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Summer Wheat. Kiss and Tell alla Fondazione Mudima

La prima personale italiana dell’artista statunitense Summer Wheat (1977, USA).

La Fondazione Mudima di Milano presenta dal 9 giugno al 14 luglio 2023 “Kiss and Tell”, la prima personale italiana dell’artista statunitense Summer Wheat (1977, USA).

Le dodici opere tattili esposte in mostra, tutte di grandi dimensioni e in parte inedite, sono realizzate con una tecnica completamente nuova creata dall’artista che si colloca all’intersezione tra pittura, disegno e scultura, belle arti e artigianato.

Nota per i suoi dipinti dai colori vibranti e per le installazioni avvolgenti, Wheat rappresenta la storia dell’Uomo, nelle sue esperienze individuali e collettive e nelle diverse manifestazioni dell’esistenza – come il lavoro, il tempo libero, le relazioni, la politica – attingendo a una molteplicità di fonti: le tradizioni artistiche dei nativi americani, l’arte antica e gli arazzi medievali, le incisioni rinascimentali e le astrazioni moderniste. Nelle sue vedute, ciascuno, indipendentemente dallo status sociale, occupa uno spazio uguale e condiviso che unito a uno spiccato senso dell’umorismo sovverte le strutture gerarchiche convenzionali e gli stereotipi con l’obiettivo di mettere in primo piano le figure femminili e rimetterne a fuoco le storie.

Il nucleo di opere esposto alla Fondazione Mudima è il frutto di un processo che utilizza la pittura come materiale plastico simile all'argilla. Wheat, infatti, dipinge il supporto dal retro, premendo il colore acrilico attraverso sottili fogli di rete di alluminio nei quali la pittura trapassa e si rapprende in una superficie strutturata che la rende simile a un arazzo. Ruolo fondamentale è affidato all'uso espressivo del colore e all’originale metodo di costruzione del dipinto che integra vari strumenti, dalle dita alle siringhe, ai raschietti di plastica, agli accessori per la decorazione di torte. 

Le donne, protagoniste dei lavori, sono rappresentate non attraverso canoni di genere, ma ponendole nei ruoli che tradizionalmente sono assegnati agli uomini. Ritratte come cacciatrici o pescatrici che insieme lavorano, si sostengono e si aiutano, le figure femminili di Wheat sono donne di potere, che hanno il controllo completo di ciò che le circonda, del loro corpo e della loro mente: basti osservare la posizione, simile a una figura yoga, in cui sono rappresentate che lascia presumere che siano dotate di grande forza, fisica e mentale. In tali opere, della serie Vanity – New Green, Ruby, Special Purple, Magenta (2022, acrilico e gouache su rete di alluminio, 73x119 cm) –, il soggetto è sempre lo stesso eccetto che per i colori, acidi e vivaci, che cambiano di opera in opera: una sorta di rispecchiamento che avviene non solo tra le opere, ma anche dentro ciascuna opera, poiché è sempre presente uno specchio nel quale il soggetto si riflette: «L’immagine ripetuta – spiega nel suo testo in catalogo Erin Dziedzic – richiama apparentemente i ritratti in serie di Warhol, di cui viene però superata la pratica meccanicistica a favore di una rappresentazione del sé che rimane fedele a se stessa pur cambiando ogni giorno.»

Nella serie Lovers, sempre in mostra a Milano, l’attenzione è posta sulle relazioni amorose tra uomo e donna. Lo spazio pittorico viene interamente riempito dalla coppia rendendo palpabile l’idea di uno spazio intimo, di un abbraccio stretto. In Jelly Beans, monumentale opera di 173x358 cm, si riconoscono due figure impegnate in un abbraccio e un bacio; attorno a loro, dei bambini galleggiano, teneramente e ironicamente, come gelatine, in ciò che può sembrare un giardino o un cielo notturno.

L’arte di Summer Wheat privilegia l'intuizione e l'esperienza vissuta rispetto alla ragione e alle logiche convenzionali, destabilizzando i confini tra figura e paesaggio, rappresentazione e astrazione, arte e artigianato.

Completa la mostra un catalogo edito da Mudima, con un testo critico di Erin Dziedzic.

 



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FESTIVAL DELLA FOTOGRAFIA ETICA DI LODI 2023 XIV EDIZIONE

833 fotografi da 40 paesi diversi e 5 continenti, oltre 900 progetti candidati, oltre 13.000 le foto ricevute.

Questi i primi numeri della XIII edizione del World Report Award|Documeting Humanity, il concorso indetto dal Festival della Fotografia Etica di Lodi, in programma dal prossimo 30 settembre al 29 ottobre.

La giuria composta da Amanda Voisard, photo editor al The Washington Post, Dominique Hildebrand, photo editor del National Geographic, Lynden Steele,  direttore di fotogiornalismo al Missouri School of Journalism’s Reynolds Journalism Institute e Direttore del POYi, Alberto Prina e Aldo Mendichi, coordinatori del Festival, ha selezionato gli 80 finalisti delle varie sezioni del World Report Award, i cui vincitori assoluti verranno decretati il 30 giugno.

Il concorso si suddivide nelle categorie Master (10 finalisti), Spotlight (10 finalisti), Short Story (10 finalisti), Student (10 finalisti), Single Shot (quest’anno 40 finalisti invece di 30 vista l’alta qualità delle candidature). Cinque percorsi diversi, per narrazione e modalità espositiva, ma con lo stesso comune obiettivo: raccontare la società contemporanea e la sua complessità attraverso il potere della fotografia e la sensibilità dei migliori fotoreporter internazionali.

Si possono scoprire tutti i finalisti a questo LINK.

Anche in questa edizione FUJIFILM Italia è Award Sponsor del concorso con l’intento di sostenere il diffondersi della cultura dell’immagine. FUJIFILM Italia è da sempre in prima linea per rimarcare il valore della fotografia, per la sua capacità di raccontare la collettività e la realtà che ci circonda. Con il suo supporto, avvalora e incoraggia il grande impegno che il Festival mette ogni anno in campo per celebrare la fotografia, necessaria espressione umana.

Accanto alle mostre del World Report Award si articoleranno altri momenti importanti del Festival, in programma dal 30 settembre al 29 ottobre, con la cronaca dei fatti e le storie più rilevanti dell'ultimo anno che troverà spazio nella sezione Uno Sguardo sul Mondo; lo Spazio approfondimento, con il reportage relativo a un long term project; lo Spazio no-profit, che dà voce alle organizzazioni umanitarie e ai loro progetti attraverso una Open Call che sarà aperta sino al 30 giugno.

Ma ci sarà anche spazio a incontri, workshop, letture portfolio, videoproiezioni, visite guidate, presentazioni di libri, progetti educational per gli studenti e numerosi altri eventi che indagano il rapporto tra etica, comunicazione e fotografia.

Contemporaneamente al Festival si svolgerà FFE – OFF, un circuito di mostre fotografiche, esposte in negozi, bar, ristoranti, gallerie, circoli culturali e aree pubbliche della città.

L’appuntamento quindi è al 30 giugno per scoprire i vincitori del World Report Award, e conoscere il programma definitivo che caratterizzerà la XIV edizione di uno dei più importanti festival di fotografia europei.

Info: www.festivaldellafotografiaetica.it

 



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 Diego Marcon / Ludwig, 2018 / Installation view (detail), Dramoletti, Teatro Gerolamo, 2023 / Ph. Marco De Scalzi / Courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano
Diego Marcon / Ludwig, 2018 / © Diego Marcon / Courtesy Sadie Coles HQ, London

 

Fondazione Nicola Trussardi presenta Diego Marcon al Teatro Gerolamo di Milano

Nel ventesimo anno di attività nomade, la Fondazione Trussardi torna con un nuovo intervento nella città di Milano.

Nel ventesimo anno di attività nomade, la Fondazione Nicola Trussardi torna con un nuovo intervento nella città di Milano, proseguendo nel suo progetto di museo mobile con il quale Beatrice Trussardi e Massimiliano Gioni hanno riscoperto e trasformato strade, piazze, palazzi, spazi dimenticati e luoghi simbolici, occupandoli temporaneamente con le opere e le visioni di alcuni dei più importanti artisti contemporanei.
 
Dal 5 al 30 giugno 2023, la Fondazione Nicola Trussardi presenta Dramoletti, la prima mostra istituzionale antologica in Italia di Diego Marcon (Busto Arsizio, 1985), uno degli artisti italiani più interessanti dell’ultima generazione. Per questa nuova incursione, la Fondazione Nicola Trussardi ha scelto il Teatro Gerolamo, un teatro per marionette divenuto celebre come “la piccola Scala” per le sue dimensioni in miniatura e i pregiati dettagli architettonici disegnati nell’Ottocento da Giuseppe Mengoni, lo stesso architetto della Galleria Vittorio Emanuele, dove vent’anni fa è iniziato il percorso itinerante della Fondazione Nicola Trussardi, con la dirompente installazione Short Cut (2003) di Elmgreen and Dragset. Reso famoso dagli spettacoli di burattini dei Fratelli Colla, riscoperto nel dopoguerra da Paolo Grassi e rilanciato negli anni Settanta da Umberto Simonetta, il Teatro Gerolamo conserva ricordi di racconti fiabeschi e atmosfere incantate che trovano un’inquietante simmetria nelle opere di Diego Marcon.
 
Con i suoi film, video e installazioni, Marcon costruisce misteriosi drammi da camera nei quali si muovono pupazzi, bambini e creature sospese tra l’umano e il post-umano. Mescolando melodramma ed effetti speciali, Marcon immagina una nuova umanità agitata da profondi dubbi morali e intrappolata in azioni angoscianti che si ripetono all’infinito. Installate in questo teatro-bomboniera, le opere di Marcon girano su loro stesse come ballerine in un ipnotico carillon, evocando i micromondi di Joseph Cornell, le fantasie di Carlo Collodi e Lewis Carroll, e i cosiddetti “dramoletti” di Thomas Bernhard, da cui l’esposizione prende il titolo.
 
La mostra si apre nella sala centrale del teatro con una nuova presentazione di Ludwig (2018), un’animazione digitale nella quale un bambino – a bordo di una nave in balia di una tempesta – canta una delle arie tipiche dell’opera di Marcon, in questo caso eseguita con la collaborazione del Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala. Illuminato dalla luce di un fiammifero e avvolto nell’oscurità della stiva rischiarata da lampi improvvisi, Ludwig recita una strana ninna nanna in cui dichiara la propria stanchezza e il desiderio di scomparire per sempre. Il titolo, la colonna sonora e la suggestiva scenografia del teatro sembrano evocare la figura di Ludwig II di Baviera, il cosiddetto Re Matto, che dedicò la sua vita e le sue finanze a costruire castelli e spericolate fantasie architettoniche e a sostenere i sogni di Richard Wagner, per il quale finanziò anche il teatro di Bayreuth. Dichiarato pazzo e deposto a causa della sua eccentricità e delle folli spese, Ludwig morì annegato ma finì per incarnare il mito di un’esistenza consacrata all’arte al di là di qualsiasi ragionevolezza. Ritratto da Luchino Visconti nel suo film omonimo e ammirato anche da Walt Disney che scelse il castello di Ludwig come modello per Disneyland, Ludwig di Baviera forse non ha nulla in comune con il bambino di Marcon, ma il suo video evoca atmosfere in cui realtà e delirio si mescolano in intrecci complessi e pericolosi, degni delle pazzie del Re Matto.
 
Una simile tensione – sospesa tra realtà e allucinazione, tra sincerità e simulazione – ritorna nell’opera Il malatino (2017), installata al piano inferiore del Teatro Gerolamo. In questa breve animazione un bambino febbricitante respira a fatica nel letto. Il titolo e il viso emaciato del protagonista ricordano personaggi da letteratura vittoriana o da libro Cuore, immersi in memorie di pandemie recenti e lontane.
 
Negli spazi delle gallerie e del loggione Marcon ha installato Untitled (Head falling) (2015), una serie di proiezioni di film in 16 millimetri su cui ha disegnato – colorando e incidendo direttamente la pellicola – ritratti di volti e teste che sembrano cadere assopite.
 
Nella sala in cima alle scale Marcon inscena il dramma di The Parents’ Room (2021), nel quale attori indossano maschere modellate sulle loro sembianze, rese però mostruose dall’assenza di espressione. L’impassibilità delle figure contrasta con la violenza della narrazione e con la melodia della colonna sonora che rende ancora più estraniante questo misterioso frammento di teatro della crudeltà in salsa grand guignol.
 
Poco più in là, accanto alle marionette che recitavano nel teatro, una serie di bozzetti di letti vuoti allude forse a un’altra perdita o alla fine dell’infanzia.
 
Da questa e dalle altre opere in mostra emerge un mondo abitato da creature che mescolano naturale e artificiale in complesse combinazioni, tutte ugualmente perturbanti. Quelli di Marcon sono nuovi mostri: surrogati, replicanti, intelligenze più o meno artificiali, che a ben vedere non sono poi troppo diversi da quelli che da secoli popolano la storia della letteratura – marionette, bambole, golem, Frankenstein, robot… I pupazzi informatici, le teste in celluloide e le maschere di lattice di Marcon sono i nuovi avatar di una genia post-umana che disperatamente cerca nella plastica e nel digitale di scovare una traccia di verità. In questa ricerca Marcon scopre che l’umano si nasconde nel difetto, nell’oscurità, nell’eccesso, nel patologico e nel malvagio persino, e che all’arte forse spetta il compito ingrato di piegare la tecnologia verso le bassezze dell’umanità.
 
La mostra di Diego Marcon al Teatro Gerolamo fa parte di una serie di importanti progetti espositivi realizzati dal 2003 dalla Fondazione Nicola Trussardi, sotto la presidenza di Beatrice Trussardi e con la direzione artistica di Massimiliano Gioni.
 
La Fondazione Nicola Trussardi è un’istituzione no profit privata, che, come un museo mobile, riscopre luoghi dimenticati e spazi simbolici della città di Milano, invitando gli artisti più importanti del panorama internazionale a reinventare la città, immaginando nuovi usi per palazzi, piazze, chiese, monumenti e altri edifici emblematici di Milano. Le sue attività sono rese possibili grazie alla generosità delle socie fondatrici e ai membri del Cerchio della Fondazione Nicola Trussardi, gruppo di sostenitrici e sostenitori che ne supporta i progetti. 
Dal 2003 la Fondazione Nicola Trussardi ha prodotto opere d’arte pubblica, mostre temporanee, incursioni, performance e interventi pop-up di celebri artisti internazionali tra cui Darren Almond, Pawel Althamer, Allora & Calzadilla, John Bock, Maurizio Cattelan, Martin Creed, Tacita Dean, Jeremy Deller, Agnes Denes, Elmgreen and Dragset, Urs Fischer, Fischli e Weiss, Cyprien Gaillard, Gelitin, Ragnar Kjartansson, Sarah Lucas, Ibrahim Mahama, Diego Marcon, Paul McCarthy, Paola Pivi, Pipilotti Rist, Anri Sala, Tino Sehgal, Stan VanDerBeek e Nari Ward, oltre a presentare grandi mostre a tema a Palazzo Reale e alla Triennale.

 

 



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In Pardis. Il sensibile nel design e nell'opera di Leila Mirzakhani e Dylan Tripp

Un viaggio verso un Empireo umano sensibile e sostenibile. 

Il secondo tema del progetto quadrimestrale che SUBSTRATUM, studio di architettura nel rione Monti di Roma, presenta venerdì 26 maggio 2023 alle ore 18.00 in GALLERIA, è un viaggio In Pardis, verso un Empireo umano sensibile e sostenibile. Nello spazio espositivo si ricrea l’atmosfera del Pardis, termine ripreso dal persiano per indicare giardino e paradiso. Tutto fiorisce nella purezza di un design essenziale, la cromia eterea dell’arredo accoglie, in un unicum paradisiaco, la naturale delicatezza del gesto dell’artista iraniana Leila Mirzakhani e la scultorea eleganza compositiva del floral designer americano Dylan Tripp. Un disegno allestitivo, curato da SUBSTRATUM, che reintepreta un giardino indoor, un ambiente abitativo che si configura, in accordo con la visione progettuale, come un’intima stanza dove fermarsi e restare. È un invito al respiro, all’ascolto, allo stare bene e alla relazione nel godimento dell’opera che è delizia di sensi tangibili e invisibili.

I lavori di Leila Mirzakhani ricreano, in armonia con l’ambiente, un’atmosfera fresca e leggera, gli elementi vegetali divengono fluidi negli acquerelli su carta. I colori richiamano una ricerca tonale, ogni accostamento risulta calibrato da un segno teso all’essenzialità e al dettaglio. In Pardis l’artista crea un attraversamento spaziale, allorché le pareti, animate dall’opera, generano una nuova dimensione sensoriale che amplifica la percezione e verticalizza l’anima. Nell’atto ascensionale di questo giardino simbolico il sensibile si ritrova nella meraviglia e nell’incanto floreale dell’opera di Dylan Tripp. Un affascinante mondo botanico che ipnotizza gli occhi al cielo, ogni senso in ogni senso è attratto, presi in questo celestiale tourbillon, è il piacere di lasciarsi andare al lirismo seduttivo del creato.

Seduti sulla leaf disegnata Lievore Altheer Molina per Arper, diveniamo foglie, sedotti dalla natura che intorno ci abbraccia, in basso come in alto è arte e poesia, è il Paradiso. Ancora un’altra sosta su una diversa forma, la Vicario disegnata da Vico Magistretti per Artemide, poltrona sinuosa e iconica su cui adagiarsi. In Paradiso tutto è senso, tutto ha un senso in questo simbolico giardino di piaceri, la natura è arte, l’arte è natura che mette in relazione ogni cosa e, in ogni cosa il gusto del bellessere. Ma, di giorno come di notte, tutto può accadere In Pardis, possiamo anche immaginare di essere lucciole in quel TeTaTeT di Davide Groppi, luci che identificano luoghi d’incontro, che accarezzano e irradiano i sensi ricreando un vero e proprio Eden di delizie.

 



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 Veduta dell'allestimento "Werner Bischof. Unseen Colour" © MASI Lugano, foto: Alfio Tommasini

 

Werner Bischof. La rivelazione del colore e la sua eredità. Conversazione tra Clara Bouveresse e Marco Bischof

Il MASI presenta al pubblico un dialogo a due voci tra Marco Bischof e Clara Bouveresse, professoressa all’Università di Evry/Paris Saclay specializzata in fotografia del Novecento.

Qual è il ruolo del colore nella fotografia e come è cambiato nel corso del tempo? In occasione della recente riscoperta delle fotografie a colori di Werner Bischof esposte per la prima volta nella mostra “Werner Bischof. Unseen Colour” il MASI Lugano presenta al pubblico un dialogo a due voci tra Marco Bischof, figlio del fotografo svizzero e direttore della Werner Bischof Estate, e Clara Bouveresse, professoressa all’Università di Evry/Paris Saclay specializzata in fotografia del Novecento.

La conversazione si svolgerà in inglese con traduzione simultanea gratuita in italiano.

Maggiori informazioni su masilugano.ch.

Evento nell'ambito di «Cultura in movimento»

LA MOSTRA

Il MASI Lugano presenta fino al 16 luglio 2023 una mostra di opere inedite di uno dei più grandi maestri del reportage e della fotografia del Novecento, Werner Bischof (Zurigo, 1916 – Truijllo, Perù, 1954). Attraverso circa 100 stampe digitali a colori da negativi originali dal 1939 agli anni '50 restaurati per l'occasione, viene esplorata per la prima volta in modo completo l'opera a colori del fotografo svizzero.

Conosciuto soprattutto per i suoi reportage in bianco e nero realizzati in tutto il mondo, Bischof è stato un artista della fotografia, capace di cogliere in scatti iconici la testimonianza della guerra e la rappresentazione dell'umanità. Come recita il titolo “Unseen Colour”, l'esposizione al MASI intende mettere in luce un aspetto nuovo e meno conosciuto del lavoro di Bischof, ampliando e approfondendo la conoscenza e l'idea che abbiamo di questa importante figura di fotografo. In un momento storico in cui la fotografia a colori godeva di scarsa considerazione ed era relegata alla dimensione pubblicitaria, emerge infatti come Bischof avesse invece colto le potenzialità del colore come mezzo espressivo, rendendolo parte fondamentale del suo processo creativo.

Il percorso della mostra si propone come un libero viaggio a colori attraverso i mondi visitati e vissuti da Bischof e copre tutto l’arco della sua carriera, in un’alternanza di immagini inedite ottenute dall’utilizzo di tre diverse macchine fotografiche: una Rolleiflex, dai particolari negativi quadrati, un'agile Leica, dal formato tascabile, e una Devin Tri-Color Camera, macchina ingombrante, che utilizzava il sistema della tricromia, ma garantiva una resa del colore di alta qualità. Il nucleo di immagini scattate con questa macchina è reso fruibile al pubblico per la prima volta grazie alla scoperta e alle relative indagini sulle lastre di vetro originali da parte del figlio dell'artista, Marco Bischof, che dirige l’archivio intitolato al padre.

I soggetti delle fotografie in mostra sono quelli noti del fotografo svizzero, capace di combinare come pochi altri estetica ed emozione in una composizione perfetta: dagli esperimenti formali dei primi anni di ricerca alle fotografie di studio e moda, dal racconto del dopoguerra in Europa alla presentazione intimistica dell’Estremo Oriente, dalle campagne fotografiche negli Stati Uniti fino all’ultimo viaggio in Sud America. Le opere esposte rivelano la grande capacità tecnica e l’accurata ricerca formale di Werner Bischof, indagine che diventa più costante nella produzione degli ultimi anni e che assume nuova vitalità grazie al colore.

È parte del percorso espositivo anche una sezione introduttiva in cui l'artista e il suo contesto sono raccontati attraverso negativi originali e documenti d'epoca, tra cui la Devin Tri-Color Camera acquistata per Bischof dall’editore che pubblicava le prestigiose riviste “Du” e “Zürcher Illustriert” e oggi conservata presso il Musée suisse de l’appareil photographique a Vevey.

Accompagna la mostra un catalogo edito da Scheidegger & Spiess e Edizioni Casagrande in italiano, inglese e tedesco, con testi di Tobia Bezzola, Clara Bouveresse, Luc Debraine e Peter Pfrunder

 



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"La collezione come pratica di vita alla Fondazione Sandretto di Torino

La conversazione è l’occasione per presentare "Il corpo del colore. La pittura neoromantica ed espressionista Italiana degli anni trenta".

In occasione dell’inaugurazione della mostra “Butterfly Affect” Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, collezionista e presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo incontra Giuseppe Iannaccone, collezionista e avvocato. Li intervista Luigi Cerutti, Ceo Società Editrice Umberto Allemandi 

La conversazione è l’occasione per presentare Il corpo del colore. La pittura neoromantica ed espressionista Italiana degli anni trenta, il catalogo che documenta oltre 90 Opere dalla Collezione Giuseppe Iannaccone, esposte recentemente alla Fondazione Carispezia. Il volume, edito da Allemandi, racconta e illustra la più importante raccolta privata di arte italiana di quel decennio, con opere di artisti come Afro, Renato Birolli, Lucio Fontana, Renato Guttuso, Mario Mafai, Antonietta Raphaël, Aligi Sassu, Scipione.

Il corpo del colore - La pittura neoromantica ed espressionista italiana degli anni trenta - Opere dalla Collezione Giuseppe Iannaccone.

Saggi di Elena Pontiggia, Giuseppe Iannaccone, Daniele Fenaroli. In collaborazione con Fondazione Carispezia

Giovedì 11 maggio 2023, h. 18.30 Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, via Modane 16, 10141, Torino