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 Motherboy Curated by Stella Bottai and Gray Wielebinski 23.11.2023-17.02.2024 Gió Marconi, Milan Photo: Fabio Mantegna

 

GióMARCONI presenta MOTHERBOY  


Un progetto a cura di Stella Bottai e Gray Wielebinski.


Gió Marconi é lieto di annunciare Motherboy, importante mostra collettiva, visibile fino al 17 febbraio, nata dal dialogo tra la curatrice Stella Bottai e l'artista Gray Wielebinski attorno alla nozione del cosiddetto “mammone”, un concetto che le loro proprie esperienze, rispettivamente come madre e figlio, celebrano, criticano e riconfigurano.

La mostra attinge alle teorie queer, femministe e psicoanalitiche sul rapporto tra madri e figli – rapporto che é carico di grande intensità e simbolicamente ricco – per affrontare i temi del sacrificio, della co-dipendenza, del desiderio, dell’identità, della negazione, delle gerarchie, della possessività e del tradimento. Motherboy riprende la strana convergenza di potere codificata in questo concetto – il lavoro sottovalutato, spesso invisibile, della madre versus il destino privilegiato e viziato del “mammone” – trattandola come punto di partenza per una critica politica più ampia.

Allo stesso tempo riflette in modo esteso sulla categoria del mammone, esaminando le variazioni di questo legame attraverso diverse configurazioni di genere, etnia e cultura. Indicizzando le molteplici modalità, astratte e non, in cui questo concetto si manifesta storicamente – attraverso l’immaginario della lingua materna, della patria, della Santa Madre e del figliol prodigo – Motherboy offre un punto di accesso a questioni fondamentali dei rapporti umani, come l’amore, il potere e l’asimmetria.

La mostra presenta opere nuove e recenti, selezionate in stretto dialogo con gli artisti partecipanti. Spaziando tra pittura, collage, scultura, video e installazione, l’allestimento articola diverse atmosfere sui tre piani della galleria. Tra i leitmotiv del percorso visivo ed espositivo sono le posture e gli atteggiamenti del corpo, che amplificano il significato di determinate azioni – come stare in piedi, mettersi in posa, dormire, colpire o abbracciare – in connessione con le gerarchie interpersonali e il linguaggio emotivo.

Motherboy è radicato nel contesto italiano e tuttavia proietta uno scenario più ampio oltre le identità nazionali. Il termine mammismo è un esempio di tradizione inventata nel dopoguerra, per via –– secondo la storica Marina d'Amelio – di scrittori come Corrado Alvaro, che per primo coniò il termine nel 1952, alla ricerca di ragioni che spiegassero i mali sociali dell’Italia. Un’attenzione materna carente o distorta è stata ritenuta responsabile delle carenze degli uomini italiani e quindi della società italiana in generale – un concetto che in gran parte filtra all’interno della cultura odierna, come notato dall’accademica Jacqueline Rose, che scrive “le madri sono socialmente il sommo capro espiatorio per i nostri fallimenti personali e politici, per tutto ciò che è sbagliato nel mondo”.

Nel complesso, la mostra mette in scena una riflessione sugli aspetti terribili, teneri e comici del rapporto madre-figlio come specchio sia dell'associazione che della dissociazione, affrontandone le ricadute sull'immaginario sociale collettivo. Riflettendo su concetti quali autorità, emancipazione, amore e vulnerabilità, Motherboy tenta di mettere in atto, in maniera generativa, un ritiro dai costrutti patriarcali di questa nozione, alla ricerca di un legame familiare che sia consapevole ma liberato dalla propria storia.

La mostra Motherboy e’ accompagnata da un nuovo saggio di Asa Seresin, disponibile presso la galleria e online su giomarconi.com

 



 

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NASCE LA FONDAZIONE GIUSEPPE IANNACCONE

 

 


Dopo più di dieci anni di attività espositiva e curatoriale, dall'esperienza della Collezione Giuseppe Iannaccone, fondata a Milano dall'Avvocato Giuseppe Iannaccone, prende vita la Fondazione Giuseppe Iannaccone Ente del Terzo Settore.


Dopo più di dieci anni di attività espositiva e curatoriale, dall'esperienza della Collezione Giuseppe Iannaccone, fondata a Milano dall'Avvocato Giuseppe Iannaccone, prende vita la Fondazione Giuseppe Iannaccone Ente del Terzo Settore, che intende non soltanto implementare la propria attività culturale, ma rivolgere anche la propria attenzione a temi di impatto sociale. “L’intento della Fondazione non è soltanto quello, che da diversi anni già perseguiva la Collezione, di sostegno ai giovani artisti attraverso attività di ricerca e esposizione – dichiara Giuseppe Iannacconema anche quello di trasmettere la straordinaria forza che l’arte può esprimere nel perseguimento di finalità sociali. Credo infatti nel potere terapeutico dell’arte e numerosi progetti in cantiere saranno rivolti al supporto dei gruppi più fragili e alla diffusione dell’arte come sostegno per ritrovare equilibri perduti.” La nascita della Fondazione Giuseppe Iannaccone ETS, che avrà sede nello Studio Legale Giuseppe Iannaccone e Associati, è stata annunciata oggi, giovedì 23 novembre, in occasione della presentazione della nona edizione di IN PRATICA, serie espositiva dedicata a giovani artisti che questa volta vede protagonista Pietro Moretti (Roma, 1996) con la mostra Il falò dei gonfiabili, a cura dello stesso Giuseppe Iannaccone e Daniele Fenaroli.

Con attività che spaziano dall’educazione alla valorizzazione del patrimonio culturale, dall’organizzazione di progetti culturali alla promozione di iniziative sociali, la Fondazione Giuseppe Iannaccone ETS intende perseguire finalità culturali, civiche e solidaristiche. L'obiettivo è quello di oltrepassare i confini delle attività meramente culturali, di modo che l’arte, quale mezzo che legge la contemporaneità, divenga strumento di promozione della diversità e di supporto per tutte quelle persone che vivono in condizioni di fragilità sociale.

Organizzazione di mostre, convegni e rassegne di arti visive, musicali, teatrali e cinematografiche, coinvolgimento di sedi esterne a quella istituzionale, realizzazione di attività museali ed espositive, costituzione di una collezione di opere che sia sempre fruibile; e ancora promozione di attività di studio, pubblicazione, di conservazione e catalogazione documentaria per studiosi e studenti, collaborazioni e scambi con centri culturali, Università, Accademie e scuole di ogni ordine e grado: sono solo alcune tra le attività che la Fondazione avvierà a partire dal 2024 coinvolgendo un pubblico di insegnanti, artisti, curatori, operatori del settore culturale e appassionati.

Il Presidente della Fondazione, Giuseppe Iannaccone, ha presentato anche la squadra che la comporrà: Alessia Iannaccone, in qualità di Vicepresidente, Caterina Fatta, Claudio Guenzani, Tommaso Iannaccone, Letizia Moratti e Roberto Spada in qualità di membri del Consiglio di Amministrazione e Daniele Fenaroli in qualità di Direttore Generale e Direttore Artistico.

 



 

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Antonia Colella ‘Lacrima’, Videoinsight® Collection

 

Artissima 2023 "HATER" by Fondazione Videoinsight®  


La mostra è a cura di Rebecca Russo, filantropa, collezionista, psicoterapeuta, Presidente della Fondazione Videoinsight®.


Viviamo in un mondo violento, nel quale il rispetto, la gentilezza e la gratitudine sembrano essere valori rari. 

Sperimentiamo l’invidia, l’odio, l’aggressività quotidianamente, nella realtà e sul web. 

La violenza sulle donne, sui bambini, sugli altri, intimi oppure estranei, si intensifica; la violazione fisica e psicologica dei diritti umani è all’ordine del giorno. 

La Fondazione Videoinsight® ha come mission la Prevenzione e la Cura del Benessere Psicofisico attraverso l’Arte Contemporanea

In occasione di Artissima 2023, propone la Mostra Collettiva “HATER", a cura di Rebecca Russo, filantropa, collezionista, psicoterapeuta, Presidente della Fondazione Videoinsight®.

L’Esibizione include le Opere Finaliste dell’Open Call “Hater” lanciata nel Febbraio 2023 e l’assegnazione del Premio Videoinsight®, giunto ormai alla sua 11esima Edizione.

Questi sono i nomi degli Artisti partecipanti: 

Marco Abrate (Rebor), Sofia Amore, Raffaella Baldassarre, Pasquale Battaglia, Savina Capecci, Gianluca Capozzi, Marialucia Ciraci, Antonia Colella, Alessandro Dentico,Diego Dominici, Angelo Farina, Pietro Farina, Damiano Fasso, Lorenzo Gnata, Selena Leardini, Simone Marini, Silvia Raffaelli, Roberto Rossacci, Milena Sgambato, Paolo Treni, Roberta Toscano, Marta Scavone, Luca Zarattini.

La Mostra nasce per sensibilizzare il pubblico sul tema degli “Hater”, persone che usano i social network, per esprimere violenza verbale o per incitare all’odio verso qualcuno o qualcosa. 

Nascosti sotto nickname, gli “Hater” avvelenano le comunicazioni con commenti improntati a una distruttività ossessiva, immotivata, umiliante.

La perdita di controllo, di identità, l’egoismo, la disumanità sono sempre esistiti, i media hanno amplificato il fenomeno. 

L’atteggiamento costante  e reiterato, di intolleranza, di disprezzo, di  denigrazione, di sadismo e di provocazione, causa nelle vittime frustrazione, disagio, depressione, dolore, disperazione.

L’Esibizione “Hater” è finalizzata alla Prevenzione del cyberbullismo, al sostegno delle vittime danneggiate dalla prepotenza, dalla cattiveria, dalla crudeltà, dalla prevaricazione, dall’abuso emotivo. 

La presa di coscienza stimolata dall’interazione con le Opere d’Arte focalizzate sul tema (l’esperienza Videoinsight® proposta al pubblico) è il primo passo per la Prevenzione, per la Cura.

La Mostra sarà inaugurata il 3 Novembre 2023 dalle ore 19 alle ore 22, presso il Centro Videoinsight® di via Bonsignore 7 a Torino. Durerà fino al 7 Gennaio 2023. Sarà visitabile su appuntamento. 

 



 

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Bio esseri di Pino Guzzonato. Metafora dell’evoluzione tra natura e arte 


Opere che consentono di ripercorrere la lunga carriera di Pino Guzzonato, dalle prime espressioni artistiche ispirate e nate dalla natura, fino all’ultima creazione: i bio esseri meditati e giunti a compimento nel periodo della pandemia.


Fondazione Benetton Studi Ricerche / Ca’ Scarpa organizza la mostra Bio esseri di Pino Guzzonato. Metafora dell’evoluzione tra natura e arte, dedicata all’artista Pino Guzzonato, scultore, pittore, disegnatore, incisore di fama internazionale, per la prima volta a Treviso con questa esposizione, a cura di J.K. Mauro Pierconti, aperta fino a domenica 10 dicembre 2023, negli spazi di Ca’ Scarpa.

In esposizione 150 opere che consentono di ripercorrere la lunga carriera di Pino Guzzonato, dalle prime espressioni artistiche ispirate e nate dalla natura, fino all’ultima creazione: i bio esseri meditati e giunti a compimento nel periodo della pandemia.

«L’isolamento imposto dal Covid» spiega J.K. Mauro Pierconti «ha portato a maturazione in Pino Guzzonato di forme e immagini che poi, in modo quasi frenetico, si sono materializzate in una serie di piccole statue d’argento e pietre colorate dalla forma “curiosa”, che l’artista ha chiamato bio esseri, e che vogliono ricordarci che la Natura è sempre in grado di produrre nuove forme di vita, anche in seguito alle crisi più gravi e con essa noi stessi perché, in quegli anni, tutti abbiamo covato dentro di noi qualcosa, che ci rappresenta e che chiede di uscire, forse per trasformarsi in qualcosa di diverso, secondo un processo che seguirà le leggi della metamorfosi naturale. Come ricorda Telmo Pievani nel testo che accompagna il catalogo della mostra: “è affascinante pensare che esistano dimensioni del possibile che il reale non ha ancora esplorato”, e noi, al pari della Natura – madre e produttrice per eccellenza – possiamo immaginare e quindi creare molte nuove possibilità del reale, dando una consistenza diversa a questo mondo in continua trasformazione. I bio esseri, quindi, sono una rappresentazione della vita che si rinnova attraverso forme ibride, miste, in-transizione, magari non perfettamente compiute, ma comunque portatrici di una novità governata dalla pura immaginazione».

La mostra, articolata in quattro sezioni corrispondenti ai quattro piani di Ca’ Scarpa, offre una panoramica completa del lungo percorso fatto dall’artista verso la creazione di questi bio esseri, a partire dalle prime opere, nate dal mondo naturale, per passare poi a quelle di carta, che ne hanno consolidato la fama, come i libri realizzati in esemplare unico con alcuni poeti e scrittori, tra cui Andrea Zanzotto, Mario Rigoni Stern, Fernando Bandini, Luigi Meneghello, e come le forme animali, sia reali che di fantasia, estremamente variegate.

Al pianoterra, nella prima sezione, una serie di opere varie, giusta introduzione al mondo naturale di Guzzonato, non solo per i temi ma anche per i materiali utilizzati: oltre alla carta, i metalli, la pietra, il feltro, i tessuti.

Opere dalle dimensioni diverse, da quelle in pietra più contenute e compatte, a quelle letteralmente smisurate in feltro e tessuto. Un paesaggio “alla Guzzonato”, dunque, vario e sorprendente. Già a questo piano il visitatore potrà notare come gli stessi pannelli espositivi siano un’opera artigianale unica, fatti da Guzzonato con la sua carta e stampati a mano.

Al primo piano, la seconda sezione, Natura e poesia, che condurrà nel profondo della ricerca naturalistica dell’artista, come stanno a dimostrare le decine di copertine in carta artigianale che portano impresse le forme di cortecce d’albero e legni antichi lavorati; ogni copertina reca l’impronta di un albero o di un legno diverso, tutti provenienti da un unico ambiente, quello veneto. Così come veneti sono i poeti e gli scrittori che, con Pino Guzzonato, hanno realizzato libri rari in copia unica sul tema della natura: ancora gli alberi, gli animali.

Ritroviamo così, tra le foglie stampate da Guzzonato in larghi fogli, le poesie di Andrea Zanzotto oppure i testi di Mario Rigoni Stern su varie specie di alberi, che iniziano ricordando le parole di Bernardo di Chiaravalle: «Troverai più nei boschi che nei libri». Per questo, forse, hanno realizzato un libro che aderisce il più possibile alla materia naturale dei boschi: nelle forme disegnate, nella consistenza e nella rugosità della carta, nel suo spessore che va ben oltre la superficie squadrata e liscia a cui siamo abituati.

La vicinanza alla natura – un senso di prossimità pressoché assoluto che l’artista vive – ha condotto anche alla nascita di varie forme animali. Si giunge così alla terza sezione della mostra, Verso i bio esseri, con opere ancora di carta: disegnate, stampate con svariatissimi tipi di animali, sia reali che di fantasia.

Gli immancabili coccodrilli, per i quali Guzzonato nutre una fascinazione/ossessione continua, e poi i gechi, le api, le formiche che si trovano fianco a fianco con strani esseri alati, multiforme e ibridi che in modo sempre più insistito popolano le sue sculture e le sue carte, dalle filigrane alle carte postali, fino agli innumerevoli fogli sciolti la cui produzione continua ancora oggi.

I bio esseri, nati sulla carta, si sono poi ulteriormente trasformati fino a dare origine alla serie in argento e pietre colorate che troviamo nella quarta e ultima sezione della mostra: 57 statuette ospitate in una teca appositamente disegnata da Tobia Scarpa.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo, edito da Marsilio Editori, con uno scritto di Telmo Pievani sulla variegata natura dei bio esseri, e altri testi di Tobia Scarpa, Anna Villari e Francesco Bonsembiante; e sarà affiancata da una serie di attività collaterali dedicate ai bambini, alle famiglie e alle scuole, ispirate al tema dell’esposizione e alla natura delle opere, e ideate e organizzate da Fondazione Benetton Studi Ricerche, insieme ad alcune associazioni di volontariato trevigiane. In particolare, saranno proposti, sabato 11 e domenica 26 novembre, un gioco per bambini e famiglie, volto a scovare i bio esseri nascosti nelle vie e nelle piazze della città, in collaborazione con Orienteering Treviso ASD, e, nel corso del periodo espositivo, laboratori d’arte per le scuole, in collaborazione con Fondazione di Culto e Religione Piccolo Rifugio Onlus di San Donà di Piave.

Questa mostra inaugura a Ca’ Scarpa un nuovo filone di esposizioni, che prende il nome di “Collezioni dal territorio”, ovvero artisti, raccolte, patrimoni culturali dell’area veneta messi in mostra per essere offerti, conosciuti, valorizzati.

 



 

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Gianluca Patti, Blu Majorelle, 2023, acrilico e resina su legno, cm 140x140

 

GIANLUCA PATTI "DIARIO DI UN SOGNATORE" alla Fondazione Stelline 


Il percorso espositivo racconta, attraverso oltre trenta opere e quattro installazioni, la ricerca artistica di Gianluca Patti, che indirizza verso colore e materia la sua capacità di espressione e la sua visione del mondo.


Dal 22 ottobre al 26 novembre 2023, Fondazione Stelline ospita la mostra personale di Gianluca Patti DIARIO DI UN SOGNATORE, a cura di Alessandra Klimciuk

Per comprendere pienamente le opere di Gianluca Patti dobbiamo includere il suo vissuto personale e la memoria di queste prime esperienze di visione, in cui l’orizzonte che immaginiamo è quello che vediamo. La densità di questo racconto esistenziale insieme alla scelta di materiali evocativi del suo passato familiare diventano elementi imprescindibili per entrare nel suo processo artistico e comprenderne l’unicità.

Prodotti cementizi, resine e pigmenti, ma anche reti da cartongesso e fogli di pluriball, in memoria e onore del lavoro paterno, vengono decontestualizzati e riutilizzati per costruire opere stratificate e scultoree con una griglia visiva che è la sua lente sul mondo.

Il mondo monocromatico filtrato attraverso l’esperienza unica vissuta da bambino quando entrava e usciva dagli ospedali – il suo primo disegno è una macchia nera – diventa nella sua espressione matura un’esplosione di colori. Il colore e la luce delle sue opere nascono, però, da quel buio e lo conservano per sempre. Un riconoscimento dell’artista al valore profondo della sua esperienza, come di ogni esperienza vissuta, anche quella più dolorosa, con cui riconciliare la forza e la fragilità nella propria resilienza.

E se parliamo di colore e di visione – come ci ricorda la curatrice Alessandra Klimciuk nel testo in catalogo - rimane indimenticabile e necessario l’insegnamento di Josef Albers e la sua teoria del colore, sviluppata durante le lezioni al Bauhaus e pubblicata nel volume "Interazione del colore” nel 1963, con cui ha affinato una pratica per sviluppare l'occhio per il colore, quella sensibilità per la luce e le tonalità che il solo studio teorico dell'ottica e dei sistemi cromatici non può in alcun modo regalare. Attraverso il colore imparare a vedere il mondo. Ma anche ad ascoltarlo, perché nella sinestesia il colore ha un suono e la sua funzione è evocativa, permettendo la connessione tra l’artista, i ricordi e la dimensione del sogno.

É lo stesso processo artistico di Gianluca Patti, con la stratificazione della pittura e la struttura a griglia, a fare affiorare liberamente in superficie elementi sottostanti, quasi fossero ricordi ed emozioni del passato.

Il percorso espositivo accompagna il visitatore in questa ibridazione sensoriale, immersi nella dimensione del sogno e delle armonie cromatiche. Le opere monocrome si alternano a quelle policrome, il grande formato alla piccola dimensione. Come una danza sinestetica in cui l’alternanza di suoni, colori e percezioni fa emergere un mondo immaginifico di emozioni, ricordi e sogni. Ma è Gianluca Patti a dirigere l’orchestra con maestria e conoscenza della materia e del colore.

Le opere in mostra raccontano questo viaggio autobiografico di ricordi ed emozioni, come l’installazione The point of view, evocativa dell’orizzonte osservato attraverso la ringhiera del balcone di casa da Gianluca bambino che, guardando il cielo e i suoi colori crepuscolari, sognava ad occhi aperti. L’opera vuole essere una trasposizione di quegli spazi di cielo, un invito per chi osserva ad andare oltre e di porsi di fronte alle cose cambiando sempre punto di vista. The game è un invito a fare la prossima mossa nella partita a tris evocata dall’opera, perchè come ci ricorda Bernard Shaw: “l’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare”. The Star è un omaggio al luogo delle Stelline, ma anche un pensiero rivolto ai cieli stellati, ai desideri, e alla notte che porta con sé il buio generatore di immagini., ma anche un pensiero rivolto ai cieli stellati, ai desideri, e alla notte che porta con sé il buio generatore di immagini.

La mostra organizzata da Fondazione Stelline con il patrocinio di Regione Lombardia e Comune di Milano, è stata realizzata grazie al supporto di Isorropia Homegallery, Amaro Lucano, Drama Resine, Marie Danielle, Fontana Grafica, Ottica Barzaghi, Milky Way, Leontis Real Estate, Vitavigor, Talking Nat, All Flying Services e BIANCHIZARDIN Contemporary Art.

A supporto della narrazione sarà pubblicato un catalogo con testi di Alessandra Klimciuk e una sezione dedicata alle installation view.

Gianluca Patti è nato nel 1977 a Monza, vive e lavora tra Monza e Milano. La sua ricerca è incentrata sullo studio del colore e della materia quali strumenti di narrazione del vissuto personale e della dimensione temporale. Lo studio da autodidatta della storia dell’arte ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione della sua ricerca artistica: all’inizio del proprio percorso si appassiona al lavoro pittorico di grandi artisti quali Pollock, Vedova, Basquiat e Richter, approfondendone l’equilibrio cromatico e cercando un proprio approccio unico al colore, nell’ambito di una personale ricerca in continua evoluzione. Il lavoro di Gianluca Patti è stato esposto in diverse mostre personali e collettive, ed è entrato a far parte di collezioni di arte contemporanea di rilievo. L’approccio trasversale dell’artista l’ha portato inoltre a collaborare alla realizzazione di scenografie nel settore pubblicitario e dell’interior design e ad essere selezionato per progetti d’arte e impresa.

www.gianlucapatti.com

 



 

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Ali Cherri. The Watchman, 2023. Still da video. Courtesy l'artista, Fondazione In Between Art Film, e Galerie Imane Farès, Paris

La GAMeC di Bergamo e la Fondazione In Between Art Film, con il Frac Bretagne, sono lieti di annunciare "Dreamless Night"


La nuova mostra personale dell’artista e regista libanese Ali Cherri (Beirut, 1976), vincitore del Leone d’Argento della Biennale d’Arte di Venezia 2022.


La GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo e la Fondazione In Between Art Film, con il Frac Bretagne, sono lieti di annunciare Dreamless Night, la nuova mostra personale dell’artista e regista libanese Ali Cherri (Beirut, 1976), vincitore del Leone d’Argento della Biennale d’Arte di Venezia 2022.

La mostra sarà la più ampia presentazione, sino ad oggi realizzata, della pratica multimediale di Ali Cherri, che comprende film, installazioni video, disegni e sculture. Dopo essere inaugurata a ottobre presso GAMeC, sarà ospitata dal Frac Bretagne a partire da febbraio 2024.

A cura di Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, rispettivamente Direttore Artistico e Curatore di Fondazione In Between Art Film, Dreamless Night è il primo progetto espositivo realizzato nell’ambito di Unison, una nuova iniziativa biennale promossa da Fondazione In Between Art Film per commissionare e produrre mostre dedicate ad artisti attivi nel campo delle immagini in movimento in collaborazione con istituzioni pubbliche italiane e internazionali.

Lo Spazio Zero della GAMeC accoglierà The Watchman (2023), un’inedita opera video di Ali Cherri commissionata e prodotta dalla Fondazione, presentata in questa occasione in forma di video installazione di grandi dimensioni.

Il film è ambientato a Cipro – l’isola del Mediterraneo orientale teatro di tensioni decennali tra le comunità locali greche e turche – e a partire dalla storia politica di questo territorio tormentato e dalle storie personali dei suoi abitanti propone una riflessione più ampia sulle politiche del riconoscimento dei confini e sulle dolorose conseguenze che esse producono negli ambiti della sovranità, dell’identità e della pace. Ali Cherri ha scelto Cipro per via dei rapporti storici di migrazione tra l’isola e il Libano, e per le similitudini geopolitiche tra Nicosia, capitale divisa di Cipro, e Beirut, città natale dell’artista, e che fu anch’essa divisa durante la Guerra civile libanese.

The Watchman è incentrato sulla figura di un soldato il cui lavoro consiste nel proteggere il confine non riconosciuto della Repubblica Turca di Cipro del Nord. Questo soldato, come molti prima di lui, trascorre i suoi lunghi e noiosi turni appollaiato su una torre di guardia in attesa di un “nemico” che potrebbe arrivare o meno dalle colline della riconosciuta Repubblica di Cipro, sotto il dominio dei greci ciprioti. Il paesaggio stagnante intrappola il protagonista in una soglia fisica e metaforica dove i confini tra vigilanza e sonnolenza, realtà e immaginazione, vengono costantemente varcati finché le sue fantasie e i suoi sogni a occhi aperti non prendono il sopravvento e scatenano eventi inaspettati. Attraverso un approccio tipico della narrativa speculativa e che ricorre spesso nella pratica cinematografica di Cherri, The Watchman continua l’indagine critica dell’artista su concetti che spaziano dai conflitti politici e culturali fino alle eredità dei traumi storici e il potenziale radicale dell’immaginazione.

Lo Spazio Zero accoglierà, inoltre, una nuova serie di disegni e un’installazione che, insieme, tematizzano tanto lo scenario geografico quanto la cultura della militarizzazione in cui il film è stato ambientato. Da qui, il percorso della mostra prosegue nelle sale del primo piano, che ospiteranno una serie inedita di gruppi scultorei ispirata all’iconografia e ai personaggi del film. L’artista inquadra la teatralità e la fragilità delle ideologie del potere ampliandone i segni e impregnandoli di debolezza fisica, come negli spettrali soldati maestosamente scolpiti nel fango o nell’immagine dei fichi d’India, normalmente utilizzati nell’area del Mediterraneo come piante da recinzione, e qui realizzati in resina.

L’arte di Ali Cherri esplora forme di violenza visibili e invisibili insite nel paesaggio al fine di affrontare, sul piano della metafora, le forme di violenza politica, socio-economica e culturale che la storia di quello stesso paesaggio rivela. La sua pratica filmica e scultorea pone interrogativi urgenti riguardo ai modi in cui avvenimenti traumatici e prolungate ostilità possono essere rappresentati, liberando, al tempo stesso, il potenziale emancipatorio dell’immaginazione. Questo trova una controparte nella ricerca dell’artista su temi legati all’archeologia, alla conservazione del patrimonio e sulle relative politiche di classificazione, dislocazione ed esposizione. In questo senso, i paesaggi, i corpi e i manufatti antichi sono presentati simultaneamente come testimoni di forme di distruzione e strumenti per immaginare in modo diverso il loro passato e il loro presente.

La mostra Dreamless Night sarà accompagnata da un catalogo monografico a cura di Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi con Bianca Stoppani, edito da Lenz Press. Il volume presenterà testi di Cecilia Alemani, Erika Balsom, Étienne Bernard, Lorenzo Giusti, Priyesh Mistry, Sohrab Mohebbi, e sarà pubblicato in occasione dell’inaugurazione della mostra al Frac Bretagne; includerà la documentazione fotografica della mostra alla GAMeC e saggi appositamente commissionati e incentrati sulla pratica multimediale di Ali Cherri, con una particolare attenzione a Dreamless Night e ai progetti del 2022 per la partecipazione alla Biennale d’Arte di Venezia e la commissione della National Gallery di Londra.

The Watchman è stato commissionato e prodotto dalla Fondazione In Between Art Film e coprodotto da The Vega Foundation e KinoElektron. Il film ha ottenuto inoltre il supporto di Galerie Imane Farès, Robert Matta - Fondation RAM, Arab Fund for Arts and Culture e Frac Bretagne.

Ali Cherri (Beirut, Libano, 1976) vive e lavora a Parigi. Le sue opere sono state esposte in mostre personali presso lo Swiss Institute, New York; CAC La Travers, Alfortville; National Gallery, Londra; Herbert Art Gallery & Museum, Coventry; Jönköping County Museum; CAPC Musée d’art Contemporain de Bordeaux; Jeu de Paume, Parigi; Sursock Museum, Beirut; e in mostre collettive presso il Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Jameel Arts Center, Dubai; Para Site, Hong Kong; Museo MAXXI, Roma; Centre Pompidou, Parigi. Ha partecipato anche alla Sharjah Biennial 15; alla Kochi-Muziris Biennial 2022; alla Biennale Arte 2022, Venezia; a Manifesta 13, Marsiglia; alla Fifth Ural Industrial Biennial of Contemporary Art, Yekaterinburg, 2019; e alla Sharjah Biennial 13. Ha ricevuto il Robert E. Fulton Fellowship dell’Università di Harvard (2016), il Rockefeller Foundation Prize (2017) ed è stato nominato per l’Abraaj Group Art Prize (2018). Nel 2022 ha ricevuto il Leone d’Argento per la sua partecipazione alla Biennale d'Arte del 2022, intitolata The Milk of Dreams.