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Vivan Sundaram,  Sisters Apart, dalla serie "Re-Take of Amrita", 2001 - Stampa inkjet ai pigmenti, 38 x 36,5 cm
Courtesy dell’artista & sepiaEYE - Collezione Fondazione di Modena – FMAV. 

 FMAV Fondazione Modena Arti Visive inaugura la mostra collettiva "Come tu mi vuoi"

Prende in prestito, e omaggia, il titolo dell’opera teatrale scritta da Luigi Pirandello nel 1929, per indagare il senso delle relazioni che entrano in gioco in un’immagine tra soggetto rappresentato e autore che lo rappresenta. 

FMAV Fondazione Modena Arti Visive inaugura a Palazzo Santa Margherita, la mostra collettiva Come tu mi vuoi, ideata dalla classe di ICON 2022 - Corso per curatori dell’immagine contemporanea della Scuola di alta formazione di FMAV, che, a conclusione del percorso formativo, ha avuto l’opportunità di confrontarsi con le opere dei grandi artisti delle prestigiose collezioni gestite e valorizzate da FMAV.

Come tu mi vuoi prende in prestito, e omaggia, il titolo dell’opera teatrale scritta da Luigi Pirandello nel 1929, per indagare il senso delle relazioni che entrano in gioco in un’immagine tra soggetto rappresentato e autore che lo rappresenta. Protagonista del dramma Pirandelliano è “L’Ignota”, una giovane donna che conosciamo solo attraverso la visione stereotipata dei personaggi che incrociano la sua strada che la identificano in base alla costruzione sociale che vorrebbero lei fosse. La sua vera identità e soggettività, come anche il suo nome, restano inafferrabili e ambigui per l’intera opera. Come nel dramma, la mostra propone una riflessione sulla originaria ambivalenza del senso dell’identità, che si viene sempre a costituire all’interno di un processo relazionale, e della sua rappresentazione in forma di immagine.

Il percorso di mostra sviluppa questi temi in due grandi sezioni attraverso opere fotografiche, video e disegni di vari artisti nazionali e internazionali selezionati dalla collezioni FMAV per l’occasione. Tutte le opere esposte mettono in discussione la capacità della fotografia, del disegno e del video, di parlare di se stessi, cioè di essere meta immagini, svelando i meccanismi sottesi alla loro costituzione. Con ironia e sfida Come tu mi vuoi pone la possibilità per i soggetti di assumersi il potere di ridefinire le forme tradizionali della rappresentazione, oltre i canoni e le convenzioni rintracciabili nella cultura visuale e nell’immaginario collettivo.

Per l’edizione 2022 hanno partecipato ad ICON – Corso Curatori: Federica Benedetti, Sara Carbone, Lucia Cavallo, Sibylle Ciarloni,  Gabriella Esposito, Cristina Lanzafame, Beatrice Puddu, Chiara Spaggiari, Asia Tituri. 
 
La Scuola di alta formazione di Fondazione Modena Arti Visive è considerata un punto di riferimento nel panorama culturale italiano ed europeo con una specializzazione in campo artistico e curatoriale, vanta un ampio network di collaborazioni internazionali ed un parterre di docenti di altissimo livello provenienti da tutto il mondo. Dal 2011 la Scuola propone un modello di formazione innovativo, in circolarità e sinergia con le altre attività di FMAV Fondazione Modena Arti Visive, offrendo agli studenti l’opportunità di Visiting Professor con i protagonisti delle esposizioni prodotte dall’istituzione, di realizzare essi stessi delle mostre e di confrontarsi con il grande patrimonio delle collezioni di FMAV. Tutto questo avviene a Modena, una città a misura di studente, sede di importanti realtà innovative della scena creativa italiana. 

 



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Milo Spaggiari - Comizi d’amor proprio, 2023 - Serie di 6 fotografie e 6 interviste. Primo Premio

 

 PREMIO DAVIDE VIGNALI: PROCLAMATI I VINCITORI DELL'EDIZIONE 2022/23

Il premio, che promuove la creatività dei giovani talenti del territorio, nasce nel nome di Davide Vignali, ex studente del Venturi scomparso prematuramente nel 2011.

Il Premio Davide Vignali, promosso da Fondazione Modena Arti Visive, dalla Famiglia Vignali e dall'IIS Venturi di Modena, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, annuncia i vincitori dell'edizione 2022/2023.

Il premio, che promuove la creatività dei giovani talenti del territorio, nasce nel nome di Davide Vignali, ex studente del Venturi scomparso prematuramente nel 2011. Nello stesso anno, grazie all’impegno della famiglia, che ha raccolto un desiderio espresso dalle professoresse Antonella Battilani e Maria Menziani, è nato il concorso che ne celebra la memoria, la grande umanità, il desiderio di conoscenza. Ad affiancare fin da subito la famiglia in questa impresa c’è FMAV Fondazione Modena Arti Visive, che in 12 anni di attività del Premio ha coinvolto 1036 ragazzi sostenendo non solo lo sviluppo della ricerca artistica legata all’immagine contemporanea, ma anche la crescita di un’ampia rete di scambio tra scuole, studenti e docenti.

Alla giuria di questa edizione hanno presto parte l'artista Marina Caneve, Doriano Vignali e Marisa Spallanzani, genitori di Davide, Maria Menziani, docente dell'IIS Venturi di Modena, Sergio Marrone, docente dell'IIS Blasie Pascal di Reggio Emilia, Paola Micich, graphic designer, Daniele De Luigi di FMAV Fondazione Modena Arti Visive e Anita Schulte-Bunert, vincitrice del Premio Vignali 2021-22.

Il Primo Premio è stato vinto da Milo Spaggiari con la serie “Comizi d’amor proprio”, un racconto fotografico che si pone come obiettivo quello d’indagare la relazione dei giovani con il proprio corpo. Ispirato al documentario Comizi d'amore di Pier Paolo Pasolini, il progetto esplora il tema dell’autoerotismo e si articola in 6 fotografie e altrettante interviste, che raccolgono le voci e le esperienze di persone che rivendicano la possibilità di aver un rapporto sano e libero con il proprio corpo.

A Iacopo Verri è andato il Secondo Premio con la serie di fotografie in bianco e nero “L’araba fenice” che prende spunto da una frase di Pablo Neruda: "Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno." per descrivere la fiducia verso il futuro di chi è consapevole che il fallimento può rappresentare un trampolino di lancio verso una vita migliore, ribellandosi al rischio di esserne fagocitati e di rimanere bloccati a crogiolarsi nel fallimento.

“Memorie del passato” di Camilla Bondioli si è aggiudicato il Terzo Premio. Sono immagini dell’archivio di famiglia che raccontano la vita dei nonni, composte fino a ricrearne i volti “poiché se devo pensare ad una vita piena di ricordi la voglio pensare in un’ottica di condivisione.”, afferma l'autrice.

Premio Venturi per Roxana Gabriela Martau grazie al suo video di animazione dal titolo “Se spegni la luce, mi noti” in cui l’autrice ha voluto affrontare il tema della depressione. Infine, due menzioni speciali a Benevelli Federica per “Mi dissocio” e Diamante Soncini per “Il nostro futuro”.

Le opere dei giovani artisti saranno incluse in una mostra presso FMAV – Palazzo Santa Margherita che inaugurerà il 15 settembre 2022 (fino al 5 novembre 2023) e nella pubblicazione che l’accompagnerà. L’esposizione si articola come una versione condensata di vari racconti, frammenti, esplorazioni e interrogativi delle nuove generazioni che stanno cercando di affermare, non senza difficoltà, la propria identità. Immagini che sono storie intime e profonde, domande, ansie, provocazioni, dubbi, affetti, sogni, riflessioni autentiche che cercano un dialogo con lo spettatore.

Insieme alle opere dei vincitori, la mostra includerà anche alcuni dei migliori lavori selezionati dalla giuria fra le candidature arrivate: Argnani Raffaele, IIS Venturi, Modena; Corsini Valentina, IIS Blaise Pascal, Reggio Emilia; Gagliumi Davide, IIS Venturi, Modena; Luppi Chiara, IIS Venturi, Modena; Lusuardi Alberto, Liceo Chierici, Reggio Emilia; Mastria Sara, IIS Venturi, Modena; Munari Emma, IIS Blaise Pascal Reggio Emilia; Serafini Greta, IIS Venturi, Modena; Suarez Nicolò, IIS Venturi, Reggio Emilia.

Il Primo Premio, del valore di 1000 euro, è assegnato dalla famiglia Vignali; il Secondo Premio consiste nella possibilità di partecipare ad un corso breve o ad un workshop nell’offerta di Fondazione Modena Arti Visive; il Terzo Premio consiste in un buono libri del valore di 150 euro da spendere nel bookshop di FMAV; infine, il Premio Venturi di 500 euro è assegnato dalla famiglia Vignali e conferito ad una/uno studente dell’Istituto Modenese.

 



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Summer Wheat. Kiss and Tell alla Fondazione Mudima

La prima personale italiana dell’artista statunitense Summer Wheat (1977, USA).

La Fondazione Mudima di Milano presenta dal 9 giugno al 14 luglio 2023 “Kiss and Tell”, la prima personale italiana dell’artista statunitense Summer Wheat (1977, USA).

Le dodici opere tattili esposte in mostra, tutte di grandi dimensioni e in parte inedite, sono realizzate con una tecnica completamente nuova creata dall’artista che si colloca all’intersezione tra pittura, disegno e scultura, belle arti e artigianato.

Nota per i suoi dipinti dai colori vibranti e per le installazioni avvolgenti, Wheat rappresenta la storia dell’Uomo, nelle sue esperienze individuali e collettive e nelle diverse manifestazioni dell’esistenza – come il lavoro, il tempo libero, le relazioni, la politica – attingendo a una molteplicità di fonti: le tradizioni artistiche dei nativi americani, l’arte antica e gli arazzi medievali, le incisioni rinascimentali e le astrazioni moderniste. Nelle sue vedute, ciascuno, indipendentemente dallo status sociale, occupa uno spazio uguale e condiviso che unito a uno spiccato senso dell’umorismo sovverte le strutture gerarchiche convenzionali e gli stereotipi con l’obiettivo di mettere in primo piano le figure femminili e rimetterne a fuoco le storie.

Il nucleo di opere esposto alla Fondazione Mudima è il frutto di un processo che utilizza la pittura come materiale plastico simile all'argilla. Wheat, infatti, dipinge il supporto dal retro, premendo il colore acrilico attraverso sottili fogli di rete di alluminio nei quali la pittura trapassa e si rapprende in una superficie strutturata che la rende simile a un arazzo. Ruolo fondamentale è affidato all'uso espressivo del colore e all’originale metodo di costruzione del dipinto che integra vari strumenti, dalle dita alle siringhe, ai raschietti di plastica, agli accessori per la decorazione di torte. 

Le donne, protagoniste dei lavori, sono rappresentate non attraverso canoni di genere, ma ponendole nei ruoli che tradizionalmente sono assegnati agli uomini. Ritratte come cacciatrici o pescatrici che insieme lavorano, si sostengono e si aiutano, le figure femminili di Wheat sono donne di potere, che hanno il controllo completo di ciò che le circonda, del loro corpo e della loro mente: basti osservare la posizione, simile a una figura yoga, in cui sono rappresentate che lascia presumere che siano dotate di grande forza, fisica e mentale. In tali opere, della serie Vanity – New Green, Ruby, Special Purple, Magenta (2022, acrilico e gouache su rete di alluminio, 73x119 cm) –, il soggetto è sempre lo stesso eccetto che per i colori, acidi e vivaci, che cambiano di opera in opera: una sorta di rispecchiamento che avviene non solo tra le opere, ma anche dentro ciascuna opera, poiché è sempre presente uno specchio nel quale il soggetto si riflette: «L’immagine ripetuta – spiega nel suo testo in catalogo Erin Dziedzic – richiama apparentemente i ritratti in serie di Warhol, di cui viene però superata la pratica meccanicistica a favore di una rappresentazione del sé che rimane fedele a se stessa pur cambiando ogni giorno.»

Nella serie Lovers, sempre in mostra a Milano, l’attenzione è posta sulle relazioni amorose tra uomo e donna. Lo spazio pittorico viene interamente riempito dalla coppia rendendo palpabile l’idea di uno spazio intimo, di un abbraccio stretto. In Jelly Beans, monumentale opera di 173x358 cm, si riconoscono due figure impegnate in un abbraccio e un bacio; attorno a loro, dei bambini galleggiano, teneramente e ironicamente, come gelatine, in ciò che può sembrare un giardino o un cielo notturno.

L’arte di Summer Wheat privilegia l'intuizione e l'esperienza vissuta rispetto alla ragione e alle logiche convenzionali, destabilizzando i confini tra figura e paesaggio, rappresentazione e astrazione, arte e artigianato.

Completa la mostra un catalogo edito da Mudima, con un testo critico di Erin Dziedzic.

 



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 Diego Marcon / Ludwig, 2018 / Installation view (detail), Dramoletti, Teatro Gerolamo, 2023 / Ph. Marco De Scalzi / Courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano
Diego Marcon / Ludwig, 2018 / © Diego Marcon / Courtesy Sadie Coles HQ, London

 

Fondazione Nicola Trussardi presenta Diego Marcon al Teatro Gerolamo di Milano

Nel ventesimo anno di attività nomade, la Fondazione Trussardi torna con un nuovo intervento nella città di Milano.

Nel ventesimo anno di attività nomade, la Fondazione Nicola Trussardi torna con un nuovo intervento nella città di Milano, proseguendo nel suo progetto di museo mobile con il quale Beatrice Trussardi e Massimiliano Gioni hanno riscoperto e trasformato strade, piazze, palazzi, spazi dimenticati e luoghi simbolici, occupandoli temporaneamente con le opere e le visioni di alcuni dei più importanti artisti contemporanei.
 
Dal 5 al 30 giugno 2023, la Fondazione Nicola Trussardi presenta Dramoletti, la prima mostra istituzionale antologica in Italia di Diego Marcon (Busto Arsizio, 1985), uno degli artisti italiani più interessanti dell’ultima generazione. Per questa nuova incursione, la Fondazione Nicola Trussardi ha scelto il Teatro Gerolamo, un teatro per marionette divenuto celebre come “la piccola Scala” per le sue dimensioni in miniatura e i pregiati dettagli architettonici disegnati nell’Ottocento da Giuseppe Mengoni, lo stesso architetto della Galleria Vittorio Emanuele, dove vent’anni fa è iniziato il percorso itinerante della Fondazione Nicola Trussardi, con la dirompente installazione Short Cut (2003) di Elmgreen and Dragset. Reso famoso dagli spettacoli di burattini dei Fratelli Colla, riscoperto nel dopoguerra da Paolo Grassi e rilanciato negli anni Settanta da Umberto Simonetta, il Teatro Gerolamo conserva ricordi di racconti fiabeschi e atmosfere incantate che trovano un’inquietante simmetria nelle opere di Diego Marcon.
 
Con i suoi film, video e installazioni, Marcon costruisce misteriosi drammi da camera nei quali si muovono pupazzi, bambini e creature sospese tra l’umano e il post-umano. Mescolando melodramma ed effetti speciali, Marcon immagina una nuova umanità agitata da profondi dubbi morali e intrappolata in azioni angoscianti che si ripetono all’infinito. Installate in questo teatro-bomboniera, le opere di Marcon girano su loro stesse come ballerine in un ipnotico carillon, evocando i micromondi di Joseph Cornell, le fantasie di Carlo Collodi e Lewis Carroll, e i cosiddetti “dramoletti” di Thomas Bernhard, da cui l’esposizione prende il titolo.
 
La mostra si apre nella sala centrale del teatro con una nuova presentazione di Ludwig (2018), un’animazione digitale nella quale un bambino – a bordo di una nave in balia di una tempesta – canta una delle arie tipiche dell’opera di Marcon, in questo caso eseguita con la collaborazione del Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala. Illuminato dalla luce di un fiammifero e avvolto nell’oscurità della stiva rischiarata da lampi improvvisi, Ludwig recita una strana ninna nanna in cui dichiara la propria stanchezza e il desiderio di scomparire per sempre. Il titolo, la colonna sonora e la suggestiva scenografia del teatro sembrano evocare la figura di Ludwig II di Baviera, il cosiddetto Re Matto, che dedicò la sua vita e le sue finanze a costruire castelli e spericolate fantasie architettoniche e a sostenere i sogni di Richard Wagner, per il quale finanziò anche il teatro di Bayreuth. Dichiarato pazzo e deposto a causa della sua eccentricità e delle folli spese, Ludwig morì annegato ma finì per incarnare il mito di un’esistenza consacrata all’arte al di là di qualsiasi ragionevolezza. Ritratto da Luchino Visconti nel suo film omonimo e ammirato anche da Walt Disney che scelse il castello di Ludwig come modello per Disneyland, Ludwig di Baviera forse non ha nulla in comune con il bambino di Marcon, ma il suo video evoca atmosfere in cui realtà e delirio si mescolano in intrecci complessi e pericolosi, degni delle pazzie del Re Matto.
 
Una simile tensione – sospesa tra realtà e allucinazione, tra sincerità e simulazione – ritorna nell’opera Il malatino (2017), installata al piano inferiore del Teatro Gerolamo. In questa breve animazione un bambino febbricitante respira a fatica nel letto. Il titolo e il viso emaciato del protagonista ricordano personaggi da letteratura vittoriana o da libro Cuore, immersi in memorie di pandemie recenti e lontane.
 
Negli spazi delle gallerie e del loggione Marcon ha installato Untitled (Head falling) (2015), una serie di proiezioni di film in 16 millimetri su cui ha disegnato – colorando e incidendo direttamente la pellicola – ritratti di volti e teste che sembrano cadere assopite.
 
Nella sala in cima alle scale Marcon inscena il dramma di The Parents’ Room (2021), nel quale attori indossano maschere modellate sulle loro sembianze, rese però mostruose dall’assenza di espressione. L’impassibilità delle figure contrasta con la violenza della narrazione e con la melodia della colonna sonora che rende ancora più estraniante questo misterioso frammento di teatro della crudeltà in salsa grand guignol.
 
Poco più in là, accanto alle marionette che recitavano nel teatro, una serie di bozzetti di letti vuoti allude forse a un’altra perdita o alla fine dell’infanzia.
 
Da questa e dalle altre opere in mostra emerge un mondo abitato da creature che mescolano naturale e artificiale in complesse combinazioni, tutte ugualmente perturbanti. Quelli di Marcon sono nuovi mostri: surrogati, replicanti, intelligenze più o meno artificiali, che a ben vedere non sono poi troppo diversi da quelli che da secoli popolano la storia della letteratura – marionette, bambole, golem, Frankenstein, robot… I pupazzi informatici, le teste in celluloide e le maschere di lattice di Marcon sono i nuovi avatar di una genia post-umana che disperatamente cerca nella plastica e nel digitale di scovare una traccia di verità. In questa ricerca Marcon scopre che l’umano si nasconde nel difetto, nell’oscurità, nell’eccesso, nel patologico e nel malvagio persino, e che all’arte forse spetta il compito ingrato di piegare la tecnologia verso le bassezze dell’umanità.
 
La mostra di Diego Marcon al Teatro Gerolamo fa parte di una serie di importanti progetti espositivi realizzati dal 2003 dalla Fondazione Nicola Trussardi, sotto la presidenza di Beatrice Trussardi e con la direzione artistica di Massimiliano Gioni.
 
La Fondazione Nicola Trussardi è un’istituzione no profit privata, che, come un museo mobile, riscopre luoghi dimenticati e spazi simbolici della città di Milano, invitando gli artisti più importanti del panorama internazionale a reinventare la città, immaginando nuovi usi per palazzi, piazze, chiese, monumenti e altri edifici emblematici di Milano. Le sue attività sono rese possibili grazie alla generosità delle socie fondatrici e ai membri del Cerchio della Fondazione Nicola Trussardi, gruppo di sostenitrici e sostenitori che ne supporta i progetti. 
Dal 2003 la Fondazione Nicola Trussardi ha prodotto opere d’arte pubblica, mostre temporanee, incursioni, performance e interventi pop-up di celebri artisti internazionali tra cui Darren Almond, Pawel Althamer, Allora & Calzadilla, John Bock, Maurizio Cattelan, Martin Creed, Tacita Dean, Jeremy Deller, Agnes Denes, Elmgreen and Dragset, Urs Fischer, Fischli e Weiss, Cyprien Gaillard, Gelitin, Ragnar Kjartansson, Sarah Lucas, Ibrahim Mahama, Diego Marcon, Paul McCarthy, Paola Pivi, Pipilotti Rist, Anri Sala, Tino Sehgal, Stan VanDerBeek e Nari Ward, oltre a presentare grandi mostre a tema a Palazzo Reale e alla Triennale.

 

 



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Fondazione In Between Art Film presenta il catalogo della mostra PENUMBRA 

Questo volume riccamente illustrato segna la conclusione di un percorso cominciato nel dicembre 2020 con la produzione di una serie di film e video. 

Fondazione In Between Art Film – nata dalla volontà di Beatrice Bulgari per sostenere il linguaggio delle immagini in movimento – è lieta di annunciare la pubblicazione del catalogo di Penumbra, la mostra collettiva commissionata e prodotta dalla Fondazione al Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, che è stata aperta dal 22 aprile al 27 novembre 2022 in occasione della Biennale Arte.

A cura di Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi con Bianca Stoppani, questo volume riccamente illustrato segna la conclusione di un percorso cominciato nel dicembre 2020 con la produzione di una serie di film e video che la Fondazione In Between Art Film aveva commissionato a Karimah Ashadu, Jonathas de Andrade, Aziz Hazara, He Xiangyu, Masbedo, James Richards, Emilija Škarnulytė e Ana Vaz. Attorno ai lavori di immagini in movimento creati da questi otto artisti internazionali, la Fondazione ha organizzato la sua prima mostra istituzionale, Penumbra; il public program di accompagnamento, Vanishing Points; e il presente catalogo.

Il libro riflette sulla realizzazione della mostra e offre saggi approfonditi e inediti sui processi di ideazione e produzione che hanno portato ai lavori esposti a Venezia, continuando così l’impegno della Fondazione a diffondere per mezzo di progetti editoriali il dibattito attorno alle immagini in movimento.

Il catalogo si apre con un saggio visivo commissionato al fotografo veneziano Giacomo Bianco. Questa suggestiva introduzione, parte delle prime fasi della campagna di comunicazione della mostra, cattura il gioco di luci e ombre sulla laguna, sulla facciata della Chiesa di Santa Maria dei Derelitti e dentro il Complesso dell’Ospedaletto che ha ospitato Penumbra.

I saggi scritti dai curatori della mostra, Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, illustrano la metodologia che ha orientato le commissioni, la narrazione metaforica e spaziale dell’esposizione e gli elementi che accomunano i film e i video nella penombra dell’Ospedaletto.

La sezione principale del libro rispecchia la disposizione delle video installazioni sui due piani dell’edificio ed è organizzata in otto capitoli che presentano fotogrammi, sinossi e crediti di ogni film, insieme a saggi originali commissionati a scrittori, studiosi e ricercatori. Giorgio Vasta, Taylor Aldridge, Filipa Ramos, Barbara Casavecchia, Matt Keegan, Martin Herbert, Bruno Carvalho con Ana Laura Malmaceda, e Francesca Recchia sono stati invitati a scrivere, in maniera inusuale, mentre i lavori erano ancora in corso di realizzazione, e sono così diventati compagni di strada e corrispondenti degli artisti. È per questo motivo che i generi scelti dagli autori variano dall’epistolare al critico all’autobiografico, introducendo un’eterogeneità di prospettive parallela alla varietà delle pratiche artistiche. Ogni saggio è inoltre arricchito da immagini d’archivio, fotografie di produzione e materiali di ricerca che documentano processi e momenti dell’ideazione e delle riprese.

Tra le descrizioni del pianterreno e del primo piano, al centro del libro ci sono le vedute dell’installazione di Penumbra, che precedono un saggio di Ippolito Pestellini Laparelli sulla scenografia da lui progettata per la mostra con la sua agenzia 2050+, e un saggio di Bianca Stoppani e Paola Ugolini su Vanishing Points, il public program che hanno curato insieme.

Lo splendido progetto grafico della pubblicazione è stato concepito da Lorenzo Mason Studio, a cui era già stata affidata l’identità visiva e la campagna promozionale che ha promosso la mostra sia online sia a Venezia per tutta la sua durata.

Il libro si può ordinare sullo shop online di Mousse.

 



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Installation view della mostra Fausto Melotti. La ceramica, Fondazione Ragghianti, 2023. Ph. Beatrice Speranza

 

Fausto Melotti LA CERAMICA 

Una mostra racconta e approfondisce questa produzione, a torto considerata secondaria, di uno dei protagonisti della trasformazione dell’arte italiana del Novecento.

A più di settant’anni dal primo incontro tra Carlo Ludovico Ragghianti e la ceramica di Fausto Melotti, e a vent’anni dalla pubblicazione del “Catalogo generale della ceramica” dell’artista, una mostra racconta e approfondisce questa produzione, a torto considerata secondaria, di uno dei protagonisti della trasformazione dell’arte italiana del Novecento. Differenti tipologie di opere in ceramica di Melotti, a confronto con lavori in ceramica di artisti coevi, ci restituiscono un ritratto dell’artista inserito nel suo tempo.

Nel 1948 Carlo Ludovico Ragghianti pubblica un saggio nel catalogo della mostra “Handicraft as a fine art in Italy”, ospitata alla House of Italian Handicraft a New York. Tra le opere esposte anche i vasi in ceramica di Fausto Melotti, che, insieme alle opere di Afro e Mirko Basaldella, Pietro Cascella, Filippo de Pisis, Renato Guttuso, Leoncillo, Marino Marini e molti altri, erano esposti in quell’occasione per dimostrare come in Italia la produzione delle cosiddette arti applicate fosse da considerarsi a tutti gli effetti fine art.

Per ricordare quel primo incontro tra Ragghianti e Melotti, nonché per celebrare il ventennale dell’edizione del Catalogo generale della ceramica” di Fausto Melotti la Fondazione Ragghianti organizza dal 25 marzo al 25 giugno la mostra “Fausto Melotti. La ceramica”, a cura di Ilaria Bernardi, un viaggio tra le opere di un protagonista assoluto del rinnovamento artistico italiano del Novecento.

Scultore, pittore, disegnatore e poeta, Fausto Melotti (Rovereto, 1901 - Milano, 1986) è stato un raffinato ceramista e, dal secondo dopoguerra fino ai primi anni Sessanta, nella ceramica ha trovato uno strumento di invenzione e trasformazione della scultura.

Realizzata in collaborazione con la Fondazione Fausto Melotti e il MIC - Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e il patrocinio della Regione Toscana e della Provincia e del Comune di Lucca, “Fausto Melotti. La ceramica” si sviluppa in quattro sezioni.

La prima contestualizza la produzione ceramica di Melotti all’interno della sua vita e della sua attività, attraverso una cronologia illustrata che dalla nascita nel 1901 giunge alla sua scomparsa nel 1986. La cronologia è accompagnata da teche per accogliere importanti documenti del suo archivio legati specificatamente alla produzione in ceramica, tra cui tre quaderni mai esposti finora.

La seconda sezione è dedicata alle più note tipologie di sculture in ceramica concepite dall’artista come tali: dalle ceramiche a carattere sacro ai bassorilievi, dagli animali alle “Korai”, dai cosiddetti “Bambini” fino ai “Teatrini”. Tra queste opere anche la preziosa “Lettera a Fontana”(1944), esposta nel 1950 alla Biennale di Venezia.

Nella terza sezione, il video “In prima persona. Pittori e scultori. Fausto Melotti” (1984), di Antonia Mulas, include l’unica intervista in cui l’artista, analizzando il proprio percorso e la propria concezione dell’arte, parli della ceramica.

Anticipata da un focus su un’altra tra le più note tipologie di opere in ceramica di Melotti – i vasi, nelle loro innumerevoli forme differenti –, la quarta e ultima sezione della mostra raccoglie differenti tipologie di ceramiche – coppe, coppette, lampade, piatti, piastrelle – che, anche se ispirate a oggetti d’uso quotidiano, sono state realizzate dall’artista svincolandole dalla loro funzione e rendendole vere e proprie sculture.

Accanto alle opere di Melotti sono esposte quelle di importanti artisti e designers con cui direttamente o indirettamente ebbe contatti, concesse in prestito dal MIC di Faenza, che conserva la raccolta d’arte ceramica più grande al mondo: da Giacomo Balla a Lucio Fontana, da Leoncillo ad Arturo Martini, da Enzo Mari a Bruno Munari, e ancora Gio Ponti, Emilio Scanavino, Ettore Sottsass e molti altri.

Con “Fausto Melotti. La ceramica” la Fondazione Ragghianti desidera non soltanto rendere omaggio a un artista che ha saputo coniugare la tradizione classica con le avanguardie europee, la conoscenza scientifico-matematica con quella musicale, l’abilità poetico-letteraria con quella di disegnatore, pittore e scultore, ma vuole soprattutto ricordare la sua multiforme e innovativa produzione in ceramica attraverso una mostra che, individuandone le tipologie più ricorrenti, possa delineare una nuova di mappatura di quella che Germano Celant chiamò la “galassia Melotti”.

La mostra è accompagnata da un libro-catalogo in italiano e inglese pubblicato dalle Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte, con le riproduzioni di tutte le opere esposte, documenti e materiali d’epoca, i saggi di Ilaria Bernardi e Claudia Casali, direttrice del MIC - Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, e i testi introduttivi di Paolo Bolpagni, direttore della Fondazione Ragghianti, e di Edoardo Gnemmi, direttore della Fondazione Fausto Melotti.