PRIMA ESPOSIZIONE MAI DEDICATA A CECCO DEL CARAVAGGIO, ALLIEVO E MODELLO DEL MERISI

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Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Angelo custode con i Santi Orsola e Tommaso, 1615 circa, olio su tela, Madrid, Museo del Prado.
 

In occasione della mostra Angelica Moschin ha intervistato Gianni Papi, curatore della mostra insieme a M.Cristina Rodeschini e uno dei massimi studiosi di Caravaggio e dell’ambiente caravaggesco a Roma e a Napoli.

By Camilla Delpero

 

Nell’anno di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura, Accademia Carrara riapre al pubblico il 26 gennaio 2023 a seguito di un importante progetto di rinnovamento museale, con la prima mostra mai dedicata a Cecco del Caravaggio (Francesco Boneri 1585 circa – post 1620), dal 28 gennaio al 4 giugno. Francesco Boneri è stato allievo e modello anticonformista del Merisi. 42 opere: 19 dei circa 25 dipinti conosciuti di Cecco, 2 opere di Caravaggio e, insieme, artisti che hanno ispirato e sono stati ispirati da questo affascinante pittore. In mostra vi saranno prestiti nazionali e internazionali da Berlino, Londra, Madrid, Oxford, Varsavia, Vienna, Brescia, Firenze, Milano e Roma. Ho avuto il piacere di intervistare per l’occasione Gianni Papi, curatore della mostra insieme a M.Cristina Rodeschini e uno dei massimi studiosi di Caravaggio e dell’ambiente caravaggesco a Roma e a Napoli.

 

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Se non fosse stato per i suoi studi avviati a partire dagli anni Novanta, ad oggi la figura tanto intrigante quanto problematica di Cecco del Caravaggio sarebbe ancora un enigma. Può raccontarci qual è stato lo stimolo o la scoperta che l’ha orientata in questa direzione? A che cosa dobbiamo imputare questa sorta di abolitio nominis che ne ha impedito la notorietà fino a, più o meno, i giorni nostri?

Tutto ebbe inizio appunto intorno agli anni Novanta, quando rilevai all’interno del corpus di Cecco del Caravaggio dei dipinti che sembravano appartenere a una mano diversa, ovvero, ipotizzando, a quella di Pedro Núñez del Valle e presentai la scoperta ad Arte Cristiana. Nel frattempo, però, mi accorsi, ad articolo consegnato, che erano usciti, quasi in concomitanza, dei documenti su Paragone, nel 1989, che contenevano la chiave per capire chi era Cecco del Caravaggio, ovvero Francesco Boneri. Vi era in quei documenti la risoluzione del problema identitario di Cecco del Caravaggio e decisi pertanto di aggiungere un tassello in più a quell’articolo già di per sé importantissimo che quindi uscì su Arte Cristiana come “Pedro Núñez del Valle e Cecco del Caravaggio e una postilla per Francesco Boneri.” Successivamente nel 1992 scrissi la prima monografia sul pittore mettendo insieme tutti gli elementi fondamentali. 

Cecco del Caravaggio…perché “allievo modello”? Qual era veramente il suo rapporto con Caravaggio?

“Allievo modello” è un gioco di parole. Si parla di “allievo” perché Giulio Mancini, collezionista e scrittore d’arte fra i primi ad apprezzare il naturalismo in pittura, allude nei suoi scritti a una “schola del Caravaggio” composta da quattro pittori, ovvero Spadarino, Cecco del Caravaggio, Bartolomeo Manfredi e Jusepe de Ribera. E quindi dal momento che si parla di “schola”, si può parlare a tutti gli effetti di “allievo”. Dopodiché abbiamo scoperto, grazie al diario di Richard Symonds, un gentiluomo inglese in visita a Roma negli anni 1649-51, che Cecco è stato anche modello di Caravaggio, nel senso che ha posato per lui per L’Amore Vincitore e quello stesso modello ritorna in almeno sei altri quadri. Ma è stato anche, come riferisce sempre Symonds, “his owne boy or servant that laid with him” (“il ragazzo che giaceva con lui”). La scoperta risale al 1986 e io me ne sono reso conto nel ‘92. Ora, per qualche ragione, il documento non suscitò particolare scalpore all’epoca ma si trattava, anche in quel caso, di una scoperta davvero cruciale.

 

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Michelangelo Merisi detto Caravaggio, David con la testa di Golia, 1609-1610, olio su tela, Roma, Galleria Borghese, crediti fotografici: Mauro Coen.

 

Parlando di questa mostra si è sottolineato in più occasioni come l’arte di Cecco del Caravaggio oscilli stilisticamente fra il naturalismo classicheggiante (“la radice lombarda”) di Giovanni Gerolamo Savoldo da una parte e la teatralità chiaroscurata (ed esasperata) di Caravaggio dall’altra…Guardando le opere, però, verrebbe da dire che a tratti superi entrambi (pur mantenendoli al suo interno)? È troppo dire così?

Cecco al di là di Caravaggio? Sì, ma solo nel senso che spinge la rivoluzione di Caravaggio ai suoi estremi, ovvero la raffigurazione dei modelli al posto dei personaggi sacri che interpretavano. Per cui al posto di San Giuseppe, nei suoi dipinti, troviamo un carpentiere, al posto di San Matteo un facchino e al posto della Maddalena una prostituta. Questo utilizzo dei modelli “tel quel” nell’opera di Cecco del Caravaggio, non idealizzandoli come facevano i Bolognesi, bensì rappresentandoli senza l'intermediazione dei disegni preparatori è senz’altro una delle cifre stilistiche di Cecco. Però c’è da aggiungere che Caravaggio si assicura di rispettare sempre, in un modo o nell’altro, la dimensione sacra. Cecco, invece, va al di là di tutto ciò. La Resurrezione è letteralmente una seduta di modelli in posa che mimano la resurrezione. Non c'è nulla di sacro in quel quadro. In questo va oltre Caravaggio, non in termini qualitativi.

 

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Francesco Boneri detto Cecco del CaravaggioFrancesco Boneri detto Cecco del CaravaggioFabbricante di strumenti musicali1610 circaolio su telaLondra, Apsley House, Wellington Museum ©Historic England Archive.

 

Se dovesse illustrare, molto sinteticamente, gli elementi più facilmente intellegibili del linguaggio del Boneri a un’audience meno addentro agli studi dell’arte, quali sarebbero?

L’innovazione e l’anticonformismo in primis. Ma non bisogna dimenticare che stiamo sempre parlando di un pittore che va sì al di là di Caravaggio ma che ha anche i piedi ben piantati nel Cinquecento. Il suo riferimento d’elezione, come si è detto, è Giovanni Gerolamo Savoldo. Non potrebbe essere altrimenti a giudicare da quella sua pittura così delineata, così precisa e così senz’aria. Cecco è cinquecentesco anche nel costumismo rivolto al passato dal sapore vagamente retrò. Il suo iperrealismo è implacabile dal punto di vista della raffigurazione dei soggetti. E poi, infine, c’è l’ambiguità, altro aspetto importantissimo: Cecco non ha paura di realizzare quadri intessuti di chiari rimandi omoerotici. L’Amore al Fonte, che purtroppo non è esposto in mostra ma di cui abbiamo la versione frammentaria della collezione Koelliker, ne è un esempio molto chiaro.

Perché la Cacciata dei mercanti dal Tempio è un’opera chiave della mostra e quale è stata la sua singolare scoperta al suo interno?

La Cacciata dei Mercanti dal Tempio è l’opera chiave della mostra innanzitutto perché su quella base Roberto Longhi, nel 1943, mise insieme il primo nucleo di opere di Cecco e poi perché ne conosciamo con certezza il committente, ovvero il marchese Giustiniani. L’indubbia bellezza del quadro che combina lo sguardo retrospettivo rivolto al Cinquecento con il riferimento, nella furia dei personaggi scalpitanti, al Martirio di San Matteo di Caravaggio contribuiscono a farne un’opera cardine non solo della mostra, ma di tutto il corpus di Cecco. Sappiamo poi con certezza che all’interno del quadro vi è un autoritratto dell’artista. Si tratta dell’ultimo personaggio in fondo a sinistra dall’aria snob e con indosso un cappello che potremmo definire da dandy. Sembra si senta a disagio in mezzo a questa calca che gli sta intorno e che lo sta quasi per travolgere. Cecco era un intellettuale rispetto alla media dei suoi colleghi. Non a caso infatti è l’unico in tutto l’ambito caravaggesco ad essere in grado di realizzare queste sciarade complicatissime che vediamo nei suoi quadri, questi rebus ed enigmi che piacevano così tanto ai committenti dell’epoca.

 

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Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Cacciata dei Mercanti dal Tempio, 1610-1615, Berlino Gemaldegalerie.