Daniele Fenaroli co-curatore della Collezione Giuseppe Iannaccone si racconta

  

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  L'avvocato Giuseppe Iannaccone con i curatori della Collezione Gloria Vergani e Daniele Fenaroli.
 

"Ogni giorno è diverso, ogni giorno porta con sé le sue emozioni. Il quid risiede proprio in questa polimatericità del lavoro, nella vita stessa della Collezione, che pulsa ogni giorno di nuove sfide."

By Camilla Delpero

 

Come nasce Daniele Fenaroli professionalmente?

Il mio percorso di studi, come quello professionale, si è sempre mosso nei binari della passione e della curiosità, dopo una laurea in Lettere e in Filologia moderna sotto l’indirizzo di Beni culturali imparai dai tomi universitari, di storia dell’arte medievale, moderna e contemporanea, che alla fine, come direbbe l’artista Nannucci, tutta l’arte è stata contemporanea. Se la teoria negli studi storico artistici non manca, non sempre alla pratica viene destinato il medesimo spazio; da qui la scelta di intraprendere un percorso di stage all’interno della Fondazione Brescia Musei come assistente curatore; breve ma intenso, in soli tre mesi completammo il riallestimento della Pinacoteca Tosio Martinengo. L’interesse verso la contemporaneità era forte e la curiosità cresceva nei confronti di un mondo che necessita tanto studio quanta fantasia; la mia tesi Museal Object Ordinary Objects andava esattamente in questa direzione e provava a rispondere alla domanda: "Cosa ci fanno uno specchio, un orinatoio, un telefono aragosta, una lattina (e potrei continuare) in un museo?" Nel frattempo il mio percorso di studi ha preso una deriva molto specifica, il mercato dell’arte contemporanea, un altro tasto dolente, alle volte, per i non addetti al settore che ho approfondito in tutte le sue sfaccettatura alla NABA di Milano; l’ambiente, incredibilmente stimolante, mi ha permesso di indagare alcune tematiche a me care come l’affascinante mondo delle aste o le connessioni tra i protagonisti del sistema arte, sviluppare alcune indagini come la ricostruzione storica della Collezione Tettamanti partendo dai cataloghi d’asta o il rapporto tra gli artisti americani e l’Italia nella metà del secolo scorso (da qui la tesi Italian Gold Rush) e di intreprendere la mia prima esperienza in Collezione Giuseppe Iannaccone come assistente curatore. Grazie ai forti legami stretti negli anni di studio, sono approdato in una realtà giovane e dinamica come Artshell che si occupa della gestione e archiviazione delle opere d’arte a 360 gradi, un unicum nel panorama italiano, che mi ha portato a contatto con la maggior parte delle gallerie e delle collezioni italiane. Al mio percorso mancavano tutti quegli aspetti giuridici che riguardano la movimentazione e la gestione delle opere d’arte, così, nel 2020, decisi di iscrivermi al corso “La circolazione dell’opera d’arte: tra cultura, tutela e investimento”, realizzato dall’Università degli Studi di Brescia sotto il dipartimento di giurisprudenza. Infine, eccomi qui, nella Collezione Giuseppe Iannaccone come co-curatore.

 

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Cos’è la bellezza?

Non credo esista nulla di più intimo e soggettivo. La inseguiamo e la cerchiamo continuamente, ma forse, la bellezza, risiede proprio nella capacità di saperla trovare.

La rivista si chiama Quid Magazine perché vuole indagare il quid che rende unica qualsiasi cosa. Dove lo intravedi il quid nel tuo lavoro, in un’opera o nella vita stessa?

Alle volte non mi sembra di fare un lavoro, ci sono giornate in cui sono effettivamente uno storico dell’arte, altre in cui mi diletto come allestitore, assicuratore, trasportatore e designer di interni oppure come investigatore alla ricerca di quel dettaglio che manca nella ricostruzione della storia di un’opera. Ovviamente non ho tutte queste competenze e ogni giorno mi appoggio a professionisti di ogni settore, ma la capacità di destreggiarsi in questi ambiti, con più o meno abilità e tanta voglia di imparare, dà al mio lavoro quel quid pluris che più mi dà soddisfazione. Ogni giorno è diverso, ogni giorno porta con sé le sue emozioni, la tensione per un trasporto complicato, l’appagamento dello studio e della ricerca, la tranquillità nel sapere che tutto è assicurato correttamente, l’euforia per una nuova acquisizione, un nuovo allestimento oppure la rassegnazione per una trattativa andata male.  Il quid risiede proprio in questa polimatericità del lavoro, nella vita stessa della Collezione, che pulsa ogni giorno di nuove sfide. 

Quanto lavoro c’è per gestire una collezione così importante?

La vera complessità del lavoro in Collezione è il coordinamento delle sue mille sfaccettature, ogni movimentazione, acquisizione, pubblicazione o idea nasconde dietro di sé uno specifico iter con tempistiche e modalità che non sempre dipendono da noi. La quantità di lavoro è sempre alta, ma ciò che fa la differenza è la qualità con cui ogni giorno lavoriamo, la tensione c’è, ma le soddisfazioni non mancano.

 

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Qual è la soddisfazione maggiore nel lavorare con un progetto del genere e qual è anche la fatica maggiore?

La certezza che dalle grandi fatiche nascano le migliori soddisfazioni in Collezione è tangibile; contenere e tradurre in realtà la bulimia artistica, più che benevola e genuina che puntualmente colpisce il Collezionista non è sempre facile ma, dopo settimane o mesi di duro lavoro, vedere le idee prendere forma è qualcosa che non ha prezzo. La fatica maggiore è sicuramente avere il controllo su tutte le attività ordinarie e straordinarie che una Collezione con più di 600 opere necessita, la soddisfazione maggiore è vedere un’opera studiata e indagata fino al midollo su fogli di carta e pdf, entrare dalla porta della Collezione.

Cos’è l’arte contemporanea secondo te?

Credo che le decorazioni alle pareti, nel senso più ornamentale del termine, debbano seguire i gusti, le tendenze e la moda; l’arte no, segue il tempo e deve continuare a farlo. Poco fa ho citato l’opera di Nannucci All art has been contemporary, ma vorrò essere ancora più semplice, nella forma: l’arte contemporanea è l’arte del nostro tempo; dietro alla banale sintesi di questa affermazione, si nasconde in realtà la complessità della sfida con cui ogni giorno gli artisti si trovano a confrontarsi, con i piedi saldi nell’attualità, lo sguardo che punta verso il futuro e lo spirito di chi conosce la storia del passato. Vorrei che ogni artista sappia essere, a suo modo, con il suo linguaggio e la sua poetica, la sentinella di oggi, lo specchio del presente, che non debba per forza piacere ma che abbia la capacità di saper stare, esistere, confrontarsi con l’oggi. Ecco la contemporaneità dell’arte che sta, esiste e che racchiude la sua esistenza nel sapersi interrogare. L’accettazione senza quesiti, nell’arte così come nella vita, e la storia passata ci aiuta in tal senso, non può che creare la peggior forma di pensiero dell’uomo, ciò per cui non è stato creato, la sua passività e l’incapacità di sapersi confrontare. L’arte contemporanea è il qui ed ora, in continuo mutamento, che si interroga e prova, giorno per giorno, a restituirci un personale scorcio sul presente.

 

Leggi l'intervista al co-curatore Gloria Vergani al seguente link