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IMMAGINI DALL’ESISTENZA Atto Primo AMORE E TRADIMENTO

Sei artisti, in equilibrio tra i generi, produrranno nella loro libera espressione il proprio modo di intendere l’amore e il tradimento

“Immagini dall’esistenza” è una mostra a cura di Filippo Tancredi. Un nuovo momento per Anisé, ricco e intenso come i precedenti, ma oltremodo significativo per la nascita di Anisé Art Gallery, che si affaccia silenziosamente al mondo dell’arte, nella piena convinzione che l’Arte sia espressione sublime di quella dimensione profonda della psiche, quell’”immensità intima” ove albergano emozioni e stati d’animo, laddove continua senza sosta il dialogo vivo e incessante tra Anima e Sé.

Dal 13 Maggio sino al 30 Settembre, gli artisti produrranno “Immagini dall’esistenza”, opere inedite ispirate ai grandi temi dell’esistenza umana: Amore e Tradimento il 13 Maggio alle ore 18.00, per continuare dal 30 Settembre con Libertà e Solitudine.

Ancora una volta, forse l’ultima prima di un nuovo e grande inizio, il Centro di Psicologia Clinica Anisé di Bergamo apre le porte a tutti coloro che vedono l’arte al di là dell’oggetto, oltre la dimensione fisica, nella continua e avida ricerca di emozioni e significati, che appartengono soltanto all’”immensità intima” dell’uomo.

Sei artisti, in equilibrio tra i generi, produrranno nella loro libera espressione il proprio modo di intendere l’amore e il tradimento, così come la libertà e la solitudine. Figure dell’esistenza umana che parleranno del loro mondo interiore, della loro storia e del proprio modo di proiettarsi nel futuro.

Da Daniela Mologni, a molti nota per la sua continua ricerca di utilizzo del corpo come strumento di comunicazione, capace di creare un proprio e unico spazio espressivo, che trascende il figurativo e che si colloca tra espressionismo e astrattismo.

Ad Elena Cavanna, nella sua gentile modalità pittorica che tanto racconta il suo “esile” quanto timoroso “essere nel mondo”, con figure simboliche e concettuali delicate e pervasive, libere dalle forme concrete e convenzionali della realtà.

Sino a Laura Orlandini, anima in continuo movimento, nell’incessante tentativo di tracciare percorsi nella direzione della felicità. La vivacità e la dinamicità dei propri colori parlano del suo agognato bisogno di armonia e di quanto la sublimazione sottenda la sua garbata e leggiadra comunicatività.

Ma se la sublimazione alimenta l’aggraziata produzione artistica di Laura Orlandini, è la proiezione a muovere il pennello di Cristiano Biondo. Raffinato artista autodidatta, intellettuale, scrittore e uomo con una sensibilità quasi femminile, sofisticato nella propria espressione artistica, intrisa di simboli e di poesia, tesa nella ricerca di un stato “finito”, fuori tempo, libero ed emancipato dal bisogno di una perfezione illusoria.

Ma se le mura di Anisé non avevano ancora accolto le opere degli artisti presenti, i volti dei soggetti di Emiliano Capotorto hanno già sussurrato molto nel Centro Anisé e l’eco della loro voce ancora oggi può essere ascoltata. Molti di noi, a distanza di più di un anno, conservano immutate le emozioni evocate dalle opere di Capotorto, nell’attesa di esperire nuovamente l’eterea dinamicità emotiva delle sue immagini.

In modo singolare, come è sua caratteristica, Gio Manzoni chiude il gruppo degli artisti che daranno vita a Immagini dell’esistenza, con la sua arte, ricca di sapori e passioni, ove sensorialità e pensiero sono incastonati dal tratto forte e virtuoso, che si muove tra l’antico e il moderno, parlando di origini, di fierezza e di vita vissuta, in una cornice di malinconica quanto seduttiva fisicità.

 


 

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A cosa serve l’utopia

La mostra A cosa serve l’utopia, a cura di Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi, prodotta da FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE nell’ambito del festival Fotografia Europea 

Inaugura venerdì 27 aprile alle ore 18 alla Galleria Civica di Modena la mostra A cosa serve l’utopia, a cura di Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi, prodotta da FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE nell’ambito del festival Fotografia Europea dedicato quest’anno al tema “RIVOLUZIONI. Ribellioni, cambiamenti, utopie.” 

Il titolo della mostra è tratto dal paragrafo “Finestra sull’utopia” del volume Parole in cammino di Eduardo Galeano (1940-2015). Lo scrittore uruguaiano descrive l’utopia come un orizzonte mai raggiungibile, che si allontana da noi di tanti passi quanti ne facciamo. Chiedendosi “a cosa serve l’utopia”, si risponde “a camminare”. 

Coniato nel Cinquecento da Thomas More, il termine utopia è passato progressivamente nel corso dei secoli a indicare non solo un luogo astratto o irraggiungibile, ma anche un progetto di società possibile, in cui perseguire obiettivi concreti come l’uguaglianza sociale, i diritti universali, la pace mondiale. Le rivoluzioni del Novecento ne hanno delineato una duplice natura: da una parte sogno concreto, speranza nel cambiamento, fiducia nel futuro; dall’altra capovolgimento in distopia, un modello di società che reprime le libertà dell’uomo e lascia un’amara disillusione verso gli ideali infranti o traditi.  

La mostra esplora la tensione tra queste due dimensioni attraverso una selezione di fotografie e video di artisti e fotografi italiani e internazionali, provenienti dai patrimoni collezionistici gestiti da FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE e appartenenti alla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e al Comune di Modena/Galleria Civica, nello specifico la Raccolta della Fotografia avviata nel 1991 con la donazione della raccolta dell’artista e fotografo modenese Franco Fontana.

Le opere delle collezioni modenesi sono poste in dialogo con una serie di immagini scelte dagli archivi della Magnum, la prestigiosa agenzia fondata a New York e Parigi nel 1947 da Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, George Rodger e David Chim Seymour. Le fotografie Magnum, stampate su grande formato, ritraggono attraverso l’occhio di celebri fotoreporter come Abbas, Bruno Barbey, Ian Berry e Alex Majoli, momenti culminanti di rivolta divenuti iconici nell’immaginario collettivo come il Sessantotto a Parigi e Tokyo, la caduta del Muro di Berlino nel 1989, oppure il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti negli anni Sessanta fino alla Primavera araba.  

A cosa serve l’utopia istituisce una duplice dialettica: quella tra la ciclica alternanza di costruzione e frantumazione di un ideale, ma anche un dialogo serrato tra immagini create per differenti scopi — le une usate per raccontare a caldo sui media l’attualità politica, le altre per riflettere a freddo su fallimenti e cambiamenti, eredità e prospettive — che dà vita a un confronto tra pratiche fotografiche apparentemente contrastanti eppure profondamente connesse.  

Il percorso espositivo inizia con uno scatto emblematico del 1968 in cui studenti parigini, fotografati da Bruno Barbey si passano di mano in mano dei sampietrini. Segue Omaggio ad Artaud di Franco Vaccari che celebra il potere dell’invenzione linguistica di far immaginare ciò che non esiste, e prosegue con alcune immagini evocative dell’utopia comunista: dopo la gigantografia di Lenin fotografata da Mario De Biasi a Leningrado (1972), appare l’immagine creata dal rumeno Josif Király di alcuni ragazzi che nel 2006 passano il tempo libero seduti su una statua abbattuta del leader sovietico. Piazza San Venceslao a Praga nel 1968, fotografata da Ian Berry e gremita di giovani che si ribellavano all’occupazione russa, fa da contraltare alle opere che mostrano la sorte beffarda che subiscono talvolta le icone delle rivoluzioni: è il caso della serie Animal Farm (2007) della ceca Swetlana Heger, che mostra sculture di animali presenti nei parchi di Berlino le quali, secondo le informazioni raccolte dall'artista, sarebbero state realizzate con il bronzo della monumentale statua di Stalin rimossa nel 1961 dalla Karl-Marx-Allee; oppure di Sale of Dictatorship (1997-2000) dello slavo Mladen Stilnović, in cui i ritratti di Tito passano dalle vetrine dei negozi alle bancarelle dei mercatini di memorabilia. 

Il percorso prosegue con alcune immagini riferite al Medioriente e ai suoi conflitti mai sanati: da quello iraniano con la rivoluzione khomeinista, testimoniata da uno scatto di Abbas nel 1978 e la rilettura fatta di quegli eventi in Rock, Paper, Scissors (2009) da Jinoos Taghizadeh — che marca l’enorme distanza che separa speranze di cambiamento e realtà — al conflitto israelo-palestinese, evocato dalle torri militari di avvistamento presenti in Cisgiordania che Taysir Batniji ha chiesto di documentare clandestinamente a un fotografo palestinese (2008), fino alle lettere che un detenuto libanese, imprigionato durante l’occupazione israeliana nel Libano meridionale, ha inviato dal carcere ai suoi cari e che Akram Zaatari ha fotografato nel lavoro Books of letters from family and friends (2007). Completa questo gruppo di opere uno scatto di Charles Steele-Perkins che racconta proprio quei disordini del 1982. 

La difesa della memoria storica intesa non solo come un omaggio alle vittime delle ingiustizie passate, ma anche come un atto di resistenza contro quelle future, è presente nella ricerca condotta in Cile da Patrick Zachmann sui luoghi teatro dei crimini del regime di Pinochet. Una serie di ritratti (tra gli altri di Francesco Jodice, Luis Poirot, Melina Mulas) incarnano altrettante e diverse forme di resistenza attive e passive, che si oppongono tanto a brutali repressioni quanto a forme di segregazione o controllo sociale in Tibet come in Giappone o in Tunisia. Due fotografie del 1963 di Leonard Freed rappresentano il sogno di uguaglianza del Movimento per i diritti civili in America. Il breve video dell’artista di origini peruviane Ishmael Randall Weeks rende onore, con una poetica metafora, a chi lotta per non cadere. Le opere di Filippo Minelli e del collettivo Zelle Asphaltkultur, pur frutto di azioni artistiche assai differenti (l’innesco di fumogeni colorati in contesti naturali idilliaci il primo, la realizzazione illegale di grafiche di esplosioni su vagoni ferroviari il secondo), sfruttano l’immaginario comune legato ai disordini e alla violenza per riflettere sul senso che esso assume nel mondo contemporaneo. La mostra si chiude con una delle utopie oggi più diffuse, quella pacifista, che proietta sull'intera comunità umana il sogno dell’assenza di conflitto e di una fratellanza universale. Il video di Yael Bartana A Declaration (2006) in cui un uomo a bordo di un’imbarcazione approda su uno scoglio dove campeggia una bandiera israeliana e la sostituisce con un albero di ulivo, sembra indicarci ciò che è necessario per perseguire questo ideale: visionarietà, coraggio, simboli condivisi, poesia.

Galleria Civica di Modena e Fondazione Fotografia Modena fanno parte – insieme a Museo della Figurina – di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, istituzione diretta da Diana Baldon e dedicata alla presentazione e alla promozione dell'arte e delle culture visive contemporanee.

Con opere di: Abbas, Bruno Barbey, Yael Bartana, Taysir Batniji, Ian Berry, Fabio Boni, Mario De Biasi, Leonard Freed, Paula Haro Poniatowska, Swetlana Heger, Alejandro Hoppe, Jorge Ianiszewski, Francesco Jodice, Iosif Király, Alex Majoli, Filippo Minelli, Daido Moriyama, Melina Mulas, Oscar Navarro, Ulises Nilo, Luis Poirot, Mark Power, Ishmael Randall Weeks, Aldo Soligno, Chris Steele-Perkins, Mladen Stilinović, Jinoos Taghizadeh, Franco Vaccari, Pedro Valtierra, Akram Zaatari, Patrick Zachmann, Zelle Asphaltkultur. 



 

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Maria Monaci Gallenga. Arte e moda tra le due guerre

La mostra composta è una “istantanea” che assembla opere create in periodi differenti ma in grado di trasmettere allo spettatore una sola emozione, fondendo contenitore e contenuto per dare vita ad una sola vibrazione

La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea ospita la mostra Maria Monaci Gallenga. Arte e moda tra le due guerre, a cura di Irene de Guttry e Maria Paola Maino, visibile dal 17 aprile al 3 giugno dedicata all’opera di una figura che ha segnato un periodo di grande fortuna per le arti applicate italiane.

La mostra espone per la prima volta circa ottanta opere tra fotografie, disegni e bozzetti, conservati presso gli Archivi delle Arti Applicate Italiane del XX secolo, centro di documentazione e ricerca nato per valorizzare le arti decorative, che illustrano un mondo di abiti spettacolari accanto a dipinti, sculture, vetri, ceramiche, arazzi, lavori in ferro battuto e altri oggetti d’arte decorativa provenienti da diverse collezioni private.

Inaugurazione
lunedì 16 aprile 2018
ore 17.30 – 19.30

apertura al pubblico
17 aprile – 3 giugno 2018

Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
viale delle Belle Arti, 131 – Roma
Sala Aldrovandi

 

 

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Corpi di reato. Un’archeologia visiva dei fenomeni mafiosi nell’Italia contemporanea

Il progetto artistico di Tommaso Bonaventura, Alessandro Imbriaco e Fabio Severo, esposto al Museo di Fotografia Contemporanea con la curatela di Matteo Balduzzi

Immagini apparentemente ordinarie sembrano stridere con il titolo della mostra Corpi di reato. Un’archeologia visiva dei fenomeni mafiosi nell’Italia contemporanea, il progetto artistico di Tommaso Bonaventura, Alessandro Imbriaco e Fabio Severo, esposto al Museo di Fotografia Contemporanea dal 25 aprile al 10 giugno con la curatela di Matteo Balduzzi.

Corpi di reato - secondo l'articolo 253 del Codice di procedura penale - sono “le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo”. Così, le fotografie in mostra rappresentano corpi di reato che rivelano un’attività concreta della criminalità organizzata.

Nelle immagini si alternano quartieri di provincia a pochi chilometri da Milano e aule o documenti del maxiprocesso, paesi di montagna meta per la settimana bianca e bunker in cui si nascondevano i boss mafiosi: luoghi e oggetti che, spesso dietro a una maschera di normalità, rivelano il legame con i fenomeni mafiosi, più vicino a noi di quanto possiamo immaginare.

Corpi di reato propone una nuova immagine delle mafie, lontana dagli stereotipi visivi legati alla cronaca nera, che riflette il cambiamento d'epoca che stiamo vivendo. Dopo decenni di lotta sanguinosa contro lo Stato, da tempo si parla di una mafia confusa nella società civile, che prospera in una zona grigia dove i segni della sua presenza non possono essere cercati nella sola violenza. La stessa informazione sulla mafia appare da tempo frammentata e per contrastare questa dispersione diventa necessario ricomporre i singoli eventi e tracciare una mappa del Paese attraverso un attento studio dei documenti storici, dei segni della presenza mafiosa lasciati sul territorio, ma anche dei vuoti provocati dall’azione criminale.

Un viaggio lungo l’Italia, come il titolo del celebre libro uscito nel 1984 a cura di Luigi Ghirri, Viaggio in Italia, diventato il manifesto della scuola italiana di paesaggio. Quel lavoro collettivo voleva ripensare la rappresentazione del paesaggio, rivelando la quotidianità anonima dei luoghi, lontana dal bello pittorico e dalla monumentalità delle città. Allo stesso modo Corpi di reato vuole provare a seguire le tracce delle mafie nei luoghi dimenticati, nelle strade anonime di periferia dove i capimafia di oggi spesso vivono; ma anche tornare al passato, mostrando i teatri di un'epoca in cui i boss facevano sfoggio del loro potere.

La mostra presenta diversi livelli di lettura e richiede al visitatore uno sforzo, quel passo in più che avvicina alle grandi fotografie e permette di leggere gli ampi testi descrittivi che le accompagnano, generando un’esperienza di grande respiro civile.

L’imponente corpus di immagini del progetto, che negli scorsi anni ha avuto una notevole visibilità e numerosi riconoscimenti a livello nazionale e europeo, è entrato a far parte delle collezioni del Museo e viene esposto in questa occasione per la prima volta in maniera completa a Milano.
 
In occasione della mostra, il Museo presenta tre piccole pubblicazioni, realizzate in co-edizione con gli artisti, che consentono di riguardare in modo ravvicinato e seriale tre delle opere in mostra.


CORPI DI REATO
Un’archeologia visiva dei fenomeni mafiosi nell’Italia contemporanea
Di Tommaso Bonaventura, Alessandro Imbriaco e Fabio Severo
A cura di Matteo Balduzzi
dal 25.04 al10.06.2018
Inaugurazione martedì 24 aprile 2018, ore 19

Visita guidata con gli autori mercoledì 25 aprile, ore 11
Info e prenotazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o 02.66056631

Museo di Fotografia Contemporanea
Villa Ghirlanda, via Frova 10, Cinisello Balsamo – Milano
Orari di apertura:
da mercoledì a venerdì: 16 – 19; sabato e domenica: 10 – 13 e 14 – 19
apertura straordinaria mercoledì 25 aprile: 10 – 13 e 14 – 19
Ingresso libero
www.mufoco.org

 

 

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Gianni Asdrubali. Lo spazio impossibile

La mostra composta è una “istantanea” che assembla opere create in periodi differenti ma in grado di trasmettere allo spettatore una sola emozione, fondendo contenitore e contenuto per dare vita ad una sola vibrazione

Il progetto di pittura dell’artista Gianni Asdrubali Lo spazio impossibile, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è curato dal critico d’arte Marco Tonelli con il sostegno della galleria milanese Matteo Lampertico e della galleria fiorentina Santo Ficara. Sarà visibile dal 18 aprile al 10 giugno presso il Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese

La mostra composta è una “istantanea” che assembla opere create in periodi differenti ma in grado di trasmettere allo spettatore una sola emozione, fondendo contenitore e contenuto per dare vita ad una sola vibrazione. Opere che vengono definite dall’artista come “unico corpo che si dà e si nega nello stesso istante, uno spazio compatto perchè pieno di vuoto, non euclideo, curvilineo, magico, ipnotico, adimensionale”. Diversamente da quanto avviene tradizionalmente con singoli dipinti collocati su parete secondo ordini lineari e ordinati, la mostra rende in tutta la sua vivace drammaticità e velocità la concezione spaziale e pittorica di Asdrubali. A differenza di ambientazioni sonore e tecnologiche, Asdrubali indaga con questo progetto la possibilità di vivere un’esperienza virtuale in tutta la sua concretezza plastica e coinvolgente quasi utilizzasse elementi tecnologici e immersivi, tipici della nostra contemporaneità.