L'arte di gestire l'arte. Incarichi, ruoli e responsabilità ricoperti in una grande carriera

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"Mi piace l’idea che ci sia sempre da apprendere, lo sento quotidianamente. Ho impiegato un anno a definire la mia strategia essendo nuova è stimolante anche in questo senso." Intervista all'Art collection manager Clarice Pecori Giraldi.

By Camilla Delpero   

 

Come nasce Clarice?

Nel 1984 alcuni amici mi segnalarono una posizione come esperto junior per l’arte moderna da Sotheby’s Italia. Non era la mia materia dal momento che stavo studiando giurisprudenza, tuttavia mi candido e vengo scelta. Il parlare tre lingue: inglese, francese e tedesco era considerato un elemento determinante, il fatto che non avessi finito l’università all’epoca non pregiudicava un’assunzione. A quei tempi l’approccio delle aziende era didattico, ti insegnavano sul campo i segreti del mestiere che non si imparavano all’università. Trascorso un periodo di sei mesi a Londra, sono stata rimandata a Milano, sotto uno stretto controllo dei colleghi inglesi, per raccogliere il materiale per le aste italiane. Dopo qualche anno sono passata a Christie’s, dove mi è stata confermata la posizione di capo reparto già acquisita da Sotheby’s. Qui mi hanno proposto di occuparmi anche dell’ufficio di Milano. Accanto al mio expertise ha iniziato ad affiancarsi un’attività manageriale che devo dire ha sempre più preso il sopravvento. Le due cose assieme sono difficili da conciliare; per essere un buon esperto devi essere molto aggiornato e per essere un buon manager devi essere molto disponibile e presente, oltre che avere una visione di insieme. Se sei uno specialista valido non riesci ad avere tale visione secondo me. Per tanto entrambe le cose sono state per me inconciliabili. La direzione si è poi tramutata in una posizione dirigenziale. Sono rimasta da Christie’s fino alla fine del ’97. Poi volevo cambiare settore. Mi hanno proposto di fare il capo della comunicazione internazionale per l’azienda Prada. Ho svolto questa attività per quattro anni poi ho lasciato; successivamente ho svolto per due anni lo stesso ruolo da Ferragamo. A quel punto Christie’s mi ha richiamato come amministratore delegato dell’Italia e di conseguenza sono tornata nel mondo dell’arte. In effetti è il mio mondo, quello a cui so di appartenere. Nel 2006 sono tornata da Christie’s, ma quello che avevo apprezzato da Prada era un overview del livello internazionale; ho comunicato all’azienda che avrei “organizzato” la sezione italiana, ma che poi avrei voluto un’opportunità internazionale. È capitata e nel 2013 mi hanno chiesto di occuparmi di implementare il progetto delle vendite private a Londra. La casa d’asta si rende conto che la crescita mediante l’asta è comunque limitata, mentre invece ci sono fette di mercato come le vendite private che sono ad appannaggio di altri operatori, in particolare delle gallerie. Ci sono delle dinamiche differenti. Il risultato non è pubblico, quindi non è online. Se sei abituato a vendere attraverso un’asta deleghi di molto al mercato che farà il prezzo, mentre nella trattativa privata è tutto differente. Devi convincere il potenziale cliente che se attribuisci un certo prezzo è perché ti sei basato su delle ricerche, sul tuo proprio parere e sulla propria esperienza. Questo lavoro è stato molto gratificante, mi occupavo di tutti i settori; è molto interessante vedere come gli acquirenti siano differenti a seconda di cosa comprino: gioielli, arte ecc. Era quasi un lavoro più da boutiques, che occupa molto più tempo rispetto all’asta. Quest’ultima ha il vantaggio che ha una scadenza, se non acquisti entro una certa data il lotto non è più disponibile, nella trattativa privata è il contrario. L’acquirente ha le “redini del gioco”. La grossa differenza risiede nella valutazione: quando si valuta per l’asta si sa che il prezzo dipende dal mercato perciò non sei mai troppo preoccupato di fare una stima troppo bassa, sempre che il venditore ti autorizzi, il mercato è al rialzo. Nella vendita privata è esattamente il contrario è al ribasso. Si deve partire da due stime diverse. Dal 2016 ho deciso di ritornare in Italia, non aveva senso che lavorassi ancora con Christie’s a Milano per cui ho dato una mano alla casa d’aste Phillips e poi mi sono messa in proprio. Un po’ perché mi sono resa conto che il mercato me lo stava chiedendo; ho avuto due famiglie che volevano che mi prendessi cura della loro collezione. Questa attività esiste in Inghilterra e si chiama Art collection manager. È un’attività estremamente emozionante, mi rendo conto di essere un unicum, in Italia perché lo svolgo per qualsiasi tipologia di bene artistico. Ciò ovviamente mi costringe sempre ad essere al corrente. Mi rendo conto che oggi sfoglio cataloghi di aste di cui prima ignoravo l’esistenza, tuttavia trovo che il bello di questo mestiere sia il non smettere mai di imparare. Mi piace l’idea che ci sia sempre da apprendere, lo sento quotidianamente. Ho impiegato un anno a definire la mia strategia e il perimetro della mia attività, essendo nuova è stimolante anche in questo senso.

Com’è stata l’esperienza nel mondo della moda?

Dal momento che la moda come l’arte non vende cose di prima necessità, hanno in comune alcuni principi di promozione e comunicazione. Sono e sarò sempre molto grata per aver lavorato per l’azienda Prada, in quanto ho proprio imparato a non accettare i miei limiti, a continuare ad alzare la barra dei propri obiettivi. Mentre nella moda se un oggetto non viene venduto durante quella stagione, scade di valore e va all’outlet; nelle case d’asta se un oggetto rimane invenduto lo posso restituire al proprietario. Per cui c’è un maggior senso di responsabilità, si è sempre sentito moltissimo. Già all’epoca c’era un controllo dettagliato su cosa si vendeva negozio per negozio; per cui il fatto di influenzare il risultato finale della vendita attraverso la comunicazione era una cosa che si percepiva molto. Devo dire che la professionalità che ho trovato da Prada non l’ho trovata da nessun’altra parte.

Qualcosa che le sta a cuore e desidera parlarne?

Mi è stato chiesto di occuparmi di una raccolta un po’ suis generis. Da Christie’s battevo le aste a favore della Comunità di San Patrignano, (Comunità che ospita in modo totalmente gratuito 1300 ragazzi) un’asta che si tiene una volta all’anno, con un grande risultato finanziario. Il consiglio di amministrazione di San Patrignano ha avuto l’idea di creare una dote di opere d’arte da valorizzare e da tenere come “tesoro” in funzione di un investimento straordinario futuro. Nel 2018 la Comunità ha compiuto 40 anni e in futuro bisognerà essere in grado di continuare a sostenerla affiancando il lavoro di completa sostenibilità che la Comunità porta avanti. Quando mi hanno proposto di entrare nel consiglio di amministrazione devo dire che sono stata molto onorata e incuriosita. In Italia non esiste questo tipo di asset patrimoniale benefico, Io stessa ho raccolto opere d’arte da vendere per beneficenza, ma qui si parla di qualcosa di assolutamente diverso. Abbiamo raccolto 56 opere e stiamo continuando a raccoglierle; sono già state esposte: una volta in Triennale, al MAXXI e l’ultima è avvenuta a Firenze a ottobre 2019. Avranno un’esposizione permanente a Rimini che si sarebbe dovuta inaugurare il 14 marzo, vista la situazione si è dovuto per forza rimandare a data da definirsi. Tuttavia sono particolarmente orgogliosa, abbiamo preso come modello le attività filantropiche americane e abbiamo un vincolo: doverle valorizzare per almeno cinque anni, successivamente, eventualmente, se ne può vendere qualcuna per finanziare necessità straordinarie. Stiamo portando una raccolta di opere dei secoli XX e XXI molto significative in due palazzi medioevali di Rimini. Questi due palazzi per i quali c’erano già i finanziamenti per la ristrutturazione nel bilancio comunale, non avevano ancora una destinazione chiara. L’unione di queste due visioni è una grande occasione di sinergia tra pubblico e privato. È un progetto innovativo, in quanto abbiamo raccolto opere tutte donate che non fanno parte già di una collezione definita. Seleziono le opere da accettare con l’aiuto di altre persone, ma ovviamente lo scopo è proteggere il valore finanziario della raccolta accettando solo opere che possano innalzare il livello della collezione. La scelta deve essere attenta e precisa, tuttavia mettere insieme cose totalmente diverse è un grande stimolo. A Rimini ci sono più di 20.000.000 di turisti l’anno, la sfida è stata quella di capire come rivolgerci a loro. Le schede tematiche sono da costruire in modo accattivante, non possono essere troppo simboliche, devono esserci dei rimandi chiari, non deve essere usato un linguaggio di nicchia. I palazzi sono nella piazza principale di Rimini per cui sono di richiamo a tutti, di solito i musei di arte contemporanea,sono per appassionati e addetti ai lavori, questo progetto invece deve coinvolgere le famiglie e non solo.

 

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Copertina catalogo  della mostra "La collezione di San Patrignano. Work in prograss", Firenze Palazzo Vecchio, dal 27 ottobre al 3 novembre 2019. 

 

Consigli che darebbe ai giovani che desiderano fare il suo lavoro?

Per fare un lavoro come il mio devi avere diverse competenze: del mercato dell’arte, un’infarinatura legale e fiscale, delle norme che regolano l’esportazione, di condition report e di logistica tra le altre. A mio avviso è anche fondamentale il continuo aggiornamento. Quello che mi viene da dire è: fate esperienza in questi diversi settori per cercare di approfondire ogni aspetto. Ciò non significa diventare un giurista, ma crearsi una rete di contatti validi, di persone stimate che quando hai bisogno di un’informazione ti rispondo in modo puntuale e veloce.

Mollare tutto e mettersi in proprio. Quali sono i rischi?

Rischi ce ne sono perché potrei anche dare dei consigli errati ai miei clienti, da quello più triviale a quello più serio. Ad esempio posso mandare a un’esposizione un’opera che può venire inseguito danneggiata, oppure può nascere una problematica di furto; si può scoprire che si tratta di un’opera rubata decenni fa, di conseguenza verrebbe sequestrata e così via.

Quando valorizza le opere a lei affidate, organizza delle mostre, crea un progetto o semplicemente gestisce le richieste che le arrivano dalle istituzioni?

Sia uno che l’altro. Recentemente mi sono capitate delle richieste di prestito. Tuttavia se lei mi chiedesse tra qui a dieci anni quali sono i miei obiettivi, le risponderei che sarebbe quello di proporre del materiale poco conosciuto in modo che possa essere valorizzato; anche in questo caso bisogna fare le cose con grande equilibrio e criterio.

Cos’è l’arte contemporanea secondo lei?

Per me è emozione, è ciò che solleva l’uomo dal materiale. Non ho una grande passione per il contemporaneo, amo maggiormente le cose classiche, ma secondo me ci si può allenare per ritrovare l’arte in tante cose. È difficile distinguere tra arte e bello, penso che nella parola arte sia insito il concetto di bello, Un oggetto in cui c’è un apporto emozionale da parte dell’uomo che rende quel pensiero, quella scultura o quella tela qualcosa che emoziona.

Cos’è la bellezza?

Per me è armonia in tutto. Mi sto facendo la domanda, se esistono opere che mi emozionano, ma non sono belle. Probabilmente farei fatica a riconoscergli un valore di bellezza.

Un caso particolare in asta che ricorda come singolare o per la sua eccezionalità?

Quello che ricordo più volentieri sono i risultati delle aste di beneficenza. Vedere come l’empatia, la capacità di coinvolgimento possa ravvivare la sala e portare dei risultati è stata la cosa più soddisfacente. Ancora oggi quando devo battere delle aste di questo genere lo faccio con questo spirito.

Il caso esiste?

Penso che 80% sia l’atteggiamento, l’apertura, la voglia di mettersi in gioco, il coraggio, un po’ di incoscienza, perché altrimenti le cose passano e uno non se ne rende conto. È impossibile pianificare tutto, e a me piace controllare le cose proprio perché mi rendo conto che nella vita non puoi influire più di tanto. L’unica cosa da fare è tenere un atteggiamento di apertura. Questo è fondamentale.

 

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Lucian Freud, Reflection (Self-portrait), 1985, olio su tela, 55.9 x 55.3 cm. Dublino, Collezione privata in deposito presso l’Irish Museum of Modern Art, IMMA Collection: Freud Project 2016-2021 – Foto © The Lucian Freud Archive / Bridgeman Images.

Un artista che le è rimasto nel cuore?

Ce ne sono moltissimi. Probabilmente ad oggi direi: Benozzo Gozzoli e Freud. Mi piace molto il figurativo.

 

Gozzoli magi

Benozzo Gozzoli - La Capella dei Magi

Cos’è andato perduto cos’è invece non cambierà mai nel mondo dell’arte?

Non so se la parola “perduto” sia vera, se mai cosa sia cambiato. C’è stata una democratizzazione dell’arte, ci sono molti più artisti, molti più collezionisti, quindi si è allargato lo scenario artistico. Allargandosi però si è anche abbassato il livello, di conseguenza si è propagata l’arte facile da capire, l’arte immediata dove non c’è bisogno di avere una grande preparazione. Un grande dispiacere è per i dipinti antichi, essendoci molta più arte si è reso più complicato il contatto con l’arte che racconta di cose che oggi non sono più rilevanti e che la gente non conosce. Sicuramente l’enorme cambiamento è stato il web perché ha portato la conoscenza di una miriade di informazioni, non sempre verificabili, informazioni parcellizzate estrapolate dal contesto. Questo cambiamento di spostamento di acquirenti, di acquisizioni, di transazioni dal mercato dell’antico al mercato del moderno, e poi del contemporaneo, è basato sul fatto che per esserci mercato deve esserci una sufficiente quantità di materiale disponibile e questo è possibile solo nel contemporaneo. Nel moderno (cioè dal dopoguerra agli anni '80) abbiamo ancora quantità, ma ovviamente fare un confronto con la produzione degli artisti nati negli anni '80 è un altro discorso. Non c’è la carenza di materiale o se c’è, è una conseguenza di come il gallerista o l’artista abbiano deciso di gestire la sua opera. È fisiologico, si è allargato il bacino di potenziali acquirenti che hanno bisogno di tanto materiale e vanno dove si può reperire. Qui c’è stato un cambiamento e ciò ha avuto un pro e un contro. Questa è la conseguenza che il cambiamento ha avuto sul mercato dell’arte.

Cosa pensa di queste professioni nel mondo dell’arte che usano e abusano i ruoli creando confusione?

Oggi si chiamano art influencer e si trovano anche su Instagram; ci sono sempre stati i millantatori, capita di avere dei clienti raggirati da persone che non sono professionisti. Quelli che cercano di pascolare nel sottobosco ci sono sempre stati, come ci sono sempre stati i clienti che pensano di fare l’affare della vita pensando di sapere tutto. Penso che sia un setaccio, dopo un po’ il non professionista si autoelimina.

Cos’è quid? Dove lo intravede?

È quell’atteggiamento di cui parlavamo prima, cioè la capacità di rimanere aperti anche con disciplina, anche se magari per stanchezza, per pigrizia è più facile rimanere nella propria confort zone. Il mondo sta cambiando e c’è il timore dell’ignoto, però allora il caso non lo capti. Ecco il Quid è questo, cogliere l’attimo.