incamminato”. Un viaggio di cui sono stati interpreti vigorosi anche Cesare Brandi, Francesco Arcangeli e Carlo Ludovico Ragghianti, ovvero i punti cardinali della critica novecentesca relativa all’arte del maestro bolognese. Da qui le basi di un progetto espositivo speciale, che raccoglie opere appartenute o gravitate nell’orbita dei quattro illustri storici dell’arte, a sugellare, nello scorrere del tempo e nel cambiare delle stagioni, la fedeltà nei confronti della silente e ferma pittura di Morandi.

In mostra si potranno ammirare nature morte, paesaggi, fiori e una serie di incisioni, espressione artistica che vede in Morandi uno dei maggiori rappresentanti dei suoi anni e che gli valse il premio internazionale alla Biennale di San Paolo del Brasile nel 1953.

Ideazione e curatela Maria Cristina Bandera e Sergio Risaliti. Un progetto di Mus.e in collaborazione con Fondazione Roberto Longhi e Villa Brandi.

 

 

 

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 Ravi Agarwal, Have you seen the flowers on the river?, stampe fotografiche, 2007. Courtesy l'artista.

 

ECOLOGIES OF LOSS di Ravi Agarwal

Con questa mostra, a cura di Marco Scotini, prosegue l'indagine del rapporto tra pratiche artistiche e pensiero ecologista nel continente asiatico

Dal 9 marzo fino al 9 giugno il PAV Parco Arte Vivente presenta Ecologies of Loss, la prima personale italiana dell’artista indiano Ravi Agarwal. Con questa mostra, a cura di Marco Scotini, prosegue l'indagine del rapporto tra pratiche artistiche e pensiero ecologista nel continente asiatico, inaugurata con la personale dell'artista cinese Zheng  Bo Weed Party III. L'indagine (che vedrà presto altri appuntamenti) cerca di fare il punto sulla “centralità dell'Asia nella crisi climatica”, come sostiene Amitav Ghosh. 

Tra i maggiori esponenti della scena artistica indiana, da decenni Ravi Agarwal conduce una pratica inter-disciplinare come artista, fotografo, attivista ambientale, scrittore e curatore. Il suo lavoro esplora questioni nodali dell'epoca contemporanea quali l'ecologia, la società, lo spazio urbano e rurale, il capitale. Per oltre quattro decadi, la fotografia ha costituito il medium d'elezione per il lavoro di Ravi Agarwal, che ha poi conosciuto una dimensione più estesa grazie all'inclusione di installazioni, video, interventi di arte pubblica, diari, all'interno di progetti dalla durata pluriennale.

La natura decentrata del suo approccio (plurale, frattale, polifonico) colloca Ravi Agarwal tra quegli esponenti di una scienza nomade (Deleuze e Guattari) che si muovono contro le istanze teoriche unitarie, in favore di saperi minori, frammentari e locali. Animato dal desiderio di riappropriazione dei poteri collettivi autonomi sottratti dal capitalismo, di auto-gestione e auto-governo dei propri corpi e delle proprie vite, di cooperazione nel lavoro umano ed extra-umano, Agarwal registra i cambiamenti in corso nell'ambiente a partire dal lato della perdita. Da qui deriva il titolo, Ecologies of Loss, della mostra concepita per il PAV.

In questo senso, trattandosi della prima personale in Italia, la mostra cerca di raccogliere nuclei di opere scalate cronologicamente negli anni: da Have you Seen the Flowers on the River (2007 - 2010) a Extinct? (2008), da Alien Waters (2004 – 2006) a Else All Will Be Still (2013 – 2015). All'interno di queste estese ricerche, la perdita dell'animale (la comunità degli avvoltoi della parte meridionale dell'Asia) non è distinta dalla minaccia dell'estinzione della coltura del garofano indiano (la sua economia sostenibile, i suoi significati rituali), la perdita del fiume Yamuna, da quella del linguaggio (con il ricorso alla antica letteratura Sangam, scritta in Tamil), fino alla perdita del sé soggettivo – secondo una logica di interconnessione ecosistemica per la quale nessun elemento risulterebbe isolabile dal resto.

Ma l'aspetto fondamentale e originale della pratica artistica e attivista di Ravi Agarwal è quello che da più parti è stata definita come “personal ecology”. E ciò fin dal 2002, quando il suo lavoro viene presentato a Documenta XI e il tema ecologico non è ancora all'ordine del giorno. Piuttosto che “personal ecology” sarebbe più giusto definirla, con la derivazione foucaultiana, “ecologia del sé”, cioè come l'implicazione della propria auto-biografia all'interno dell'ambiente, come sua componente indissociabile. Per questo l'ambiente non potrà essere solo naturale, ma psichico, sociale, linguistico, semiotico. Da questo punto di vista, risulta particolarmente emblematico il lavoro presentato a Yinchuan Biennale. Il titolo, Room of the Seas and Room of Suns fa riferimento a due spazi della vita dell'artista, connessi dal comune elemento della sabbia. Due contesti ecologici, due politiche di sopravvivenza, il paesaggio umido della città costiera di Pondicherry e quello arido del deserto del Rajasthan, della sua infanzia e dei suoi antenati. Come afferma Agarwal, il fiume non è solo un corpo d'acqua che scorre attraverso la città, ma una rete di miriadi di relazioni interconnesse alla città, ai suoi abitanti e alla natura.

I suoi lavori sono stati esposti in manifestazioni internazionali tra le quali menzioniamo Yinchuan Biennale (2018), Kochi Biennale (2016), la Sharjah Biennial (2013), Documenta XI (2002). 

Ravi Agarwal è fondatore e direttore della ONG ambientalista Toxic Link, oltre a far parte di diversi comitati regolatori, a fianco della sua costante attività di studio, ricerca e scrittura relativamente ai temi connessi alla sostenibilità ambientale, sia nella dimensione accademica sia sui media più popolari. Nel 2008 è stato insignito dello Special Recognition Award for Chemical Safety delle Nazioni Unite e, nel 1997, gli è stata assegnata l'Ashoka Fellowship per l'imprenditoria sociale. 

La mostra è realizzata con il sostegno della Compagnia di San Paolo, della Fondazione CRT, della Regione Piemonte e della Città di Torino.

 All’interno delle iniziative previste per l’approfondimento della mostra Ecologies of Loss le Attività Educative e Formative del PAV propongono Un prato in città, attività di laboratorio che, su un piano estetico, formale e scientifico, studia la conformazione e le proprietà del fiore di Tagete (Tagetes L.), anche noto come garofano d’India. Questo fiore speciale da cui si ricava un prezioso olio essenziale curativo e i cui colori vivaci attragono api e farfalle, nella cultura indiana viene offerto per celebrare unioni, feste e rituali ed è simbolo di benessere e prosperità. 


Per partecipare alle attività è necessaria la prenotazione: 011 3182235 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.