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Latifa Echakhch Romance alla Fondazione Memmo

Romance nasce dall’invito rivolto a Latifa Echakhch per la realizzazione di un progetto inedito a partire dalle suggestioni derivanti dal suo incontro con il paesaggio, le atmosfere, la storia e le vicende socio-culturali di Roma.

Fondazione Memmo presenta, da venerdì 3 maggio, Romance, personale dell’artista francomarocchina Latifa Echakhch, a cura di Francesco Stocchi. La mostra sarà aperta al pubblico sino a mercoledì 27 ottobre 2019. Romance nasce dall’invito rivolto dalla Fondazione Memmo a Latifa Echakhch, per la realizzazione di un progetto inedito a partire dalle suggestioni derivanti dal suo incontro con il paesaggio, le atmosfere, la storia e le vicende socio-culturali di Roma.

La mostra trae origine da un processo di avvicinamento graduale che ha portato l’artista a scoprire, interiorizzare e tradurre gli stimoli raccolti nel corso delle sue visite. Il titolo della mostra, Romance, riassume lo spirito dell’intervento di Latifa Echakhch volto a rappresentare la stratificazione architettonica, culturale e geologica della città, in cui si intrecciano differenti periodi storici e si mescolano molteplici linguaggi e registri espressivi. L’artista è interessata a esprimere questo sentimento di trasporto, di indagine e sorpresa attraverso un’istallazione realizzata negli spazi della Fondazione Memmo (le antiche scuderie di Palazzo Ruspoli): un’opera immersiva, inedita che richiama – sia concettualmente, sia per la tecnica realizzativa – i “capricci” architettonici in materiale cementizio che ornano i giardini di fine Ottocento. Latifah Echakhch lavorerà on site alla composizione di un percorso installativo, punteggiato da una serie di sculture cave in calcestruzzo armato, dalle quali emergeranno oggetti decorativi di diverse origini, creando una stratificazione di riferimenti colti e popolari. Un cammino che si sviluppa negli spazi espositivi di Fondazione Memmo e che invita il visitatore all’esplorazione, tra caverne, stalattiti e stalagmiti, finte palizzate in legno e oggetti della vita quotidiana.

Nel progetto espositivo pensato per la Fondazione Memmo si possono rintracciare i diversi indirizzi che hanno contraddistinto la ricerca di Echakhch negli ultimi anni. Il 2018 ha infatti visto l’artista confrontarsi con il tema dei giardini romantici ne Le jardin méchanique al Nouveau Musée National de Monaco; con quello delle stratificazioni di tracce nelle opere edili alla Chapelle Saint-Jacques di Saint Gaudens; e con quello della potenza evocatrice dell’oggetto in disuso o deteriorato, come nella campana in pezzi esposta nella personale al Kiosk di Ghent.

Romance testimonia il rigore di Latifa Echakhch, episodio più recente di un flusso creativo fatto di rimandi e anticipazioni che permettono di cogliere la poetica dell’artista. Questa mostra segna una ulteriore tappa del percorso attraverso cui la Fondazione Memmo intende promuovere l’incontro di artisti internazionali con il tessuto produttivo e artigianale della città di Roma attraverso la produzione di progetti espositivi che rivisitino materiali e tecniche tradizionali.

INFORMAZIONI

Mostra: Latifa Echakhch. Romance Curatore: Francesco Stocchi Assistente curatore: Saverio Verini

Vernissage: giovedì 2 maggio 2019, ore 18.00

Luogo: Fondazione Memmo, via Fontanella Borghese 56/b, 00186 Roma

Apertura al pubblico: 3 maggio – 27 ottobre 2019

Orario: tutti i giorni dalle 11.00 alle 18.00 (martedì chiuso) Ingresso libero

| Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | www.fondazionememmo.it

 

 

 

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Al Rivellino LDV di Locarno - Il Giorno di Leonardo, 2 maggio 1519 - 2 maggio 2019

Il 2 maggio 2019, una giornata dedicata a Leonardo per celebrarlo nell'anno in cui ricorrono 500 anni dalla sua scomparsa. Locarno ricorda il personaggio legato al Canton Ticino per il Rivellino, il bastione cinquecentesco del castello Visconteo di Locarno, costruito il 17 luglio 1507.

Una giornata dedicata a Leonardo per celebrare Leonardo da Vinci, nell'anno in cui ricorrono 500 anni dalla sua scomparsa ad Amboise nel 1519.

Il 2 maggio 2019 Locarno ricorda Leonardo da Vinci, scienziato, filosofo, artista, maestro d’acqua, esperto di cucina, uomo di tutto il mondo, legato al Canton Ticino per il Rivellino, il bastione cinquecentesco del castello Visconteo di Locarno, costruito il 17 luglio 1507.

Per festeggiare questo 500 anniversario al Rivellino LDV di Locarno sono presentate opere di diversi artisti con accompagnamento musicale dei musicisti Pietro Bianchi e Roberto Maggini, in modo scoppiettante, con una torta, dei maestri pasticcieri Marnin, come merita una festa, il tutto per sottolineare l’universalità del genio di Leonardo.

Al Centro culturale il Rivellino LDV il 2 maggio 2019, dalle ore 18:00, presentazione di Arminio Sciolli, direttore del Centro culturale il Rivellino LDV di Locarno.  Per l’occasione saranno inaugurate tre diverse esposizioni di opere realizzate da tre artisti che si sono ispirati al genio di Leonardo: Alberto di Fabio: "Quanti". Doncho Donchev: "Codex Metamorphoses". Luca Ferrario: "Sacred Pavilion".

Durante la serata si esibiranno altri artisti, spaziando dalla pittura, al teatro, fino alla musica: Un “Omaggio a Leonardo” del musicista Pietro Bianchi (con uno strumento di sua costruzione), accompagnato da Roberto Maggini. Per finire la torta d’artista “Leonardo 500”, preparata dai maestri pasticcieri Marnin di Locarno.

Le caratteristiche del baluardo suggeriscono allo storico Marino Viganò (Marino Viganò, “Leonardo a Locarno”, Ed. Casagrande, Bellinzona 2009) due possibilità quanto al periodo di realizzazione: l’occupazione francese del Locarnese, dal 1499 al 1513, o la sovranità svizzera tra il 1513 e il 1532 (data di demolizione del castello, alla quale è registrata l’esistenza del “Rafellin”). Gli archivi danno conferma che si tratta del primo periodo. “Dai radi documenti della Superiorità svizzera – commenta lo storico – si viene a sapere che l’opera è costruita sotto l’occupazione francese, quindi fra il 1499 e il 1513”. L’ordine di fortificare Locarno risulta dato dal “grand maître” a Milano, titolo della corte di Francia portato da Charles II d’Amboise dal 1502 al 1511, data della sua morte. Ecco dunque che il periodo in cui collocare il Rivellino si fa più preciso. Altri documenti provano inoltre che tutto il ducato di Milano è munito di bastioni con modalità simili e in uno stesso anno: il 1507. E tutte le fortificazioni sono ordinate dal d’Amboise. “Il caso di Locarno – precisa lo storico Marino Viganò – si situa dunque in un processo di fortificazione generale”. “All’epoca – puntualizza lo storico - Locarno è forse la piazzaforte più esposta, per cui il d’Amboise deve suggerire una protezione più efficace rispetto al resto dello stato quando, fra il 6 e il 22 luglio 1507, si reca di persona - dicono le cronache - verso Bellinzona e Como a provvedere fortificazioni”.


 

 

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 PH Mariano Bocanegra

 

  

Mariana Telleria artista alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia con “Il Nome di un Paese” (El nombre de un país)

Marianna Telleria vincitrice del concorso per rappresentare l’Argentina alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, accompagnata dalla curatela di Florencia Battiti.

Con il suo progetto "Il nome di un paese", Mariana Telleria, l’artista originaria di Santa Fe, ha vinto il concorso aperto per rappresentare l’Argentina alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, accompagnata dalla curatela di Florencia Battiti, storica dell’arte e docente.

Per la prima volta nella storia degli invii nazionali, il Ministero degli Esteri argentino, attraverso la Direzione per gli Affari Culturali, ha reso pubblico un bando di concorso di notevole carattere federale, ricevendo 68 ante progetti di artisti argentini provenienti da diverse aree del paese.

El nombre de un país (“Il nome di un Paese”) condensa i sedimenti del mondo operativo e concettuale di Mariana Telleria. Il progetto si avvale di sette sculture monumentali che, come una sorta di bestiario punk frankensteiniano, si presenta come il supporto per intuitive trasformazioni sulle cose, come un archivio di sensi sconsacrati, dove l’iconografia religiosa condivide con gli oggetti prodotti dalla cultura popolare, la moda, la spazzatura, lo spettacolo e la natura, una stessa gerarchia orizzontale.

“In queste sculture ho evidenziato il mio interesse a lavorare partendo dalla forma delle singole cose, mettendo in risalto, in qualche modo, il concetto che l’unico elemento naturale è in realtà la convivenza caotica tra oggetti vivi e oggetti inerti, tra cultura e natura, tra ordine e distruzione. Ogni cosa ha una sua anima, la sua impronta formale e la sua storia materiale. C’è tragedia in tutto, ma in tutto c’è anche qualcosa di vivo, segnala l’artista.

Così, con le parole della curatrice, “quando le opere di Telleria mettono le cose (e i loro immaginari) in relazione ad altre cose (e con altri immaginari), esse tracciano collegamenti insospettabili tra i diversi significanti della nostra cultura (l’aspetto sacro, domestico, urbano, naturale) accendendo per attrito, per contatto, nuove scintille di significazione”.

 

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Processo di Opera. Il Nome di un Paese

 

Mariana Telleria è nata a Rufino, provincia di Santa Fe il 19 ottobre 1979. Nel 1998 si trasferisce a Rosario per studiare Belle Arti presso l’Università Nazionale di Rosario (UNR). Ha realizzato progetti specifici, installazioni, mostre individuali e collettive in diverse città e istituzioni private e pubbliche in Argentina e all’estero, tra cui: Ficción primitiva (“Finzione primitiva”, galleria Ruth Benzacar, Buenos Aires (2018); Dios es inmigrante (“Dio è immigrato”, Bienalsur, Museo dell’Immigrazione, Buenos Aires, (2017); Repetition (“Ripetizione”), Fondazione Boghossian, Bruxelles (2016), Tumba del soldado desconocido (“Tomba del milite ignoto”), Università Nazionale di La Plata, Buenos Aires (2015), Las noches de los días (“La notte dei giorni”), Museo Municipale di Belle Arti Juan B. Castagnino, Rosario (2014), Some artists’ artists , Marian Goodman Gallery, New York (2013), Queremos ver (“Vogliamo vedere”), Spazio Contemporaneo Fondazione Proa, Buenos Aires, 2013), El primer momento de la existencia de algo (“Il primo momento dell’esistenza di qualcosa”, Stadio River Plate. Saggio di Situazione II, organizzato dal Dipartimento di Arte della UTDT, Buenos Aires, (2013), Los ángeles (“Gli angeli”), Galleria Ruth Benzacar, Buenos Aires (2013), The Ungovernables, New Museum Triennial, New York (2012), Mortal Kombat, Museo d’Arte Moderna, Buenos Aires (2011), El nombre de un país (“Il nome di un Paese”), Galleria Alberto Sendrós (2009). Vive e lavora a Rosario, Argentina.

Florencia Battiti, nata a Buenos Aires il 18 agosto 1965. Ė curatrice, critica d’arte e docente d’arte argentina e latinoamericana. Dal 2000 svolge funzioni di Capo Curatrice del Parco della Memoria, un ambiente consacrato al ricordo dei desaparecidos, dove si occupa del Programma d’Arte Pubblica e della curatela della sala di esposizioni nella quale si sono tenute le prime mostre di Bill Viola, Alfredo Jaar e Anish Kapoor in Argentina. Ė Professoressa del Master in Curatela dell’Università di Tres de Febrero (UNTREF) e del Dipartimento d’Arte dell’Università Torcuato Di Tella (UTDT). Il suo campo di studio è incentrato sull’arte argentina e latinoamericana dei secoli XX e XXI, con particolare enfasi nelle articolazioni tra pratiche artistiche, pratiche politiche, memorie e diritti umani. Nel 2016 ha conseguito il Premio Radio France Internationale e Radio Cultura per la Promozione delle Arti-Categoria Gestione Pubblica/Istituzioni per il Programma Curatoriale del Parco della Memoria. Attualmente è Vice Presidentessa dell’Associazione Argentina e Internazionale dei Critici d’Arte e forma parte del comitato curatoriale di BIENALSUR, Biennale d’Arte Contemporanea di America Latina promossa dall’Università Nazionale di Tres de Febrero. Vive e lavora a Buenos Aires, Argentina.

L'esposizione si avvale del sostegno del Ministero degli Affari Esteri e Culto della Repubblica Argentina.

Apertura: Mercoledì 8 maggio, ore 16:00, Padiglione dell’Argentina, Sale d’Armi, Arsenale.

Tomás Ferrari, Ambasciatore argentino in Italia e Sergio Baur, Direttore Nazionale delle Attività Culturali apriranno l'esposizione in presenza del curatore e dell'artista.

 

 

 

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 “Passanti leggono il titolo della seconda edizione del quotidiano Milano-Sera affisso a un muro: "Il popolo ha scelto. È già Repubblica", 5 giugno 1946” - Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo

 

  

Nel mirino. L’Italia e il mondo nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo 1939-1981

I Giovedì in CAMERA, programma di incontri aperti al pubblico e ospitati nello spazio del Gymnasium di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, sono realizzati con l’intento di approfondire e divulgare i contenuti delle mostre in corso.

I Giovedì in CAMERA, programma di incontri aperti al pubblico e ospitati nello spazio del Gymnasium di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, sono realizzati con l’intento di approfondire e divulgare i contenuti delle mostre in corso, attraverso la partecipazione di addetti ai lavori e fotografi nazionali e internazionali. In occasione della mostra Nel mirino. L’Italia e il mondo nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo 1939-1981 (13 aprile - 7 luglio 2019), gli incontri affronteranno, a partire dalla cruciale esperienza Publifoto, il rapporto tra fotografia e informazione, il ruolo della fotografia come strumento di narrazione e documentazione della verità, ma anche le evoluzioni e le alterazioni di tale corrispondenza.

Il primo incontro in programma giovedì 18 aprile alle ore 19.00 sarà interamente dedicato alla mostra, per approfondirne i contenuti e la struttura, raccontandone le ragioni che hanno condotto a specifiche scelte curatoriali.
Oltre quarant’anni di documentazione dei principali fatti della quotidianità italiana e mondiale raccontati attraverso gli occhi dei fotografi: l’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo è un catalogo dell’esistenza che raccoglie le immagini di informazione e comunicazione diventate, nel tempo, storia e memoria collettiva. Oltre a evidenziare la funzione linguistica della fotografia nello sviluppo di un differente approccio alla notizia, la mostra realizzata da CAMERA con Intesa Sanpaolo nell'ambito del Progetto Cultura racconta la nascita della figura del fotografo professionista in ambito giornalistico e ne tratteggia l’evoluzione del ruolo sociale nel secolo scorso. A partire da tali elementi, i curatori della mostra, Aldo Grasso e Walter Guadagnini, assieme a Barbara Costa, responsabile dell’Archivio Storico Intesa Sanpaolo, racconteranno i principali contenuti del percorso espositivo, facendo emergere la capacità di una delle più grandi agenzie di fotogiornalismo italiane di raccontare il mondo attorno a noi per mezzo delle immagini.

Intervengono
Barbara Costa, Responsabile Archivio Storico Intesa Sanpaolo
Aldo Grasso, Massmediologo e co-curatore della mostra
Walter Guadagnini, Direttore CAMERA e co-curatore della mostra

È richiesta la prenotazione: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Contatti
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia
Via delle Rosine 18, 10123 - Torino
www.camera.to | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Comunicazione: Giulia Gaiato
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
tel. 011 0881151

 

 

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Collezione Maramotti. Nuove mostre: Margherita Moscardini e Atelier dell'Errore

In occasione del festival di Fotografia Europea 2019 due appuntamenti.

Margherita Moscardini | The Fountains of Za'atari, opera pubblica vibile dal 13 aprile. La mostra sarà visibile dal 14 aprile al 28 luglio 2019

In occasione del festival di Fotografia Europea 2019, dal titolo Legami. Intimità, relazioni, nuovi mondi, Collezione Maramotti presenta The Fountains of Za'atari, articolato progetto dell’artista Margherita Moscardini sviluppato dal 2015 a partire dallo studio dei campi per rifugiati come realtà urbane destinate a durare.

Moscardini ha lavorato fuori e all’interno del campo di Za'atari, realizzando un censimento dei cortili con fontana costruiti dai residenti all’interno delle proprie case. Il progetto è un dispositivo pensato per generare un sistema di vendita delle sculture che riproducono in scala 1:1 i modelli di cortile con fontana di Za’atari e potranno essere acquisite da amministrazioni o istituzioni cittadine e presentate in spazi pubblici europei. Nell’idea di Moscardini le sculture generate su modello dei cortili con fontana dovranno beneficiare di una giurisdizione speciale con elementi di extra-territorialità, che con il tempo le qualifichi come spazi sopra cui la norma è sospesa, “buchi neri, power vacuum su suolo nazionale”.

A Reggio Emilia il progetto di Moscardini si arricchisce di un importante livello di elaborazione. Sarà infatti presentata la prima scultura pubblica (su cui è stato avviato l’iter di conversione giuridica di extra-territorialità) nel Parco Alcide Cervi di Reggio Emilia, insieme a una mostra temporanea nella Pattern Room della Collezione Maramotti, con elementi di approfondimento sul progetto: opere, video e disegni.
Nel corso del 2019 sarà pubblicato un libro d'artista che racchiude ed espande in diverse direzioni i temi del progetto e includerà un catalogo delle fontane di Za'atari.

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Inaugurazione pubblica 13 aprile 2019, alle ore 17.00:
Parco Alcide Cervi, Reggio Emilia

La scultura sarà permanente e accessibile negli orari di apertura del parco:
1 maggio - 30 settembre dalle 7.00 alle 24.00
1 ottobre - 30 aprile dalle 7.00 alle 20.00

 

Atelier dell'Errore - Open studio. AdE Identikit 01
 
 
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In occasione del Festival di Fotografia Europea 2019 e in concomitanza con l’apertura del progetto The Fountains of Za’atari di Margherita Moscardini, Atelier dell’Errore BIG riapre al pubblico il proprio studio-spazio espositivo presso la Collezione.

Il tema del Festival sembra descrivere l’universo dell’Atelier dell’Errore, laboratorio di arti visive dedicato ai ragazzi della Neuropsichiatria, “scultura sociale” in cui il disegno, la performance, la fotografia e il video, diventano esperienza collettiva generatrice di realtà altre, radicate nel quotidiano e allo stesso tempo portatrici di visioni e immaginari fantastici. Gli unici soggetti rappresentati sono animali, la gomma è bandita e l’errore è considerato un valore positivo.

AdE Identikit 01 è un autoritratto segnaletico per immagini video e fotografiche dell’Atelier, uno sguardo sul processo creativo dei ragazzi nello spazio-studio in cui lavorano da quasi quattro anni.
In dialogo con le opere – i disegni potenti e immaginifici dei ragazzi, abitati da creature minacciose e protettive al tempo stesso – una videoproiezione e dodici fotografie di grande formato (novità assoluta nella pluriennale esperienza dell’AdE) si offrono come scorci della vita dell’Atelier, delle sue narrazioni, delle relazioni tra i giovani artisti nell’esperienza condivisa, intima e deflagrante dell’atto artistico.
Le fotografie in mostra, scattate da Luca Santiago Mora, fondatore e direttore artistico dell’Atelier dell’Errore, appartengono a tre diversi nuclei (tutti inediti) che identificano diverse sfaccettature della storia dell’Atelier: Cover, Black Dürer e The Bird.

Domenica 14 aprile 2019
ore 10.30 - 18.30
Alle ore 11.00, performance Da vicino nessuno è un disegno (ingresso libero fino a esaurimento posti)

Fino al 28 Luglio sarà inoltre visitabile la mostra Rehang : Archives.

 

 

 

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A ROOM OF MY OWN  UNA STANZA TUTTA PER ME

In occasione dell'avvio della Design Week 2019, Ventura Projects e Cramum presentano la mostra a cura di Sabino Maria Frassà che accoglie le opere di tre artiste Francesca Piovesan, Giulia Manfredi e Flora Deborah.

Da lunedì 8 aprile fino al 14 aprile in occasione dell'avvio della Design Week 2019Ventura Projects e Cramum presentano la mostra "A room of my own" | "Una stanza tutta per me" curata da Sabino Maria Frassà e che accoglie le opere di tre artiste finaliste o vincitrici del premio Cramum: Francesca Piovesan, Giulia Manfredi e Flora Deborah. La mostra è ispirata al saggio "femminista" Una stanza tutta per sé scritto 90 anni fa da Virginia Woolf che rivendicava un ruolo da protagoniste per le donne anche nella cultura. Il curatore Frassà ha richiesto alle artiste  di ideare un progetto che racchiudesse la propria visione del mondo in una "stanza". Il risultato è un percorso espositivo di 15 opere in tre "stanze" che all'interno di Ventura Centrale indaga il passare del tempo e la comprensione di chi siamo veramente. I progetti artistici proposti sono accomunati da un'elevata sperimentazione a livello materico e di tecnica artistica: dalle fotografie termosensibili di Francesca Piovesan alle resine di Giulia Manfredi all'installazione di batteri di Flora Deborah.

Uneasy, la Stanza di Francesca Piovesan. Ognuno di noi custodisce in sé e nasconde caratteristiche e immagini "non facili", scomode e che possono fare male. Spesso nascondiamo anche a noi stessi questi pensieri, finendo per seppellirli nel nostro profondo. Gli scatti fotografici che compongono il progetto sono a prima vista dei monocromi neri: il nero che vediamo è in realtà una velatura che si dissolve quando l'opera viene toccata da dalle mani calde dello spettatore. È il nostro calore - interiore - a permetterci di riscoprire, vedere e affrontare le (nostre) paure. Gli scatti di Uneasy nascondono e rivelano così ferite e segni lasciati dal tempo sul corpo di donne scelte dall'artista per le proprie storie o per il passato con lei condiviso.

 

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Still, la Stanza di Giulia Manfredi. Ogni essere umano deve affrontare la paura che concerne il passare del tempo, al propria finitezza e mortalità. La dicotomia vita-morte è un ossessione che finisce spesso per intaccare e plasmare come noi ci vediamo e la nostra stessa identità. La resina adottata dall'artista sembra riuscire a cristallizzare l'esistenza della pianta morta. Da lontano abbiamo addirittura l'illusione che la pianta sia ancora viva e che possa continuare a vivere per sempre. Ma tutto, come nella vita, è un'illusione: avvicinandoci, guardando meglio, scopriamo che la luce dell'opera illumina qualcosa che non è più vivo. 

 

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I'm Too Old to Float, la Stanza di Flora Deborah. Per l'artista è fondamentale l'eterogeneità e l'ambivalenza della relazione tra madri e figli. "TOO OLD TO FLOAT" (letteralmente "Troppo vecchio per stare a galla") è una installazione costruita intorno a culture simbiotiche di batteri, raccolti e fatti crescere in in una serie di vasi di vetro soffiato. I batteri crescono in una mistura di tè verde ed acqua di zucchero (che li nutre) fino a colonizzare tutto il contenitore. La "madre" che si forma cresce e sta a galla in cima al liquido finché è troppo pesante e affonda, lasciando spazio ai "nuovi batteri" più giovani, che salgono a galla.

 

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